Tar Lazio – Sentenza del 08.01.2008 n. 73 – Legge 104/92
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO – Sezione I-quater –
ha pronunciato la seguente
Sentenza
sul ricorso n. 745 del 2007, proposto da B. Sarah
contro
il Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzione Generale del Personale e della Formazione, in persona del Direttore Generale p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è legalmente domiciliato, in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per l’annullamento
del provvedimento PU-GDAP-2000-17/11/2006-0366066-2006, notificato il 22 novembre 2006, nonché di ogni provvedimento allo stato sconosciuto e di ogni atto comunque presupposto, connesso, conseguente;
Visto il ricorso con la relativa documentazione; Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata; Visti i motivi aggiunti, depositati in data 2 aprile 2007, proposti per l’annullamento del provvedimento PU-GDAP-2000-19/2/2007-0056063-2007 con il quale il Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Ufficio II- Sezione VI, ha confermato le determinazioni già assunte “non emergendo ulteriori elementi di valutazione”; Visti le memorie ed i documenti prodotti dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 18 ottobre 2007 il Primo Ref. Antonella MANGIA; uditi, altresì, i procuratori delle parti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto
Attraverso il ricorso introduttivo del presente giudizio, notificato in data 18 gennaio 2007 e depositato il 26 gennaio successivo, la ricorrente contesta la legittimità del provvedimento in data 17 novembre 2006, GDAP – 0366066-2006, con il quale l’Amministrazione intimata – opponendo la carenza dei presupposti della continuità e dell’esclusività nell’assistenza – ha respinto la domanda di trasferimento dalla medesima presentata al fine di poter prestare assistenza “ad un proprio affine portatore di handicap ai sensi della legge 104/92 e successive modificazioni”, chiedendone l’annullamento.
In particolare, prospetta i seguenti motivi di gravame:
1. Violazione e falsa applicazione della legge 104/92. Come documentato dal certificato del medico di famiglia, la ricorrente si è presa cura sin dal 2003 con continuità del familiare bisognevole, la sig.ra F. , risultando presente alle frequenti visite domiciliari effettuate per curare l’anzianissima donna (di anni cento). Ciò trova conferma anche in un’attestazione del Sindaco. L’assistenza continuativa è durata fino alla “data di inizio del corso di formazione da funzionario di Polizia” (26 settembre 2005), tenutosi in Sicilia. Nel periodo successivo l’assistenza è stata prestata durante i mesi di tirocinio svolti a Sulmona ed a Teramo e comunque durante i fine settimana (dal 4 gennaio 2006 al 10 marzo 2006; dal 24 aprile 2006 al 30 giugno 2006; dal 21 agosto 2006 al 29 settembre 2006). Nei mesi di novembre e dicembre 2006 la ricorrente ha sempre vissuto a Sulmona, usufruendo dei congedi parentali. La ricorrente è stata assegnata alla C.C. di Alba (CN), ma vi si è recata per un solo giorno perché “è in affiancamento a Chieti”. In definitiva, la continuità dell’assistenza non è mai venuta meno. In relazione all’asserita assenza del requisito dell’indisponibilità a prestare assistenza di altri soggetti, sono state prodotte dichiarazioni con i quali i parenti entro il terzo grado hanno manifestato l’indisponibilità oggettiva, supportata anche da documentazione medica.
2. Violazione di legge ed eccesso di potere per carenza di istruttoria. L’Amministrazione ha adottato il provvedimento di diniego del trasferimento senza darne il dovuto preavviso, ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/90. Tale omissione ha fatto sì che l’Amministrazione ponesse in essere un’istruttoria carente e superficiale.
3. Eccesso di potere per motivazione insufficiente e perplessa.
4. Eccesso di potere per disparità di trattamento. I benefici della legge n. 104/92 sono stati riconosciuti ai dottori B. Daniele, De P. Maria e F. Vanda. Si formula, dunque, istanza istruttoria per conoscere le motivazioni con cui analoghe istanze ex art. 33 della legge 104/92 sono state accolte a favore di altri partecipanti al concorso.
