Fra le modifiche dell’atto costitutivo della società per azioni la riduzione del capitale sociale rappresenta una vicenda di particolare interesse, cui il legislatore ha dedicato una specifica disciplina (artt. 2445-2447 c.c.).
Prima di esaminare tali norme, è opportuno ricordare che cosa deve intendersi per capitale sociale.
Questa espressione indica “il valore in danaro” dei conferimenti che, al momento della stipulazione del contratto di società, i soci si sono obbligati a conferire e/o hanno conferito.
Esso è destinato a rimanere immutato nel corso della vita della società a meno che non se ne verifichi, attraverso la modificazione dell’atto costitutivo, l’aumento o la riduzione.
Al contrario, il patrimonio sociale, ovvero il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla società, è soggetto a continue variazioni e la sua consistenza viene accertata annualmente con il bilancio di esercizio.
Orbene, l’art. 2445 del codice civile prevede un’ipotesi facoltativa di riduzione del capitale sociale qualora esso risulti eccessivo rispetto alle esigenze poste dal conseguimento dell’oggetto sociale.
In questo modo vengono liberate dal vincolo di indisponibilità risorse finanziarie “inutili” in quella impresa, rendendole, invece, utilizzabili per altri investimenti in altre attività produttive.
Poiché questa riduzione potrebbe pregiudicare i creditori sociali e i soci di minoranza, il legislatore ha precisato per la sua realizzazione una serie di cautele sostanziali e procedimentali.
Innanzitutto, l’art. 2447 c.c. prevede l’ipotesi della riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale, fissato dall’art. 2327 c.c. Nella cifra di centomila euro. Al verificarsi di siffatta vicenda, gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al minimo di legge oppure la trasformazione del tipo di società o, ex art. 2448 c.c. n. 4, lo scioglimento della società.
Sebbene l’art. 2447 c.c. Non ne faccia menzione, la giurisprudenza ritiene che in questa ipotesi debbano essere osservati i medesimi adempimenti previsti dall’art. 2446 c.c., per il caso di riduzione del capitale di oltre un terzo in conseguenza di perdite.
Quindi, all’assemblea deve essere disposta una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale, e il tutto deve restare depositato nella sede sociale durante gli otto giorni che precedono l’assemblea, affinchè i soci possano prenderne visione.
L’art. 2447 c.c. Fa riferimento alla sola ipotesi di riduzione del capitale al di sotto del limite legale; non considera, invece, il caso di persita totale del capitale sociale.
Tuttavia, è giurisprudenza consolidata che in questa situazione valgono norme equivalenti.
Dunque, l’assemblea potrà evitare la messa in liquidazione della società, deliberando l’azzeramento del capitale e la sua contestuale ricostituzione, con il riconoscimento ali azionisti del diritto di opzione (cfr, Cass. 133/1987; 4089/1980).
la soluzione giurisprudenziale non è condivisa da larga parte della dottrina. Vi è, infatti, chi ritiene che l’art. 2447 c.c. Sia inapplicabile all’ipotesi di perdita integrale del capitale e che, in tale caso si verifichi inesorabilmente lo scioglimento della società, per impossibilità di realizzare l’oggetto sociale o per impossibilità di funzionamento della società.
L’azzeramento e la contestuale ricostituzione del capitale sono stati considerati lesivi del diritto del singolo azionista alla conservazione della qualità di socio.
Al riguardo si è osservato che, azzerato il valore minimale delle azioni, il socio si troverebbe di fronte all’alternativa se concorrere nell’aumento del capitale sociale, attraverso un nuovo conferimento, oppure perdere la qualità di socio e con essa ogni diritto nel patrimonio sociale, che potrebbe vantare ancora di posizioni attive.
Infatti, come si è già ricordato, la nozione di capitale sociale è diversa da quella di patrimonio sia per contenuto che per funzioni. Pertanto, la perdita totale del primo non implica, necessariamente, perdita totale del secondo. Del resto, non risultano dal bilancio valori come l’avviamento.
Per tutelare l’interesse del socio a restare tale, si è sostenuto che la delibera di azzeramento e di reintegrazione del capitale dovrebbe essere adottata non a maggioranza, bensì all’unanimità.
Tale opinione non appare condivisibile per diversi ordini di ragione: 1) perchè ai soci dissenzienti è riconosciuto un diritto di opzione nell’aumento del capitale, per cui la perdita della qualità di socio è sempre imputabile ad una sua autonoma scelta; 2) perchè contro comportamenti fraudolenti della maggioranza, volti esclusivamente ad arrecare pregiudizio ai soci di minoranza, esistono a favore di questi ultimi diversi rimedi, fra i quali l’impugnazione della delibera per violazione del principio di correttezza e buona fede o per abuso di potere.
L’azzeramento del capitale deve essere distinto dalle vicende previste dagli artt. 2447 e 2448, n. 4, c.c.: nel caso in cui il socio non sottoscriva la ricostruzione del capitale azzerato, perde la qualità di socio, in quanto le sue azioni vengono annullate; all’opposto, il socio che sottoscrive l’aumento del capitale, ai sensi dell’art. 2447 c.c., resta socio, anche se la sua quota di partecipazione si è ridotta; per effetto dello scioglimento il socio perde ugualmente la qualità di socio. Sicchè il diritto di socio che si intende tutelare altro non è che il diritto alla liquidazione della società.
Tuttavia la perdita del capitale sociale non è di per sé unica causa di scioglimento.
È vero che potrebbe dar luogo ad una delle altre cause previste dall’art. 2448 c.c., però vi darà luogo solamente se la società non riesca ad evitare la perdita del proprio capitale, procedendo alla sua ricostituzione.
Si scioglierà se si asterrà dal deliberare la ricostituzione del capitale perduto o se il nuovo capitale non trovi sottoscrittori. È individuabile contro la ricostituzione del capitale perduto il diritto del socio alla liquidazione che presuppone una causa di scioglimento della società.
La cessazione della propria partecipazione sociale per effetto dell’integrale perdita del capitale cui si riferisce è un rischio che corre, in quanto tale, ogni socio di società di capitali.
Il diritto di opzione gli permette di conservare in proporzione inalterata la propria partecipazione alla società. Spetta, dunque, al socio decidere liberamente se restare o non restare in società. Sicchè se decide di non restare in società lo fa per fatto proprio, non perchè escluso dalla società.
Sulla scorta di tali considerazioni, è possibile concludere che l’azzeramento del capitale e la contestuale ricostituzione persegua la finalità primaria di evitare lo scioglimento della società e che una valida tutela del socio è individuabile nel suo diritto di opzione. Il problema, allora, consiste nel verificare se siffatto diritto di opzione possa essere escluso. Sul punto, comunque, la Cassazione ha avuto modo si precisare che l’assemblea ha facoltà di limitare, giammai di escludere totalm,ente, il diritto di opzione in esame (Cass. 4089/1980).
Emiliana Matrone