Sentenza n. 6775 del 28 gennaio 2005 – depositata il 22 febbraio 2005
[Sezione Prima Penale, Presidente M. Sossi, Relatore G. Canzio]RITENUTO IN FATTO
1.– La sera di sabato 28 settembre 2002 il padre di [omissis] denunziava la scomparsa della figlia, studentessa quattordicenne, uscita di casa alle ore 15,30 circa. Il primo elemento utile per le indagini era costituito da un messaggio SMS, pervenuto la mattina successiva al cellulare del fratello [omissis], con il quale [omissis] comunicava che stava con “T.”, cioè con [omissis] cui era legata sentimentalmente, e che non intendeva tornare a casa. Il messaggio si rivelava però fuorviante e opera di altri soggetti perché il [omissis] in quel momento si trovava coi familiari nella caserma dei Carabinieri. Si accertava anche che il messaggio era stato inviato da una cabina telefonica stradale di Leno mediante una scheda prepagata smarrita dal titolare nello scorso agosto a Iesolo, località in cui era in vacanza la famiglia B. pure residente a Leno nei pressi dell’abitazione della famiglia P.. In effetti, la perquisizione domiciliare eseguita il 4 ottobre portava al rinvenimento della scheda telefonica in possesso del sedicenne [omissis], la cui tessera SIM risultava peraltro essere stata utilizzata per fare due telefonate dal cellulare di [omissis] dopo le ore 15,47 del 28 settembre.
Il [omissis] confessava di avere ucciso [omissis] con un coltello e accompagnava i Carabinieri presso un vecchio e abbandonato cascinale -la cascina Ermengarda- alla periferia di Leno, indicando lo sgabuzzino sito al primo piano, ove era stato trascinato e giaceva il cadavere della ragazza. La polizia giudiziaria documentava fotograficamente e procedeva al campionamento di diverse fascette autobloccanti e di numerose macchie di sangue presenti nei diversi locali, sulla base delle quali e dei rilievi medico-legali i Carabinieri del RIS avrebbero poi enucleato la verosimile ipotesi ricostruttiva degli eventi, fatta propria dai giudici di merito. Il [omissis] faceva altresì rinvenire presso un’altra cascina i jeans e la giacca di [omissis], due rivestimenti del cellulare della stessa, due fazzoletti sporchi di sangue e una confezione di fascette, oltre un grosso coltello di acciaio per cucina. Gli accertamenti medico-legali individuavano sul corpo della ragazza quattro lesioni da punta e taglio, compatibili col coltello sequestrato, di cui due mortali all’emitorace anteriore e posteriore sinistro, una pure potenzialmente letale al collo ma provocata in limine vitae e un’altra alla regione lombare sinistra, oltre ad una ferita toracica più superficiale ed a numerose contusioni, escoriazioni, ecchimosi e ferite da difesa.
Coinvolto dal [omissis] nella vicenda, il giovane amico [omissis] faceva a sua volta il nome di un terzo minorenne, [omissis], ed entrambi facevano quindi il nome dell’odierno imputato, Giovanni XXXX, residente di fronte all’abitazione P., cui attribuivano un preciso ruolo nella dinamica dei fatti, sia nella fase deliberativa che in quella esecutiva. Esaminato su sua richiesta dal G.i.p., all’esito dell’audizione del [omissis] e del [omissis] in sede di incidente probatorio, l’XXX rendeva parziali ammissioni circa la partecipazione all’incontro preliminare, in cui si era progettato di portare con un pretesto [omissis] nella cascina abbandonata per abusarne sessualmente, e la sua effettiva presenza nella medesima cascina il pomeriggio del 28 settembre.
Dall’analisi delle tracce ematiche rinvenute all’interno della cascina il R.I.S. dei Carabinieri enucleava infine l’ipotesi di ricostruzione sequenziale degli avvenimenti, posta a base della prospettazione accusatoria.
1.1.- Tenuto conto della sostanziale coerenza tra le risultanze delle indagini tecniche e degli accertamenti medico-legali, le parziali ammissioni dell’imputato e il nucleo fondamentale delle dichiarazioni accusatorie degli imputati minorenni [omissis] e [omissis], il G.u.p. del Tribunale di Brescia, investito del rito abbreviato, riteneva provata la presenza fisica e la partecipazione diretta dell’XXX a tutte le cadenze principali del fatto criminoso e lo dichiarava colpevole dei delitti di violenza sessuale di gruppo e di sequestro di persona, unificati nel vincolo della continuazione, nonché del delitto di omicidio pluriaggravato, oltre che del reato di spaccio di sostanze stupefacenti, condannandolo, negate le attenuanti generiche e con la diminuente del rito, alla pena dell’ergastolo, oltre al risarcimento dei danni a favore dei genitori di [omissis], costituitisi parti civili.
1.2.- La Corte di assise di appello di Brescia, disattese le eccezioni difensive di inutilizzabilità delle dichiarazioni parzialmente confessorie rese dall’XXX al G.i.p. e respinte le istanze di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, pur ribadendo la tesi della partecipazione diretta dell’imputato alle principali cadenze della vicenda criminosa, accoglieva parzialmente l’appello dell’imputato relativamente all’esclusione delle aggravanti dell’omicidio di cui agli artt. 576, comma 1 nn. 1 e 5, e 577, comma 1 n. 4, in relazione agli artt. 61 nn. 1 e 2 c.p., sull’assunto che: l’aggravante dell’art. 576 comma 1 n. 5 si riferisce a figure di reato, quelle degli artt. 519-520-521, ormai espunte dall’ordinamento a seguito della riforma dei reati sessuali di cui alla legge n. 66 del 1996, e in ogni caso la violenza sessuale di gruppo costituisce una fattispecie autonoma a concorso necessario, rispetto alla quale non è dato rinvenire continuità normativa con le ipotesi abrogate; non era configurabile né provata la finalizzazione dell’omicidio all’occultamento dell’abuso sessuale o ad assicurarsi l’impunità dal medesimo reato, poiché la situazione era ormai uscita di controllo a causa dell’improvvisa furia omicida del [omissis]; la futilità del motivo, pertinente alla condotta del materiale esecutore a fronte della reazione ingiuriosa della vittima, non si comunicava per il suo carattere soggettivo al coimputato. Di talché, con sentenza del 26/5/2004 la Corte distrettuale, concesse le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla residua aggravante della crudeltà di cui all’art. 61 n. 4 c.p., riduceva la pena ad anni 20 di reclusione [p.b. per l’omicidio anni 23 + anni 7 per il concorrente reato continuato di sequestro di persona e violenza sessuale + anni 2 per il reato di spaccio di stupefacenti = anni 32, ridotti ex art. 78 c.p. ad anni 30 – 1/3 per il rito abbreviato = anni 20], con conseguente revoca della pubblicazione della sentenza e limitazione di durata pari a quella della pena detentiva delle pene accessorie dell’interdizione legale e della sospensione della potestà genitoriale; confermava nel resto la decisione di primo grado.
