La Cassazione, con la sentenza del 14 gennaio 2008 n. 593, ribadisce che nella determinazione del diritto all’assegno divorziale e la sua quantificazione in concreto deve tenersi in conto l’influenza del contributo della coniuge, casalinga e madre, apportato alla conduzione familiare.
In proposito, appare interessante individuare i criteri che devono seguire i giudici per la determinazione e quantificazione dell’assegno in esame. Tale procedimento, in generale, si articola in due fasi:
1) nella prima il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontate ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso dal matrimonio, fissate al momento del divorzio, e quindi procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l’inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell’assegno;
2) nella seconda fase, il giudice deve procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5 comma 6, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 – e cioè delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.
Nel caso concreto, nella determinazione dell’assegno divorzile i giudici di merito hanno esaminato le rispettive posizioni economiche delle parti, ma non hanno fatto alcun riferimento al dedotto contributo della coniuge, casalinga e madre, alla conduzione familiare durante la ventennale convivenza. Sulla scorta di tanto, la Corte osserva l’influenza del contributo apportato alla conduzione familiare non risulta essere stato oggetto di alcuna valutazione come invece avrebbe dovuto in base ai principi sopra menzionati.
Emiliana Matrone
Cassazione civile, Sez. I, 14 gennaio 2008, n. 593
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 17 giugno 1999 I. P. chiedeva al Tribunale di Roma la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con S. F. nel 1976, nonché un assegno divorzile di L. 800.000 ed un contributo di L. 500.000 per il mantenimento della figlia F., con lei convivente.
Si costituiva il F., aderendo alla domanda di divorzio, ma contestando le richieste economiche, perché la moglie sarebbe stata in grado di mantenersi da sola e perché i figli vivevano con lui.
Con sentenza depositata il 12 febbraio 2001 il Tribunale, accertato che la figlia F. non viveva più con la madre, respingeva la domanda di contributo al mantenimento della figlia e riconosceva alla P. un assegno divorzile di L. 300.000 mensili. Il Tribunale respingeva altre domande riconvenzionali proposte dal F..
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 20 maggio – 4 luglio 2003, respingeva sia l’appello principale della P., volto ad ottenere l’aumento dell’assegno divorzile a L. 1.000.000 mensili, sia l’appello incidentale del F., avente per oggetto l’eliminazione ovvero la riduzione dell’assegno divorzile a suo carico, la riconsegna della casa coniugale nonché altre richieste.
Avverso la sentenza d’appello S. F. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
I. P. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale, sulla base di due motivi.
Il F. ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni contro la stessa sentenza.
E’ inammissibile la produzione della documentazione allegata alle memorie, non ricorrendo le ipotesi previste dall’art. 372 c.p.c. per il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo.
2. Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente principale lamenta contraddittoria e insufficiente motivazione sul punto decisivo della controversia relativo alla valutazione dei redditi percepiti dal F. (art. 5 legge 898/1970).
Si sottolinea che il giudice di appello aveva indicato un reddito di Euro 1.700 mensili, che non corrispondeva nemmeno a quello lordo e che sembrava frutto di un mero errore cagionato dal cambio Lira-Euro, dovendosi intendere 1.700.000 L. mensili. Dalle buste paga del 2001 emergeva un reddito lordo del F. mediamente di L. 3.300.000, che dopo le detrazioni di legge e di diritto si riduceva in media a L. 1.500.000 mensili. Il reddito netto medio mensile, sulla base del reddito annuo, era stato di L. 1.430.250, pari ad Euro 738,66. Ne risultava un evidente squilibrio a favore della P., che guadagnava 1.000, 00 – 1.200,00 Euro mensili.
3. Il motivo è inammissibile, non potendosi in questa sede di legittimità riesaminare gli elementi di fatto riguardanti il merito della causa né effettuare valutazioni basate su di essi.
Eventuali errori del giudice di merito su tali elementi possono essere fatti valere quali vizi revocatori, ove ricorrano le condizioni di legge.
4. Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia contraddittoria, erronea ed omessa motivazione in ordine alla comparazione dei redditi delle parti ed alle circostanze di fatto che avevano determinato l’attribuzione dell’assegno divorzile (art. 5 legge 898/1970).
Erroneamente la Corte di appello non aveva attribuito alcuna conseguenza di natura economica all’invalidità del 67% del F., riconosciuta nel 1996, neppure sotto il profilo della diminuita capacità di guadagno da parte del ricorrente, che non può svolgere lavoro straordinario presso l’ente di appartenenza.