Con decreto presidenziale n. 681 del 12 febbraio 2007 è stata respinta l’istanza di misure cautelari provvisorie e fissata direttamente l’udienza di merito. Con atto depositato in data 16 febbraio 2007 si è costituita l’Amministrazione intimata. Con motivi aggiunti, depositati in data 2 aprile 2007, la ricorrente impugna il provvedimento PU-GDAP-2000-19/02/2007-0056063-2007 con il quale l’Amministrazione ha rigettato l’istanza di riesame dalla medesima presentata in data 11 gennaio 2007, confermando le determinazioni assunte.
A tale fine deduce i seguenti motivi di gravame: 1. Violazione di legge per omessa motivazione ex art. 3 Legge 241/90. 2. Eccesso di potere per insufficiente motivazione. 3. Violazione dell’art. 10 bis Legge 241/90. 4. Violazione e falsa applicazione della Legge 104/92. 5. Violazione di legge ed eccesso di potere per carenza di istruttoria. La mancata comunicazione ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/90 ha fatto sì che l’Amministrazione ponesse in essere un’istruttoria carente e superficiale. 6. Eccesso di potere per motivazione insufficiente e perplessa. 7. Eccesso di potere per disparità di trattamento.
In data 9 maggio 2007 la ricorrente ha depositato un’ “istanza istruttoria per esibizione documenti”, attinente ai provvedimenti con i quali sono state accolte analoghe istanze. In data 19 aprile 2007 e 25 maggio 2007 il Ministero della Giustizia ha depositato documenti, tra i quali figura una nota in data 12 aprile 2007 nell’ambito della quale le censure della ricorrente risultano – in sintesi – così confutate: – l’istanza della ricorrente non è stata ritenuta conforme ai requisiti prescritti dalla normativa di riferimento, poiché carente “dei prescritti requisiti della continuità e della esclusività dell’assistenza al disabile”; – pur considerando che il rapporto di assistenza è iniziato precedentemente al mese di settembre 2005 (data di inizio del corso di formazione), la permanenza della ricorrente presso la Scuola di Formazione siciliana “ha comportato che il requisito dell’effettiva e regolare presenza del dipendente presso l’abitazione del familiare disabile sia evidentemente venuto meno”; – dalla documentazione prodotta dalla ricorrente non può assolutamente evincersi comprovato neppure l’ulteriore requisito dell’esclusività dell’assistenza, “attesi i numerosi componenti del nucleo familiare presenti nello stato di famiglia, e l’assoluta mancata dimostrazione, da parte del dipendente, dell’impossibilità di alcuni di questi familiari di accudire il familiare invalido. In particolare si ritiene che per quanto concerne la situazione del sig. Rinaldo D’O. , residente a Sulmona, la certificazione medica prodotta non evidenzia alcuna indubbia preclusione all’assistenza al disabile da parte del medesimo mentre i sig.ri Maria Celeste D’O. e Luigi D’O., anch’essi residenti a Sulmona, hanno prodotto semplici dichiarazioni di impossibilità di prestare detta assistenza in base a non meglio specificati e, tanto meno, documentati impegni di carattere familiare e lavorativi”.
All’udienza pubblica del 18 ottobre 2007 il ricorso è stato introitato per la decisione.
Diritto
1. Il ricorso introduttivo del presente giudizio ed i motivi aggiunti nel prosieguo proposti sono infondati e, pertanto, vanno respinti.
1.1. Come emerge dalla narrativa che precede, con l’atto introduttivo del presente giudizio la ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento adottato in data 17 novembre 2006, con il quale il Ministero della Giustizia – DAP – Direzione Generale del Personale e della Formazione non ha accolto, per carenza dei requisiti della continuità e dell’esclusività nell’assistenza, la domanda di trasferimento dalla medesima inoltrata ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92. Tale impugnativa – incentrata sulla violazione di legge e sull’eccesso di potere – è infondata.