2.- Avverso la predetta sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione il difensore dell’imputato e il P.G. presso la Corte d’appello di Brescia, cui hanno fatto seguito note di replica del primo e memoria difensiva del procuratore speciale delle parti civili.
2.1.- Il difensore dell’imputato, dopo avere ribadito l’eccezione di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dallo stesso davanti al G.i.p. all’esito dell’incidente probatorio fissato per l’audizione del [omissis] e del [omissis], nonché criticato la denegata rinnovazione dell’istruzione probatoria mediante il riesame dei coimputati minorenni e la perizia psichiatrica sulla fragile personalità dell’XXX, ha dedotto la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla individuazione del ruolo e dello specifico contributo concorsuale dell’imputato. Le sequenze fattuali sarebbero state ricostruite e la sua partecipazione alla vicenda criminosa affermata in forza di elementi indiziari inattendibili, incerti e congetturali, in particolare circa l’apporto operativo consistito nell’ostacolare la fuga della vittima e nel prestare aiuto all’aggressore determinato ad ucciderla. In ogni caso, quantomeno ai fini dell’ipotesi subordinata della diminuente di cui all’art. 116 c.p., secondo l’alternativa ricostruzione dei fatti prospettata dalla difesa del ricorrente, l’eventuale presenza dell’XXX nella cascina si sarebbe verosimilmente verificata quando la vittima era già stata colpita a morte e trovavasi accasciata per terra ai piedi della scala, mentre la furibonda reazione del [omissis], in preda ad una furia omicida, segnava ormai “un’invalicabile cesura tra gli atti sessuali e la deviazione da essi verso approdi nemmeno immaginati”, diversi e più gravi rispetto al reato voluto, oltre ogni possibilità di intervento dell’XXX per arrestare l’esecuzione omicidiaria. Ha denunziato inoltre la difesa dell’imputato l’erronea applicazione dell’aggravante della crudeltà, poiché le efferate e atroci modalità esecutive dell’omicidio, per il loro contenuto soggettivo, appartenevano esclusivamente alla sfera morale del [omissis], determinato da una ormai incontenibile furia ad uccidere [omissis], dalla quale era stato deriso e insultato. Quanto al sequestro di persona, se ne è contestata la coesistenza con il delitto di violenza sessuale, la quale avrebbe comportato di per sé una transitoria e funzionale limitazione della libertà di movimento della vittima, senza un’apprezzabile soluzione di continuità fra i segmenti dell’azione. Infine, sono stati censurati l’omesso riconoscimento dell’attenuante della minima importanza della partecipazione alla vicenda criminosa ex art. 114 c.p. e l’erroneo giudizio di equivalenza fra le attenuanti generiche e l’unica, residua aggravante.
Il difensore delle parti civili ha replicato censurando l’inammissibilità del ricorso dell’imputato, essendosi questi limitato a proporre una ricostruzione alternativa degli eventi non consentita in sede di legittimità ovvero ad avanzare richieste manifestamente infondate.
2.2.- Il P.G. presso la Corte d’appello di Brescia ha dedotto a sua volta:
a] la manifesta illogicità della motivazione quanto all’esclusione per l’omicidio dell’aggravante del nesso teleologico, sul rilievo che l’uccisione della ragazza aveva l’obiettivo di procurarsi l’impunità dai delitti di sequestro di persona e di violenza sessuale facendo tacere per sempre la vittima, sul cui corpo, pure in assenza di segni dei palpeggiamenti, erano comunque visibili le tracce lesive [tagli, graffi, ecchimosi] dell’aggressione subita;
b] l’erronea applicazione della legge penale quanto all’esclusione per l’omicidio dell’aggravante di cui all’art. 576, comma 1 n. 5, c.p. in relazione al contestuale delitto sessuale di gruppo, attesa la prospettata continuità [non solo delle tradizionali condotte di violenza sessuale descritte negli artt. 609-bis e 609-ter, ma anche] della speciale e concorsuale figura criminosa di cui all’art. 609-octies rispetto alle abrogate fattispecie di cui agli artt. 519-520-521, tuttora richiamate dall’art. 576 per un mero difetto di coordinamento legislativo, con l’ulteriore conseguenza che l’illecito sessuale, degradato ad aggravante dell’omicidio, sarebbe in questo assorbito componendo la figura del reato complesso di cui all’art. 84 c.p.;
c] l’erronea applicazione della legge penale quanto all’esclusione per l’omicidio dell’aggravante dei motivi abietti e futili, ritenuta per il suo carattere soggettivo propria del [omissis] e non estensibile al coimputato XXX, che pure aveva contribuito al risultato finale condividendo consapevolmente gli sviluppi dell’azione esecutiva del primo.
Ha postulato quindi il P.G. una rinnovata valutazione delle circostanze aggravanti erroneamente escluse e un nuovo giudizio di comparazione tra le stesse e le attenuanti generiche, la cui concessione a favore dell’imputato non è stata tuttavia contestata.
