Il compenso dovuto dal soggetto che riceve in prestito per l’uso del capitale altrui era definito usurae (da usus). Detto termine si riferiva ad un normale interesse e non era connotato da un’accezione spreggiativa corrispondente a interessi eccessivi.
Nel diritto romano il mutuo – come visto – non era di per sé oneroso; era possibile la corresponsione degli interessi al creditore solo attraverso un titolo esterno allegato al contratto principale.
I motivi legittimi erano:
l’“obligatio”, se il debitore stesso, con un altro contratto diverso da quello di mutuo, si era obbligato a corrispondere le usurae;
l’“officium iudicis”, se il pretore imponeva al debitore in forza della norma giuridica, di pagare gli interessi, pur se quest’ultimo non si era contrattualmente impegnato.
L’ipotesi più interessanti erano:
a) gli interessi cosiddetti moratori, dovuti dal debitore per il ritardo nell’adempimento;
b) il compratore cui era stata consegnata la cosa, ma che non aveva ancora pagato il prezzo poteva essere condannato dal giudice a versare gli interessi a compenso dei frutti che la cosa produceva e che egli faceva suoi.