2.1. Tenuto conto delle peculiarità che caratterizzano l’ipotesi in esame, rileva il Collegio che, in verità, emergono circostanze che potrebbero indurre a ritenere sussistente il requisito della continuità dell’assistenza, atteso che la domanda della ricorrente appare proposta al fine di ottenere una determinata sede in fase di prima assegnazione e l’allontanamento del dipendente dal disabile potrebbe essere, dunque, ricondotto all’assunzione. Come affermato anche dal Consiglio di Stato nel parere n. 1623 del 2000, il diritto all’avvicinamento di sede può essere, infatti, esercitato anche nei casi in cui “l’assunzione in posto di lavoro comporti o abbia comportato l’allontanamento del lavoratore dalla sede ove prestava la propria assistenza con continuità”.
Sulla base della disamina della situazione rappresentata nel ricorso e della documentazione prodotta agli atti, si riscontrano, però, elementi e circostanze ostativi al positivo accertamento dell’ulteriore requisito dell’esclusività nell’assistenza, previsto dalla normativa vigente in materia quale ulteriore presupposto necessario per il riconoscimento del beneficio di cui trattasi. Al fine di comprovare la sussistenza di tale requisito, risultano, infatti, prodotte dichiarazioni di altri familiari inidonee a supportare un concreto ed effettivo stato di indisponibilità. La dimostrazione che i parenti ed affini dell’handicappato, pur se residenti nelle sue vicinanze, non sono in grado di occuparsi dell’assistenza al disabile non può, infatti, trovare attuazione per mezzo di semplici dichiarazioni di carattere formale, attestanti impegni di vita di carattere ordinario e comune, bensì necessita della produzione di dati ed elementi di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati psico-fisici connotati da una certa gravità, idonei a giustificare l’indisponibilità sulla base di criteri di ragionevolezza tali da concretizzare un’effettiva esimente da vincoli di assistenza familiare, nel contemperamento delle posizioni dei soggetti interessati. In altri termini, l’analisi della situazione familiare della ricorrente (moglie del nipote della sig.ra F. , portatrice dell’handicap) non rivela condizioni tali da escludere che la disabile possa essere adeguatamente assistita – anche a turno nella giornata – dai sigg. Rinaldo D’O. , Luigi D’O. e Maria Celeste D’O. , i quali si pongono – rispetto alla già citata sig.ra F. – rispettivamente nella posizione di genero e nipoti e sono residenti nella medesima provincia.
Del resto, questi parenti, vivendo nelle vicinanze della disabile, non possono sottrarsi ai doveri di mutua assistenza – che incombono sui soggetti legati da vincoli di parentela e/o affinità – con mere dichiarazioni di indisponibilità a provvedere che, in relazione alla portata delle motivazioni addotte (essenzialmente legate a status di carattere ordinario, privi di elementi di eccezionalità), appaiono finalizzate ad individuare nella ricorrente l’unico soggetto disposto – pur in presenza di un genero e di due nipoti – a prestare assistenza all’inferma, come se impegni del tipo di quelli che impedirebbero ai parenti di assistere – a turno – il congiunto non incombessero anche sulla ricorrente e questa fosse, invece, libera una volta assegnata alla sede richiesta, di organizzare i propri impegni e turni di lavoro a proprio piacimento.
Non può essere, poi, dimenticato che, proprio a causa del venir meno del requisito della convivenza ad opera dell’art. 20 della legge n. 53 del 2000, l’Amministrazione è tenuta a valutare più rigorosamente l’indisponibilità di altri familiari, come anche l’esistenza del requisito dell’assistenza continuativa (cfr. C.d.S., Sez. IV, 7 febbraio 2001, n. 898). In linea con tale orientamento, l’inadeguatezza delle dichiarazioni fornite dalla ricorrente è palese, atteso che la situazione familiare della disabile, complessivamente considerata, dimostra inequivocabilmente la presenza di altri familiari in grado di accudirla. In definitiva, la motivazione del provvedimento, afferente la valutazione negativa della sussistenza del requisito soggettivo dell’esclusività, idonea – benché espressa in termini non puntualmente dettagliati – a dare conto della sussistenza di un fattore preclusivo al trasferimento, non viene confutata dalla documentazione in atti.