All’atto di impugnazione del rappresentante della pubblica accusa ha replicato la difesa dell’imputato, ribadendo la tesi della discontinuità normativa fra le abrogate fattispecie degli artt. 519-520-521 c.p. e la nuova, autonoma e speciale, fattispecie della violenza sessuale di gruppo, costruita dalla dottrina e dalla giurisprudenza come reato plurisoggettivo a concorso necessario: donde la non riferibilità dell’aggravante di cui all’art. 576 comma 1 n. 5 al delitto di cui all’art. 609-octies c.p.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3.– Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni in rito sollevate dal difensore dell’XXX, in punto di ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni da questi rese nel corso di incidente probatorio davanti al G.i.p. e di denegata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, mediante la riaudizione dei coimputati minorenni e la perizia psichiatrica sulla personalità dell’imputato.
Ritiene il Collegio che la prima eccezione, oltre ad essere formulata in termini generici, risulta manifestamente infondata, poiché l’XXX, dopo avere espressamente e personalmente chiesto al G.i.p. di essere anch’egli esaminato e posto a confronto con i coimputati minorenni [omissis] e [omissis], per i quali era stato appena ultimato il relativo incidente probatorio, ha reso, in sede di interrogatorio e di confronto con i suoi accusatori, dichiarazioni parzialmente confessorie, avvalendosi dell’assistenza del difensore nel pieno contraddittorio tra le parti, e accedendo poi al rito abbreviato, nel quale non rileva comunque la dedotta, e però insussistente, inutilizzabilità “fisiologica” della prova [Cass., Sez. Un., 21/6/2000, Tammaro].
Quanto all’omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, la Corte di assise di appello ha puntualmente replicato alla sollecitazione difensiva con rilievi fattuali attinenti alla completezza dei dati probatori già acquisiti ai fini del decidere. Donde la valutazione, logica e incensurabile in sede di legittimità, di superfluità dei richiesti mezzi di prova, atteso che, da un lato, i coimputati minorenni erano già stati sentiti numerose volte nelle varie fasi del processo, mentre i pur evidenti aspetti di fragilità della personalità dell’XXX e i denunziati “disturbi di ansia”, correlati anche all’abuso di alcool e di sostanze stupefacenti, non giustificavano neppure il dubbio di una loro incidenza sulla normale capacità d’intendere e di volere dell’imputato.
4.– La difesa ha denunziato la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione dell’imputato alla vicenda criminosa, che sarebbe stata affermata in forza di elementi indiziari inattendibili, incerti e congetturali circa l’identificazione del ruolo e dello specifico contributo concorsuale a lui ascritto. Secondo l’alternativa sequenza fattuale prospettata dalla difesa, quantomeno ai fini della diminuente di cui all’art. 116 c.p., l’eventuale presenza dell’XXX nella cascina si sarebbe verificata solo quando la vittima era già stata colpita a morte ai piedi della scala, mentre l’ormai incontrollato comportamento del [omissis], in preda ad una furia omicida, segnava “un’invalicabile cesura tra gli atti sessuali e la deviazione da essi verso approdi nemmeno immaginati”, diversi e più gravi rispetto al reato voluto. Ad avviso del ricorrente meritavano di essere censurati, in ogni caso, l’omesso riconoscimento dell’attenuante della minima importanza della partecipazione ex art. 114 c.p. e, quanto al sequestro di persona, l’affermata coesistenza con il delitto di violenza sessuale, pure in difetto di un’apprezzabile soluzione di continuità fra i segmenti dell’azione criminosa.
Ritiene il Collegio che tutti i suesposti motivi di gravame siano privi di fondamento.
4.1.- Occorre innanzi tutto rammentare, in linea di fatto, che:
– sono stati i minorenni [omissis] e [omissis] a fare per primi il nome dell’odierno imputato, Giovanni XXX, residente di fronte all’abitazione della famiglia P., ma dei cui rapporti con la ragazza era già stata rinvenuta una traccia epistolare nella minuta di un manoscritto della giovane scomparsa, in cui veniva descritto come un insistente ammiratore, che telefonava tutti i giorni destando in lei sentimenti di paura;
– il [omissis] e il [omissis] hanno attribuito all’XXX un preciso ruolo nella dinamica dei fatti: essi, insieme con l’XXX e con un altro minorenne, [omissis], avrebbero concordato fin dal giovedì 26 settembre di attirare con un pretesto [omissis] nella cascina per abusarne sessualmente, confortati dalle assicurazioni dell’adulto che “ci sarebbe stata” come “ci stava con tutti”; l’XXX era presente nella cascina mentre i ragazzi spogliavano e palpeggiavano in varie parti del corpo la ragazza, legata con le mani dietro la schiena con fascette autobloccanti, ed anzi, essendo riuscita la stessa a fuggire per le scale dopo la prima coltellata infertale dal [omissis] a seguito del rifiuto opposto al rapporto sessuale, era stato l’XXX a trattenerla per riaccompagnarla forzosamente al primo piano dove la ragazza, portatasi verso la finestra per l’ennesimo disperato tentativo di fuga, era stata ancora colpita ripetutamente e mortalmente con il coltello dal [omissis]; l’XXX aveva infine contribuito a trascinare il corpo della ragazza nello sgabuzzino;
– lo stesso XXX ha reso parziali ammissioni nel corso dell’interrogatorio davanti al G.i.p., circa la partecipazione all’incontro di giovedì 26 con i ragazzi, in cui s’era recepito il progetto di portare con un pretesto [omissis] nella cascina abbandonata per abusarne sessualmente, e la sua effettiva presenza nella cascina il tardo pomeriggio di sabato 28, ove avrebbe assistito ad una parte dell’aggressione e dalla quale sarebbe fuggito perché impaurito dal comportamento del [omissis];
– gli accertamenti medico-legali hanno individuato sul corpo della ragazza quattro lesioni da punta e taglio, compatibili col coltello fatto rinvenire dal [omissis], di cui due mortali all’emitorace anteriore e posteriore sinistro, una pure potenzialmente letale al collo ma provocata in limine vitae e un’altra alla regione lombare sinistra, oltre ad una ferita toracica più superficiale ed a numerose contusioni, escoriazioni, ecchimosi e ferite da difesa;
– dall’analisi delle tracce ematiche rinvenute all’interno della cascina il R.I.S. dei Carabinieri ha enucleato l’ipotesi di ricostruzione sequenziale degli avvenimenti [il cui caposaldo è costituito dalla impossibilità, per una persona colpita da una coltellata così devastante quale quella all’emitorace anteriore sinistro, di sottrarsi alla presa dei giovani violentatori, di scendere al piano sottostante cercando di guadagnare la porta d’ingresso e con essa la salvezza] nei seguenti termini: la stretta e ripida scala collegante il piano terra al primo piano è stata individuata come la zona maggiormente interessata dalle tracce di sangue appartenenti alla [omissis] e in parte anche al [omissis], feritosi col coltello; in questa zona la ragazza ha cercato ripetutamente e vanamente di puntellarsi, qui ha cercato di fuggire raggiungendo il fondo delle scale per poi essere nuovamente sopraffatta e trascinata al primo piano, sollevata di peso da almeno due persone; gli accoltellamenti mortali alla schiena e lo sgozzamento finale sono avvenuti accanto alla finestra del primo piano, dalla quale la ragazza ha ancora invano cercato di affacciarsi.