Inoltre, il giudice di appello, nel giudizio di comparazione dei redditi, non aveva considerato che il F. dopo la separazione era rimasto privo di abitazione ed era stato costretto a prenderne ed arredarne un’altra a prezzo di un forte indebitamento con la Findomestic, risultante dalla busta paga, e che l’abitazione coniugale, di proprietà dell’IACP, era stata assegnata alla P., che non paga l’affitto, posto a carico del F. in sede di separazione.
La P. obietta che il giudice di primo grado aveva stabilito che l’invalidità del 67% del F. non aveva comportato alcuna diminuzione di reddito per lo stesso, che continuava a svolgere regolarmente la propria attività di geometra presso lo IACP, ora ATER.
5. Anche questo motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata non prende in esame l’elemento dell’invalidità del F., ma quest’ultimo non ha specificato nel ricorso – come sarebbe stato suo onere, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass. 13 luglio 2004 n. 12912, Cass. 11 giugno 2004 n. 11133, Cass. 15 aprile 2004 n. 7178, tra le altre; da ultimo, vedi Cass. 45 maggio 2006 n. 12362, Cass. 4 aprile 2006 n. 7825) – in quali esatti termini egli avesse fatto valere tale circostanza dinanzi alla Corte d’appello e quali argomenti ed elementi avesse dedotto, al fine di dimostrarne l’effettiva incidenza sulla sua posizione economica, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado.
Lo stesso vale per il preteso indebitamento per l’acquisto e l’arredo dell’abitazione, che pure non è menzionato dalla decisione impugnata, mentre la questione del pagamento dell’affitto dell’abitazione occupata dalla P., che forma oggetto del terzo motivo del ricorso principale, viene esaminata in riferimento ad esso.
6. Il terzo motivo esprime una doglianza di omessa decisione in merito all’assegnazione dell’abitazione coniugale di via Cerignola 3 (art. 6 legge 898/1970), per non essersi la Corte d’appello pronunciata sulla richiesta del F. in appello volta ad ottenere che fosse annullato l’onere a suo carico del pagamento dell’affitto della suddetta abitazione, che si traduce in un utile per la P..
7. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
La Corte d’appello ha affermato che per la domanda di “riconsegna” della casa familiare valevano le ragioni esposte a proposito della restituzione delle somme corrisposte alla P. per i figli, e cioè che si trattava di somme non previste nell’ambito del procedimento di divorzio e che, se il F. si riferiva ad assegni determinati in sede di separazione, egli avrebbe dovuto attivarsi ex art. 156, ultimo comma, c.c..
In tal modo la sentenza impugnata ha chiarito che il giudice del divorzio non poteva pronunciarsi in ordine a previsioni riguardanti il regime di separazione dei coniugi, che non fossero state confermate nel procedimento di divorzio.
L’affermazione è corretta e vale sia per l’assegnazione della casa coniugale che per l’eventuale onere di pagamento del relativo canone di locazione che fosse stato assunto da uno dei coniugi, trattandosi di condizioni della separazione destinate a venir meno a seguito della cessazione del relativo regime, rispetto alle quali non è configurabile un interesse ad ottenere una pronuncia in questa sede.
8. Con il quarto motivo – privo di intestazione e di riferimenti alla natura del preteso vizio – il ricorrente principale lamenta che il principio del carattere assistenziale dell’assegno divorzile, la cui funzione è quella di conservare al coniuge lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, fosse stato stravolto nel caso in esame, essendosi verificati, a carico del F., uno stato di grave indebitamento (cui era seguita la malattia e l’invalidità) ed una situazione di unilaterale depauperamento di beni e di risorse a favore dell’ex moglie, la quale aveva addirittura migliorato la precedente condizione economica (aveva acquistato una nuova autovettura, aveva ceduto o locato la casa assegnata, si era liberata dei figli, aveva cambiato sovente attività lavorativa, aveva pignorato parte dello stipendio del F.).
9. Il motivo non è ammissibile perché generico e non diretto a censurare punti specifici della decisione del giudice di merito.
10. Con il primo motivo di ricorso incidentale la P. denuncia contraddittoria ed insufficiente motivazione in relazione al mancato adeguamento dell’assegno divorzile, nonché omessa considerazione dei parametri indicati dalla legge n. 898 del 1970.
La Corte di appello aveva ingiustificatamente dedotto dalle dimissioni della P. che ella avesse trovato una sistemazione lavorativa meglio retribuita, mentre le dimissioni erano state determinate dallo stato di salute della medesima, in cura presso il Centro di igiene mentale per una forma di depressione monopolare a causa dei fatti che avevano accompagnato la separazione.
Inoltre, era notoria la seria difficoltà di trovare una stabile occupazione lavorativa per una donna di 4 5 anni che non aveva mai lavorato e le cui energie erano state assorbite da una ventennale attività di casalinga, madre e moglie.