Tanto rileva per escludere la fondatezza della denunciata violazione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 241/90.
Ricorda, infatti, il Collegio che, sulla base di un orientamento consolidato, allorché un atto è fondato su una pluralità di motivi, l’eventuale illegittimità di uno o di alcuno di essi non è sufficiente a determinare l’annullamento quando gli altri siano sufficienti a giustificare la decisione amministrativa adottata (ex multis, C.d.S., Sez. IV, n. 551 del 1998; TAR Lazio, Roma, n. 7134 del 2005).
Nel caso di specie, il provvedimento ostativo alla concessione del beneficio del trasferimento ex art. 33, comma 5, della legge n. 104/92 è basato su due ragioni (insussistenza del requisito della continuità dell’assistenza e carenza del requisito dell’esclusività). Ne consegue che, ancorché possa ritenersi dimostrato il requisito della continuità e, dunque, ricorra l’illegittimità di una delle ragioni sulle quali il provvedimento si fonda, non può, comunque, procedersi all’annullamento del diniego di trasferimento in quanto l’altra ragione (rectius: la carenza del requisito dell’esclusività), scevra dai vizi dedotti, è autonomamente idonea a supportare la decisione negativa assunta dall’Amministrazione.
2.2. Anche la censura attinente alla violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90, introdotto dall’art. 6 della legge 11 febbraio 2005, n. 15, è infondata. Come noto, la norma in argomento – applicabile alla presente fattispecie in quanto il procedimento che ha condotto all’adozione del diniego impugnato è indiscutibilmente ad istanza di parte – impone all’Amministrazione, che intende rigettare l’istanza del privato, di comunicare tempestivamente all’interessato le ragioni ostative all’accoglimento della domanda, in modo da consentire al richiedente un’ulteriore interlocuzione (attraverso la presentazione di osservazioni e documenti, di cui l’autorità procedente deve tenere conto nella motivazione del provvedimento finale).
Ciò premesso, ritiene il Collegio che l’art. 10 bis di cui trattasi debba essere equiparato – da un punto di vista funzionale – all’art. 7 della medesima legge e, quindi, sia soggetto al medesimo regime giuridico in sede giurisdizionale, attesa la necessità di registrare entrambe le disposizioni in termini di norme procedurali. Si intende così affermare che l’inosservanza dell’art. 10 bis non si presta a determinare – sempre e comunque – l’annullamento del provvedimento impugnato. Nelle ipotesi in cui l’inosservanza è riscontrabile, sovviene, infatti, il successivo art. 21 octies, comma 2, e, dunque, va ravvisato l’obbligo per il giudice amministrativo di valutare la sussistenza o meno della possibilità per l’Amministrazione di adottare un provvedimento diverso da quello in concreto adottato.
Nel caso di specie, si è in presenza di un diniego che presenta natura vincolata – in quanto basato sul mero negativo accertamento dei requisiti soggettivi prescritti dall’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92 – rispetto al quale è registrabile la violazione di norme procedurali. Ciò premesso, come desumibile anche da quanto in precedenza rilevato, non emergono elementi che consentano di affermare che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. In ragione di tale constatazione, la prescrizione di cui all’art. 21 octies determina che la denunciata violazione dell’art. 10 bis perda il proprio effetto invalidante e, quindi, comporta l’impossibilità per il giudice di procedere all’annullamento del provvedimento.