Orbene, valutata la sostanziale coerenza tra le risultanze delle indagini tecniche e degli accertamenti medico-legali, le parziali ammissioni – pur ritrattate – dell’imputato, insieme con il falso alibi fornitogli dalla moglie, e il nucleo fondamentale delle plurime e talora contraddittorie dichiarazioni accusatorie degli imputati minorenni [omissis] e [omissis], i giudici del merito hanno ritenuto provata la presenza fisica e la partecipazione diretta dell’XXX a tutte le cadenze principali del fatto criminoso: e cioè, sia all’incontro serale del 26 settembre in cui s’era programmato di attirare con un pretesto la ragazza nella cascina per perpetrare la violenza sessuale anche grazie alle menzogne dell’adulto circa la propensione della stessa a “farsela con tutti”, sia alle condotte di violenza sessuale di gruppo cui aveva quantomeno assistito senza intervenire, sia infine all’uccisione di [omissis], avendo in particolare contribuito ad impedirne la fuga ed a riportarla con la forza al piano superiore, dove le venivano inferte le coltellate mortali. Nonostante le varie e contraddittorie dichiarazioni del [omissis], del [omissis] e dell’XXX, rimangono, infatti, taluni indiscutibili punti fermi in ordine alla circostanza della contemporanea presenza dell’imputato all’intera sequenza dei tragici avvenimenti, coerenti peraltro con gli oggettivi rilievi di polizia giudiziaria e con gli esiti delle citate indagini tecniche del R.I.S. e medico-legali, con particolare riguardo alle singole fasi: dell’incontro del 26 settembre in cui si presero gli accordi per attirare con un pretesto [omissis] nella cascina il successivo sabato onde abusarne sessualmente; del procacciamento delle fascette autostringenti e del coltello [di cui parlano l’XXX e sua moglie in due conversazioni telefoniche intercettate]; della fuga della ragazza per le scale dopo il tentativo di immobilizzazione della stessa mediante le fascette adesive, il parziale denudamento, gli atti di violenza sessuale consistiti in palpeggiamenti del corpo ed il primo accoltellamento inferto per vincerne la resistenza; della caduta, dell’arresto, del mancato aiuto e anzi del riaccompagnamento forzoso della stessa al primo piano, ove veniva ripetutamente accoltellata alle spalle mentre era vicina alla finestra per poi subire il colpo finale alla gola.
Così ricostruiti, con analitico e puntuale apparato argomentativo, i distinti momenti della complessa vicenda criminosa e, all’interno della descritta sequenza fattuale, i più significativi aspetti dello specifico contributo concorsuale recato dall’XXX al sequestro, agli atti di violenza sessuale e all’omicidio di [omissis] [ben oltre, dunque, la mera presenza passiva postulata dalla difesa], risulta ineccepibile la logica conclusione – oltre il ragionevole dubbio – che la fattiva collaborazione dell’imputato a trattenere la vittima che s’era data alla fuga per le scale ed all’operazione di riaccompagnamento forzoso al piano superiore, alla mercé quindi dell’aggressore armato di coltello, dal quale era già stata minacciata e gravemente ferita, comportava la consapevole adesione dell’XXX alla prosecuzione degli atti di violenza e, in termini di altissima probabilità [perciò di dolo diretto], attesa la furia omicida palesata dal [omissis], alla imminente realizzazione dell’evento omicidiario. Ed invero, una volta resosi conto che il [omissis] stava colpendo la ragazza con il coltello, solo con il delineato atteggiamento di adesione al dolo omicidiario, derivante dal timore di essere anch’egli accusato ove la stessa fosse riuscita a sfuggire agli aggressori, poteva giustificarsi l’aiuto prestato a ricondurla al piano superiore dove le vennero inferti i colpi mortali. Specifico e consapevole contributo causale per la realizzazione dell’impresa criminosa, questo, che per il consistente rilievo psicologico che lo sorregge esclude in radice la configurabilità del prospettato concorso anomalo ex art. 116 c.p..
