La Corte di Cassazione, con la sentenza 21 gennaio 2008 n° 3131, ha annullato la condanna di un’insegnante che aveva offeso l’onore ed il decoro della mamma di una sua alunna, che davanti al dirigente scolastico, l’accusava di essere troppo severa, ovvero di utilizzare un metodo didattico di stampo “hitleriano”.
Per la Suprema Corte la reazione verbale della maestra è legittimo in quanto la mamma dell’alunna aveva attribuito alla maestra criteri formativi inappropriati e non convenienti, adoperando l’epiteto “hitleriano” per qualificare il comportamento professionale dell’insegnante, non può non considerarsi fatto ingiusto che, per le modalità con cui era stato realizzato, aveva la potenzialità di suscitare, nell’immediatezza dell’accadimento, un giustificato turbamento nell’animo dell’agente.
La Cassazione, quindi, ha ritenuto, nel caso concreto, configurabile l’esimente di cui all’art. 599 co. 2 c.p.p., per cui il fatto non costituisce reato.
Ecco la sentenza in argomento :
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 27 novembre 2007 – 21 gennaio 2008, n. 3131
(Presidente Pizzuti – Relatore Colonnese)
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Torino con sentenza 10.5.2007 in riforma della decisione del tribunale di Torino (sez. di Ciriè) in data 10.1.2005 dichiarava B. E. C. colpevole del reato di cui al capo C) della rubrica (ingiuria aggravata) condannandola alla pena della multa. Era stato contestato che l’imputata – insegnante presso la scuola elementare di … omissis … – aveva offeso l’onore ed il decoro di M. G., madre dell’alunna P. G., dicendole che essa insegnava alla figlia di mentire.
Propone ricorso il difensore dell’imputata denunciando violazione di legge e vizio di motivazione.
Deduce nel primo motivo violazione dei precetti di cui agli artt. 581 lett. a) e c) e 597 co. 1 c.p.p.
Premette che la B. era stata assolta in primo grado da tutte le accuse, essendosi ritenuto che i fatti non costituivano reato per aver, la stessa, agito nell’erronea supposizione dell’esistenza della scriminante di cui all’art. 51 c.p.. Aggiunge che il P.M. aveva presentato appello proponendo, come unico motivo di gravame per tutte le ipotesi di reato contestate, la falsa applicazione della legge penale, non condividendo il riconoscimento dell’esimente putativa.
Sostiene, quindi, che nessun distinto motivo di impugnazione era stato prospettato con riguardo al reato di cui al capo C), che, invece, concernendo un particolare episodio di ingiuria, avrebbe richiesto l’enunciazione di specifiche ragioni di doglianza. Pertanto l’impugnazione risultava inammissibile e la sentenza doveva essere annullata.
Assume nel secondo motivo che erroneamente la Corte non aveva applicato la scriminante della provocazione, di cui ricorrevano tutti i presupposti.
La stessa parte offesa, infatti, aveva ammesso d’aver qualificato il metodo d’insegnamento della B. con il termine di “hitleriano”, tanto che l’insegnante aveva, prima minacciato di chiamare i carabinieri e poi pronunciato la frase ritenuta offensiva.
Pertanto l’espressione costituiva legittima reazione e l’imputata doveva esser dichiarata non punibile.
Il secondo motivo è fondato e risulta assorbente e pertanto la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
Deve osservarsi che la stessa sentenza riconosce che tra la B. e la M. era intervenuto un “acceso scontro verbale”, avente ad oggetto l’opportunità o meno di adottare determinati provvedimenti disciplinari nei confronti dell’alunna, caratterizzato da un “atteggiamento di sostanziale chiusura e prevenzione” da parte della persona offesa nei confronti dell’insegnante, cui si contestavano, alla presenza del direttore dell’istituto e della stessa minore, non corretti metodi didattici e disciplinari. In tale contesto dialettico aver attribuito alla maestra criteri formativi inappropriati e non convenienti, adoperando l’epiteto “hitleriano” per qualificare il comportamento professionale dell’insegnante, non può non considerarsi fatto ingiusto che, per le modalità con cui era stato realizzato, aveva la potenzialità di suscitare, nell’immediatezza dell’accadimento, un giustificato turbamento nell’animo dell’agente. Risultando, quindi, configurabile l’esimente di cui all’art. 599 co. 2 c.p.p., il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.