Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza del 13 febbraio 2008 n. 3511
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: A. S.,;
Contro
A. S.P.A
nonché contro
I. S.C.A. R.L
nonché contro F. DI G. E & C. S.A.S.;
avverso la sentenza n. 633/04 della Corte d’Appello di Torino, depositata il 05/05104; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/01/08 dal Consigliere Dott. Guido Vidiri; udito l’Avvocato G. per delega G.; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Luigi Riello che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 22 aprile 1999 diretto al Pretore di Alessandria, S. A. evocava in giudizio la s.r.l. I., alle cui dipendenze aveva lavorato quale socio lavoratore dal 5 giugno 1997 al 11 dicembre 1998, e la s.a.s.. F. di G. E. & C e, premesso di essere stato l’unico socio lavoratore ad essere inviato dalla I. a lavorare presso la F. (società svolgente la lavorazione, produzione e commercializzazione di prodotti dell’acciaio) e di avere svolto presso tale società le stesse mansioni dei dipendenti della F. – e cioè mansioni di addetto al taglio della lamiere, alla punzonatura ed alla saldatura delle stesse nonché alle macchine piegatrici – esponeva che il giorno 25 febbraio 1998, mentre lavorava insieme a F. F. quale addetto alla macchina tagliatrice, all’atto di manovrare una lamiera già tagliata e perciò dai bordi affilatissimi, per provvedere alla rifinitura del taglio, la stessa era scivolata provocandogli una ferita all’avambraccio destro. Tutto ciò premesso, ed evidenziato che l’incidente era addebitabile alle convenute ex art. 2087 c.c., chiedeva la condanna delle suddette società al pagamento a suo favore della somma di lire 471.466.372 a titolo di risarcimento del danno biologico e morale patito, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Dopo la chiamata in giudizio e la costituzione della s.p.a. A. e dopo l’espletamento di una consulenza medico legale e le deposizioni di alcuni testi, il Tribunale rigettava il ricorso e compensava le spese.
A seguito di gravame dello A. e la ricostituzione del contraddittorio, la Corte d’appello di Torino con sentenza del 5 maggio 2004 rigettava l’appello. Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale osservava che la ricostruzione dei fatti data dal lavoratore non aveva trovato conferma alcuna nelle risultanze istruttorie in quanto era emerso che l’A. non era stato addetto alle macchine ma era stato adibito esclusivamente all’immagazzinamento delle lamiere. Né poteva addursi che il giudice avrebbe dovuto ugualmente accertare se l’evento lesivo si era verificato mentre stava movimentando una lamiera d’acciaio. Ed invero, a prescindere che una modifica di tale accertamento non era consentito perché comportava un mutamento dei fatti di causa che dovevano essere precisati in ricorso ai sensi dell’art. 414 c.p.c. risultava comunque che l’A. era stato fornito di tutte gli attrezzi e strumenti richiesti dalle leggi infortunistiche, quali guanti, tute e scarpe, sicché nessuna violazione era stata comprovata essere stata commessa dalla I. e dalla F..
Avverso tale sentenza S. A. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo.
Resistono con controricorso la s.p.a. A. e la I.. Non si è costituita la F..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il ricorso S. A. deduce violazione e falsa applicazione di norme di procedura (artt. 112, 115, 414, 416, 437 c.p.c.) e di diritto (art. 2043, 2050, 2087, 2697 c.c.; art. 41 e 43 c.p.; artt. 8, 247, 245,373, 379, 383, 385 del d.p.r. 27 aprile 1955 n. 547; artt. 7, 35, 40, 41, 48 del d. lgs. 19 settembre 1994 n. 626), nonché difetto di motivazione.
In particolare sostiene il ricorrente che a livello processuale aveva errato la Corte territoriale nel ritenere che il lavoratore avrebbe introdotto dei fatti nuovi – o quanto meno una modificazione degli elementi materiali del fatto costitutivo – sia perché esso ricorrente insieme ad altro dipendente aveva effettivamente movimentato la lamiera, che essendo scivolata gli aveva tagliato l’avambraccio, sia perché aveva denunziato la violazione di specifiche norme antinfortunistiche da parte del datore di lavoro, che aveva dato in dotazione ai propri dipendenti dei normalissimi guanti di lavoro, che riparavano solo parzialmente mani e polsi.