Di talché, considerato che dei principi che presidiano l’acquisizione della prova e la sua valutazione la Corte distrettuale ha fatto corretta applicazione, con motivazione adeguata e articolata, estesa a tutti gli elementi offerti dal processo, dando ragione delle scelte eseguite e dell’assoluta preponderanza ed univoca convergenza delle prove d’accusa, concludendo quindi senza contraddizioni logiche per la responsabilità del ricorrente, le doglianze di quest’ultimo attinenti alla ricostruzione probatoria dei fatti o alla loro qualificazione giuridica per i profili dell’elemento psicologico, si rivelano infondate, sollecitando esse in realtà il riesame nel merito della decisione impugnata, che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità, laddove la Corte distrettuale, come nella specie, abbia esplicitamente motivato circa tutti i punti oggetto delle specifiche ragioni di gravame.
4.2.- Risulta altresì priva di pregio, per il medesimo ordine di considerazioni, la doglianza del ricorrente relativa al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p., avendo i giudici del merito ritenuto, con esauriente e logico apparato argomentativo, che il ruolo svolto dall’XXX, lungi dall’essere stato marginale, era stato determinante e indispensabile, sia per la deliberata programmazione degli abusi sessuali sia per l’accertata partecipazione all’interno della cascina alle fasi del sequestro e della violenza sessuale, seguite dalla forte reazione e dall’uccisione della vittima. Di talché, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, da un lato il contributo concorsuale dell’XXX aveva rivestito efficienza causale, essendosi posto come condizione necessaria dell’evento lesivo, e dall’altro esso non era stato tale da poter essere avulso, senza apprezzabili conseguenze pratiche, dalla serie causale produttiva dell’evento.
4.3.- Anche per il capo relativo al sequestro di persona le decisioni di merito sono sorrette da un corretto e logico apparato argomentativo, ancorato a precise risultanze probatorie, essendosi evidenziato che, pur comportando la violenza sessuale di per sé una transitoria e funzionale limitazione della libertà di movimento della vittima [assorbendo in questo caso il giudizio di riprovevolezza di tale illecita condotta], nel caso concreto [omissis] venne privata della libertà personale per un tempo più ampio di quello necessario per realizzare gli atti di violenza sessuale, avendo la ritenzione e l’immobilizzazione della vittima contro la sua volontà anticipato di un congruo momento gli atti sessuali: questi, infatti, sicuramente iniziarono dopo le ore 16,00, mentre già alle ore 15,47 la ragazza era stata immobilizzata e le era stato sottratto il cellulare, con il quale il [omissis], inserendovi la sua scheda, avrebbe fatto una prima telefonata.
4.4.- Quanto al riconoscimento dell’esistenza a carico dell’XXX dell’aggravante per il delitto omicidiario di cui all’art. 577 n. 4, in relazione all’art. 61 n. 4 c.p. [avere agito con crudeltà verso la vittima per le atroci ed efferate modalità esecutive dell’omicidio], la relativa censura del ricorrente, argomentata sull’assunto che essa, per il suo carattere soggettivo, apparterrebbe esclusivamente alla sfera morale del [omissis], determinato da una ormai incontenibile furia ad uccidere [omissis], dalla quale era stato deriso e insultato, si palesa priva di fondamento.
E’ bensì vero che la circostanza aggravante in esame ha natura soggettiva, in quanto attiene alla intensità del dolo del soggetto agente, rivelandone l’indole particolarmente malvagia e l’insensibilità a ogni richiamo umanitario [Cass., Sez. I, 30/05/1980, Milan, rv. 146064; Sez. I, 6 ottobre 1987, Mastrotaro, rv. 177452]. Ma la Corte distrettuale, ai fini del criterio di imputazione disciplinato dagli artt. 59 comma 2 e 118 c.p., sost. rispettivamente dagli arrt. 1 e 3 L. 7/2/1990 n. 19, ha posto correttamente in rilievo come il ricorrente, nel momento in cui ebbe ad impedire la fuga della ragazza, già ferita a colpi di coltello ripetutamente infertile dal [omissis], ed a riportarla poi di peso al primo piano della cascina nelle mani dello stesso, non poteva non avere piena consapevolezza e perciò rappresentarsi i mezzi e le spietate modalità con cui l’aggressore, ancora in possesso del micidiale coltello, avrebbe proseguito nell’azione omicida, culminata addirittura con la recisione della gola quando la vittima era ancora viva. Di guisa che la relativa aggravante non può non essere riferita anche al soggetto che abbia dato la sua adesione, col proprio volontario contributo, alla realizzazione dell’evento criminoso e, prima dell’esaurirsi del suo apporto, ne abbia maturata e fatta propria la particolare intensità del dolo.
4.5.- Il ricorso dell’imputato va pertanto respinto con le conseguenze di legge, mentre, con riguardo alla residua doglianza difensiva avente ad oggetto il giudizio di equivalenza e la denegata prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante della crudeltà – l’unica ritenuta sussistente dai giudici di appello -, il relativo motivo di gravame deve ritenersi assorbito nelle statuizioni di accoglimento delle ragioni di ricorso del P.G., di cui appresso si dirà, restando affidato al giudice di rinvio il compito di provvedere al rinnovato apprezzamento circa la sussistenza delle altre circostanze aggravanti, pure contestate, ed al conseguente giudizio di comparazione delle stesse con le attenuanti generiche, e quindi all’eventuale rideterminazione della pena.
5.1.– Il P.G. ricorrente ha denunziato, a sua volta, l’erronea applicazione della legge penale, quanto all’esclusione per l’omicidio dell’aggravante del motivo abietto e futile di cui all’art. 577 n. 4, in relazione all’art. 61 n. 1 c.p., che la Corte d’appello ha ritenuto, per il suo carattere soggettivo, proprio del [omissis] e non estensibile al coimputato XXX, il quale avrebbe contribuito al raggiungimento del risultato finale “per una diversa motivazione, di ben più cospicuo spessore, rappresentata dalla necessità di evitare che fosse rivelato il compiersi di un tentato omicidio”.