Il Giudice di appello non aveva nemmeno preso in considerazione ì parametri indicati dall’art. 5 della legge 898 del 1970, ai fini della quantificazione dell’assegno di divorzio (condizione patrimoniale dei coniugi, contributo dato da ciascuno alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno con il reddito di entrambi), né aveva provveduto ad ammettere i mezzi di prova richiesti dalla P. in ordine all’ulteriore quantificazione dei redditi del F..
I mezzi reperiti dalla P. con lo svolgimento di attività non continuative erano così esigui (pari, in base alla certificazione IRPEF del 2000, a 8.024.000 L. annue, di cui L. 6.497.000 per compensi lavorativi e L. 1.442.000 per contributo disoccupazione elargito dall’INPS) che non le garantivano nemmeno un sicuro sostentamento ed una vita dignitosa, sicché si rendeva necessario determinare l’assegno divorzile nella misura richiesta di Euro 515,00 e, comunque, non inferiore a 412,00 Euro mensili.
11. Il motivo merita accoglimento nei limiti appresso precisati.
L’argomentazione della Corte d’appello, che ha dedotto dalle avvenute dimissioni della P. il reperimento di altro lavoro meglio retribuito, non è censurabile in questa sede, non essendo inficiata da vizi logici, anche se si tratta di una circostanza di fatto suscettibile di diverse interpretazioni alla luce del contesto in cui si verifica.
La P. sostiene con il ricorso per cassazione che le dimissioni sarebbero state causate dallo stato di salute della medesima, che ne limiterebbe la capacità lavorativa, ma non precisa – come avrebbe dovuto in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione sopra menzionato – quando ed in quali esatti termini tali fatti sarebbero stati dedotti dinanzi al giudice di merito e su quali prove essi si fonderebbero. Ella si è limitata ad affermare nel ricorso per cassazione di essere in cura presso il Centro di igiene mentale per una forma di depressione monopolare ed a richiamare un certificato prodotto nel fascicolo di appello, del quale però non ha specificato il contenuto.
Quanto ai criteri da seguire per la determinazione in concreto dell’assegno divorzile, osserva il Collegio che l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontate ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso dal matrimonio, fissate al momento del divorzio, e quindi procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l’inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell’assegno; e che, nella seconda fase, il giudice deve procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5 comma 6 (nel testo modificato dalla legge n. 74 del 1987) – e cioè delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio – i quali criteri, quindi, agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto e possono, in ipotesi estreme, valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurata dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione (Cass. 16 maggio 2005 n. 10210, 19 marzo 2003 n. 4040).
Con riguardo alla quantificazione dell’assegno di divorzio, se è vero che deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione, di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dall’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, per la determinazione dell’importo spettante all’ex coniuge, anche in relazione alle deduzioni e alle richieste delle parti, resta salva però la valutazione della loro influenza sulla misura dell’assegno (Cass. 16 maggio 2005 n. 10210, 16 luglio 2004 n. 13169).
Nella specie, nella determinazione dell’assegno divorzile la Corte d’appello ha esaminato le rispettive posizioni economiche delle parti, ma non ha fatto alcun riferimento al dedotto contributo della P., casalinga e madre, alla conduzione familiare durante la ventennale convivenza, né ha manifestato l’intenzione di considerare comunque prevalente il criterio basato sulle condizioni economiche delle parti (Cass. 28 aprile 2006 n. 9876}.
Ne consegue che l’influenza del criterio basato sul contributo della P. alla conduzione familiare non risulta oggetto di alcuna valutazione da parte della Corte territoriale, che avrebbe dovuto invece effettuarla in base ai principi sopra menzionati.
12. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale lamenta omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine alla mancata ammissione di mezzi istruttori volti all’accertamento del reddito del signor F., senza che la Corte di appello avesse fornito alcuna giustificazione al riguardo e nonostante che la P. avesse richiesto di disporre altre indagini, ai sensi dell’art. 10 della legge 87/1984 sull’ulteriore attività lavorativa di musicista del F..
13. Il motivo è inammissibile.
La mancata dettagliata indicazione nel ricorso – in violazione del già menzionato principio di autosufficienza del ricorso per cassazione dei mezzi istruttori richiesti e non ammessi non consente di valutare la decisività delle circostanze.
Inoltre, l’esercizio del potere officioso di disporre, tramite la polizia tributaria, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella discrezionalità del giudice del merito e non può essere considerato come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche (Cass. 28 aprile 2006 n. 9861, 17 maggio 2005 n. 10344).
14. In accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale la riesaminerà valutando l’influenza sulla misura dell’assegno del dedotto contributo della P. alla conduzione familiare.
Il giudice di rinvio provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale; accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, nei limiti dell’accoglimento, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.