Rimarcava poi il ricorrente che, in riferimento alla responsabilità per danni cagionati al lavoratore in occasione della prestazione lavorativa, la natura di norma di chiusura del sistema antinfortunistico che va riconosciuta all’art. 2087 c.c. imponeva al datore di lavoro, mancando una specifica misura preventiva, di adottare in ogni caso misure generiche di prudenza e diligenza nonché tutte le cautele capaci, secondo la tecnica e la esperienza, di tutelare l’integrità fisica del lavoratore.
Deduce infine l’A. che corollario di ben precise disposizioni del d.p.r. n. 547 del 1955 (art. 373, 378 e 383 e 385) e del d. lgs. 626 del 1994 (artt. 40, 41 e 48) è che il datore di lavoro doveva mettere a disposizione del suo dipendente idonei strumenti di protezione, fornendo allo stesso per la possibilità di venire in qualsiasi modo in contatto con le lamiere, pinze meccaniche o altri sistemi capaci di proteggere le braccia con manopole, le gambe con gambali, ed infine il tronco con grembiuli, potendo anche la movimentazione di un carico di lamiere comportare un rischio di lesioni del lavoratore in caso di urti.
Il ricorso va rigettato perché privo di fondamento.
Sul versante processuale non merita alcuna censura il capo della impugnata sentenza nel quale é stato evidenziato – come aveva già fatto il primo giudice – che non era stato possibile accertare come in concreto si fosse svolto l’incidente perché la ricostruzione dell’evento operata nell’atto iniziale della controversia da parte dell’A. S. non aveva trovato alcuna conferma istruttoria.
E’ costante giurisprudenza che nel rito del lavoro il ricorrente deve analogamente a quanto stabilito per il giudizio ordinario dal disposto dell’art. 163, n. 4, cod. proc. civ. – indicare ex art. 414, n. 4 cod. proc. civ. nell’atto introduttivo della lite gli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda; elementi, che non possono poi essere modificati nel corso di causa con conseguente impossibilità di espletare prove aventi ad oggetto accadimenti non specificati in alcun modo in ricorso (cfr. tra le tante per tutte: Cass. Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353). Né può sottacersi, sempre al fine di attestare l’infondatezza del ricorso, che per giurisprudenza – anche essa consolidata – di questa Corte il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., é configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non é necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr. al riguardo tra le tante: Cass. 3 agosto 2007 n. 17076; Cass. 11 luglio 2007n. 15489).
Orbene, nel caso di specie il giudice d’appello dopo avere attraverso l’istruttoria accertato i fatti di causa, valutandone la portata, e dopo avere – come si é già evidenziato – affermato che la ricostruzione data dallo A. dell’incidente subito non aveva trovato riscontro alcuno nella deposizione dei testi escussi, ha poi concluso che mancava qualsiasi elemento per affermare che l’evento infortunistico fosse dipeso dalla mancata adozione di misure antinfortunistiche, e che invece risultava provato che la I. aveva rispettato le norme prescritte dal d.p.r. n. 547 del 1955 – ed in particolare gli artt. 373 e 379 – per non essere stato affatto dimostrato che le mansioni di semplice immagazzinaggio, cui era addetto l’A., comportassero in concreto “rischi particolari”, tali cioè da richiedere l’adozione, oltre che di guanti, anche delle manopole.
Considerazione questa ultima che vale a disvelare l’infondatezza anche del richiamo dal ricorrente operato al d. lgs. n. 626 del 1994 al fine di vedere accolta la sua domanda, per concretizzarsi la doglianza del lavoratore al riguardo in una censura priva della specificità indispensabile per essere presa in esame in questa sede.
Per concludere, dunque, la sentenza impugnata – per essere supportata da una motivazione congrua, priva di salti logici e pienamente rispettosa dei principi giuridici applicabile in materia infortunistica – si sottrae in questo giudizio di legittimità a tutte le diverse censure che le sono state mosse.
In ragione della soccombenza il ricorrente va condannato al pagamento a favore di ciascuna delle controparti costituite (A. s.p.a. ed I. a r.l.) alle spese ed agli onorari del presente giudizio di cassazione, determinati come in dispositivo, mentre nessuna statuizione può essere emessa nei confronti della parte non costituita.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento a favore di ciascuna delle controparti costituite delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 37,00, oltre euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per onorari difensivi, ed oltre IVA, CPA e spese generali. Nulla nei confronti della parte non costituita.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 13 FEBBRAIO 2008