Il motivo di gravame è fondato poiché – come si è già osservato a proposito della “crudeltà” – la natura soggettiva e personale della circostanza aggravante in esame, siccome attinente alla intensità del dolo del soggetto agente, non comporta affatto, secondo una irragionevole applicazione del criterio di imputazione disciplinato dagli artt. 59 comma 2 e 118 c.p., che la stessa possa riguardare solo la sfera morale del [omissis], rimanendo invece automaticamente estranea all’XXX. Sembra infatti logico ritenere, come ha affermato il giudice di primo grado e come ha prospettato la pubblica accusa, che l’XXX, nel concorrere volontariamente e consapevolmente al risultato finale e nel condividere gli sviluppi dell’azione esecutiva, sia stato altresì in grado di rappresentarsi la palese viltà e l’enorme sproporzione dei motivi del gesto omicidiario, e perciò di maturare e fare propria la particolare intensità del dolo che lo ha assistito.
5.2.- Risulta parimenti fondato l’ulteriore motivo di ricorso con il quale il P.G. ha dedotto la manifesta illogicità della motivazione quanto all’esclusione per l’omicidio dell’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 576 comma 1 n. 1, in relazione all’art. 61 n. 2 c.p., che, secondo la contestazione, sarebbe stato commesso per occultarne un altro ovvero per assicurarsi l’impunità del delitto di violenza sessuale di gruppo.
Infatti, le affermazioni della sentenza impugnata [pag. 46] secondo cui, da un lato, la finalizzazione dell’omicidio ad occultare l’abuso sessuale non sarebbe configurabile “perché l’omicidio della vittima non nasconde le eventuali tracce dell’abuso” e, dall’altro, “l’aiuto prestato dall’XXX non pare rivestire la finalità di evitare la scoperta del reato sessuale o di procurarsi l’impunità per tale delitto, ma è conseguenza della presa d’atto che la situazione era uscita di controllo e che occorreva evitare che la ragazza, già aggredita nella sua fisica incolumità, denunciasse qualche cosa di ben più grave che una molestia sessuale”, si palesano meramente apodittiche, disancorate da ogni base fattuale e probatoria, oltre che in insanabile contraddizione con quanto si legge in altri passaggi della motivazione.
Ed invero, dall’affermazione contenuta nella medesima sentenza [pag. 42], laddove si sostiene che il comportamento attivo tenuto dall’XXX, nell’impedire alla [omissis] di fuggire, era “diretto ad evitare che la giovane desse l’allarme” e quindi potesse denunciare i gravi delitti fino a quel momento commessi, sembra lecito desumere, come lineare e logico corollario, la concreta configurabilità, tra i motivi soggettivi dell’apporto concorsuale dell’XXX all’uccisione della ragazza, anche dell’obiettivo di occultare o conseguire l’impunità dai delitti di sequestro di persona e di violenza sessuale, facendo tacere per sempre la vittima, sul cui corpo, pure in assenza di segni dei palpeggiamenti, erano comunque visibili le tracce lesive dell’aggressione subita.
Entrambi i punti controversi, riguardanti l’applicazione delle circostanze aggravanti del motivo abietto e futile e del nesso teleologico, dovranno essere oggetto, pertanto, di una nuova valutazione da parte del giudice di merito.
6.- Il P.G. ricorrente ha infine censurato l’erronea applicazione della legge penale quanto all’esclusione per l’omicidio dell’aggravante di cui all’art. 576, comma 1 n. 5, c.p. in relazione al contestuale delitto sessuale di gruppo, sul rilievo – contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte distrettuale – della continuità normativa della speciale figura criminosa di cui all’art. 609-octies rispetto alle abrogate fattispecie di cui agli artt. 519-520-521, tuttora richiamate dal n. 5 dell’art. 576.
Il Collegio deve dunque rispondere al duplice quesito interpretativo: a] se la circostanza aggravante prevista dall’art. 576, comma 1 n. 5 c.p. per il reato di omicidio, quando sia stato eseguito “nell’atto di commettere taluno dei delitti previsti dagli artt. 519, 520 e 521”, sia tuttora configurabile, nonostante l’abrogazione di queste ultime disposizioni ad opera dell’art. 1 L. 15/2/1996 n. 66, con riferimento ai delitti di violenza sessuale di cui agli artt. 609-bis e segg. c.p., inseriti dalla stessa legge tra i delitti contro la libertà personale, ed in particolare con riferimento all’autonoma fattispecie della violenza sessuale di gruppo prevista dall’art. 609-octies; b] in caso di risposta affermativa, se tale aggravante sia compatibile con quella della connessione teleologica fra l’omicidio e la violenza sessuale, prevista dall’art. 61 n. 2 richiamato dall’art. 576, comma 1 n. 1 c.p..
6.1.- Premesso in linea di fatto che nella ricostruzione probatoria della vicenda criminosa operata dai giudici di merito non è in discussione la sussistenza del requisito, necessario e sufficiente, della connessione di contestualità cronologica fra le condotte integrative dei due reati [Cass., Sez. I, 11/12/1972, Colarusso, rv. 123696-697; Sez. I, 10/2/1992, De Pasquale, rv. 189872; Sez. I, 4/3/1997, P.G. in proc. Chiatti, rv. 207229], nel senso che risulta accertato che in occasione e contemporaneamente agli atti di violenza sessuale sono stati posti in essere altresì atti diretti all’uccisione della vittima, ritiene innanzi tutto il Collegio che il rinvio dell’art. 576 comma 1 n. 5 ai “delitti previsti dagli artt. 519, 520 e 521” abbia natura “formale” anziché “recettizia”.
Pur essendo praticabili anche all’interno del medesimo ordinamento entrambi i modelli di rinvio, la cui scelta rifletterebbe mere esigenze di economia legislativa, deve convenirsi, infatti, che la tecnica del rinvio “mobile” o “formale” appare più coerente al permanente potere del legislatore – frutto delle sue scelte punitive – di modificare, sostituire o addirittura abrogare il preesistente atto normativo. Questo tipo di rinvio consente più realisticamente di fare riferimento non solo alla specifica norma preesistente ma anche alle sue successive vicende modificative, mentre con il rinvio “fisso” o “recettizio” viene recepita per intero, senza che ne sia riprodotto il testo, solo la specifica disposizione incriminatrice all’epoca vigente, della quale si postula la perdurante intangibilità.
E’ pacifico che la ratio della circostanza aggravante in esame é da ravvisare nell’intento di apprestare la rigorosa tutela degli interessi ivi protetti, mediante un più severo trattamento sanzionatorio dei fatti in essa previsti, nel senso di punire più gravemente con la pena dell’ergastolo l’omicidio allorché questo, denotando una più marcata attitudine criminosa dell’agente, sia contestuale alle aggressioni alla libertà sessuale della vittima, originariamente contemplate dagli artt. 519-521 c.p., abrogati dall’art. 1 L. n. 66 del 1996.
Ed è altresì incontroversa, in dottrina e in giurisprudenza, la tesi della continuità normativa tra le previgenti e plurime nozioni di “congiunzione carnale” e di “atti di libidine” mediante violenza, minaccia o abuso di autorità, di cui alle abrogate figure criminose, e la nozione di “atti sessuali”, risultante della somma delle previgenti fattispecie e richiamata dall’art. 609-bis c.p. per la configurabilità del reato di violenza sessuale, nel quale risultano oggi inseriti i medesimi fatti contemplati nelle prime [da ultimo, Cass., Sez. I, 24/2/2004, Ceraulo, rv. 227118; Sez. III, 6/5/2004, Gerboni, rv. 229555]. All’esito della comparazione e del raffronto tra gli elementi strutturali del contenuto normativo delle fattispecie incriminatrici [secondo lo schema ermeneutico disegnato nelle più recenti decisioni delle Sezioni Unite: Sez. Un., 20 giugno 1990, Monaco; Sez. Un., 25/10/2000, Di Mauro; Sez. Un., 9/5/2001, Donatelli; Sez. Un., 27/6/2001, Avitabile; Sez. Un., 26/3/2003, Giordano] persiste infatti, anche se mutato, il giudizio di disvalore astratto per effetto di un nesso di continuità ed omogeneità delle rispettive previsioni e il significato lesivo del fatto storico risulta riconducibile nel suo nucleo essenziale ad una diversa categoria d’illecito, tuttora penalmente rilevante nonostante ed anzi proprio in conseguenza dell’intervento legislativo, formalmente abrogativo. Di talché, la pur espressa abrogazione dell’intero capo I del titolo IX del libro secondo del codice penale non ha certamente comportato una generalizzata abolitio criminis in materia, ma solo un ordinario fenomeno di successione di leggi penali incriminatrici nel tempo, disciplinato dal comma 3 dell’art. 2 c.p., nell’ambito della cennata unificazione delle due fattispecie di cui agli artt. 519-521 nella violenza sessuale di cui all’art. 609-bis.
Ciò posto, occorre concludere che la mancata riformulazione dell’art. 576 comma 1 n. 5 c.p., ad opera della L. n. 66 del 1996, sia ascrivibile a mero difetto di coordinamento legislativo e non possa essere affatto intesa dall’interprete come implicita abrogazione dell’aggravante, che permane nonostante la mutata collocazione dei fatti di reato contemplati nelle disposizioni degli artt. 519-521 in altro titolo e in altre norme dello stesso codice penale, in forza del rinvio “formale” di cui si è fatto cenno.
6.2.- Si sostiene tuttavia, da una parte della dottrina, che il rinvio in esame opererebbe ancora con esclusivo riguardo alle condotte di violenza sessuale già ricadenti nella sfera delle tradizionali figure criminose degli artt. 519-521, oggi descritte negli artt. 609-bis, 609-ter e 609-quater, quindi solo nell’ipotesi di realizzazione monosoggettiva del tipo di illecito, suscettibile di concorso eventuale di persone ex art. 110 c.p., ma non anche per la autonoma e più grave fattispecie criminosa della violenza sessuale di gruppo di cui all’art. 609-octies. In questa, nonostante l’identità del bene giuridico protetto, é configurabile, in considerazione del maggiore grado di intensità dell’offesa alla libertà sessuale della vittima realizzata da “più persone riunite”, un reato plurisoggettivo a concorso necessario [Cass., Sez. III, 3/6/1999, Bombaci, rv. 215148; Sez. III, 13/11/2003, Pacca, rv. 227495], completamente nuovo e non corrispondente alla previgente disciplina, che prevedeva solo la figura dell’ordinario concorso di persone negli atti di violenza. L’esclusione viene dunque motivata [v. anche la sentenza impugnata, pag. 45] con il rilievo che non sussisterebbe alcuna continuità normativa tra i delitti di cui agli abrogati artt. 519-521, per la cui integrazione non era richiesta, oltre all’accordo delle volontà dei compartecipi, anche l’elemento costitutivo della simultanea, effettiva presenza di costoro nel luogo e nel momento di consumazione dell’illecito, e quello di violenza sessuale di gruppo, nella specie contestato e ritenuto a carico dell’XXX.
La tesi, come hanno puntualmente rilevato sia il P.G. ricorrente che il P.G. requirente, non può essere condivisa, per una serie di ragioni di ordine logico-sistematico.
La descrizione legale della condotta tipica, integratrice dell’autonoma fattispecie della violenza sessuale di gruppo, pur connotata dalla contestualità e interazione delle condotte partecipative di più persone riunite nella fase esecutiva del delitto, e sol per questo punita più gravemente e sottratta al regime ordinario di perseguibilità a querela, rinvia secondo la formulazione letterale del primo comma dell’art. 609-octies, quanto alle modalità dell’azione criminosa, alla unitaria nozione degli “atti di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis”.
Orbene, se è esclusivamente il dato della “partecipazione da parte di più persone riunite ad atti di violenza sessuale” a svolgere il ruolo di elemento specializzante e aggiuntivo, che qualifica in termini di autonomia la fattispecie a concorso necessario della violenza sessuale di gruppo, rispetto alla tipicità generale del concorso di persone, non sembra possa dubitarsi che la condotta integratrice di base del delitto in esame sia pur sempre costituita dai singoli atti di violenza sessuale realizzati dai soggetti agenti, in forma monosoggettiva o plurisoggettiva, che corrispondono ontologicamente e strutturalmente alle tradizionali ipotesi di atti di libidine e di congiunzione carnale violenta, prima previste dalle abrogate norme degli artt. 519-521 ed oggi sostanzialmente sussumibili nell’unitaria nozione di cui all’art. 609-bis.
Di talché, una volta individuato, all’esito del raffronto strutturale tra gli elementi descrittivi delle astratte fattispecie, un rapporto di specialità “per aggiunta” tra la fattispecie dell’art. 609-octies e quella dell’art. 609-bis c.p., deve convenirsi che anche in riferimento alla figura criminosa della violenza sessuale di gruppo, attesa la persistente e prevalente rilevanza lesiva dell’elemento comune e tipico alle due fattispecie, si pone in termini di continuità [lo stupro di gruppo essendo certamente punibile già in base alla legge precedente, a titolo di concorso di persone nel reato ex artt. 519-521] un ordinario fenomeno di successione di leggi penali incriminatrici nel tempo, disciplinato dal comma 3 dell’art. 2 c.p., nell’ambito della cennata unificazione delle due fattispecie di cui agli artt. 519-521 nella violenza sessuale di cui all’art. 609-bis [Cass., Sez. III, 1/7/1996, Hodca, rv. 205798].
D’altra parte, essendo confermata la vigenza della previsione aggravatoria comportante la pena dell’ergastolo nelle ipotesi meno gravi di realizzazione monosoggettiva o di concorso eventuale ex art. 110 c.p. in atti di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis, sarebbe, oltre che iniquo, davvero irrazionale da un punto di vista logico-sistematico, considerata la ratio dell’aggravamento, interpretare la mancata riformulazione dell’art. 576 comma 1 n. 5 c.p., ad opera della L. n. 66 del 1996, nel senso della sua implicita abrogazione limitatamente alla più grave ipotesi dell’omicidio commesso nell’atto di eseguire una violenza sessuale di gruppo. Figura questa che, al di là dell’elemento specializzante e aggiuntivo della “partecipazione da parte di più persone riunite ad atti di violenza sessuale”, risulta per contro sovrapponibile, nel nucleo essenziale e negli elementi strutturali di base della norma incriminatrice, alle abrogate fattispecie degli artt. 110, 519-521 c.p., unificate nel nuovo art. 609-bis.
Ne deriva quale ulteriore conseguenza che, in tal caso, il delitto di violenza sessuale di gruppo, considerato come circostanza della forma aggravata dell’omicidio se commesso in un unico contesto temporale, non concorre formalmente bensì resta in questo assorbito, venendo a confluire nella figura del reato complesso in senso stretto di cui all’art. 84 comma 1 c.p., punibile con l’ergastolo [Cass., Sez. I, 11/12/1972, Colarusso, rv. 123697; Sez. I, 10/2/1992, De Pasquale, rv. 189872].
6.3.- Avendo dato risposta affermativa al primo quesito interpretativo, la Corte è chiamata a pronunziarsi sull’ulteriore questione se l’affermata sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 576 comma 1 n. 5, con il conseguente assorbimento del delitto di violenza sessuale di gruppo in quello di omicidio, sia compatibile con il riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 2 richiamato dall’art. 576, comma 1 n. 1, contestata anche con riferimento al fine di occultare e conseguire l’impunità del primo dei menzionati delitti [oltre che del sequestro di persona], ovvero ne comporti l’esclusione.
Premesso che ben possono coesistere, dal punto di vista storico-fattuale, la contestualità cronologica e il collegamento di tipo finalistico fra le condotte e le distinte volizioni dell’omicidio e della violenza sessuale, ritiene il Collegio [richiamandosi sul punto alla Relazione ministeriale al progetto definitivo del codice penale del 1930 – p. 369 – e aderendo ad un pur remoto, ma non contrastato, indirizzo giurisprudenziale: Cass., Sez. I, 27/7/1937, Sotgiu; Sez. I, 28/1/1955 n. 142, Bertolino; Sez. I, 10/12/1958 n. 2069, Bianchi] che neppure si ravvisano ostacoli all’affermata compatibilità delle due aggravanti nella costruzione concettuale della figura del reato complesso. Ed invero, la fictio juris dell’assorbimento, in funzione della previsione aggravatoria della pena per l’omicidio, non cancella l’autonomia del delitto di violenza sessuale, ai plurimi e diversi fini di volta in volta rilevanti per le norme di riferimento dell’ordinamento giuridico.
7.- In definitiva, la sentenza impugnata, pronunziata dalla seconda sezione della Corte di assise di appello di Brescia, va annullata con rinvio ad altra sezione della medesima Corte, la quale, uniformandosi ai principi di diritto suenunciati, procederà a nuova valutazione circa la sussistenza delle circostanze aggravanti del nesso teleologico, della connessione cronologica e dei motivi abietti o futili, e quindi alla rielaborazione del giudizio di comparazione e bilanciamento tra le circostanze aggravanti e le attenuanti generiche, irreversibilmente concesse all’imputato in difetto di specifico gravame del P.G. sul punto [restando così assorbito il motivo di ricorso dell’imputato che ne chiede la prevalenza], e alla rideterminazione del complessivo trattamento sanzionatorio.
PER QUESTI MOTIVI
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’esclusione, per il delitto di omicidio, delle aggravanti di cui agli artt. 576, comma 1 nn. 1 e 5, e 577, comma 1 n. 4, in relazione all’art. 61 n. 1 c.p., e rinvia per nuovo giudizio su tali punti e per la conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Brescia.
Rigetta il ricorso dell’XXX, che condanna al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano in complessivi euro 4.240, di cui euro 500 per spese.