2.3. Appare evidente che – ai fini della concessione del beneficio di cui all’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92 – rileva esclusivamente la situazione personale del richiedente, nel senso che è esclusivamente in base alla valutazione di tale situazione che l’Amministrazione deve vagliare la sussistenza dei requisiti soggettivi prescritti. Ne consegue che, ai fini del decidere in ordine alla conformità al dettato legislativo della determinazione adottata dall’Amministrazione nonché all’effettiva sussistenza di un’eventuale deviazione funzionale per carenza di motivazione ed istruttoria, il giudice deve tenere conto esclusivamente delle peculiarità che connotano la situazione concreta prospettata. In ragione di tale premessa, va preso atto dell’irrilevanza delle determinazioni assunte dall’Amministrazione in esito a domande di trasferimento di altri dipendenti. D’altro canto, non può essere sottaciuto che la sussistenza di situazione familiari del tutto simili appare alquanto improbabile, attesa la pluralità di elementi e fattori che intervengono nella definizione dei rapporti e nella ricostruzione delle singole vicende personali di ciascun dipendente.
3. Come esposto nella narrativa che precede, la ricorrente ha presentato istanza di riesame al Ministero della Giustizia, producendo ulteriore documentazione a sostegno della sussistenza dei requisiti soggettivi in contestazione.
Tale istanza è stata respinta con provvedimento del 19 febbraio 2007, nell’ambito del quale ricorre la seguente dicitura: “non emergendo ulteriori elementi di valutazione non possono che confermarsi le determinazioni assunte”. Avverso tale provvedimento la ricorrente è insorta per mezzo della proposizione di motivi aggiunti, i quali – al pari del già esaminato ricorso introduttivo – sono, comunque, infondati. Premettendo che l’Amministrazione – in esito ad una nuova valutazione della situazione della richiedente – ha sostanzialmente di nuovo opposto la carenza dei requisiti soggettivi della continuità e dell’esclusività nell’assistenza e che, quindi, il provvedimento adottato in seguito al riesame è dotato di motivazione, il Collegio non ravvisa, infatti, elementi per discostarsi dall’orientamento già assunto in sede di disamina del ricorso principale. In altri termini, prende atto della nuova documentazione prodotta dalla ricorrente ma ritiene che la stessa non valga ad annientare il contestato difetto del requisito dell’esclusività. In particolare, va segnalato che sono stati prodotti certificati medici riguardanti i sig.ri Rinaldo D’O. e Luigi D’O. ma detti certificati non appaiono idonei a dare prova dell’indisponibilità oggettiva e/o soggettiva di altri parenti o affini in grado di sopperire alle esigenze del portatore di handicap.
Al riguardo è sufficiente ricordare che – come ripetutamente affermato in precedenti di questa Sezione – “in base alla disciplina legislativa, nonché alle norme interne emanate per la relativa attuazione” il concetto di assistenza di rilevanza in questa sede non presuppone necessariamente un impegno fisico nel soddisfacimento delle esigenze quotidiane del familiare bisognevole, bensì si identifica con la “costante organizzazione e supervisione delle cure necessarie, delle buone condizioni di vita e delle relazioni affettive, anche senza assumere in proprio l’intera effettuazione materiale dell’assistenza stessa” (cfr., tra le tante, sent. n. 4713/2005, già citata). Ciò detto, appare evidente che problemi di salute del genere di quelli rappresentati non possono assumere carattere ostativo alla prestazione dell’assistenza al disabile, per come individuata, e, comunque, permane il rilievo che null’altro è stato prodotto al fine di comprovare l’indisponibilità della sig.ra Maria Celeste D’O.
In definitiva, l’ulteriore documentazione prodotta in sede di riesame non vale a comprovare l’impossibilità dei familiari residenti nei pressi della disabile di prestare assistenza, sicché le valutazioni espresse dall’Amministrazione in ordine alla carenza dell’esclusività mantengono valenza giuridica, in osservanza della normativa che regolamenta la materia. Per quanto attiene alla violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90 ed alla disparità di trattamento, censure queste nuovamente proposte, il Collegio si limita a ribadirne l’infondatezza, richiamando quanto già in precedenza osservato.
4. Per le ragioni illustrate, il ricorso introduttivo del presente giudizio ed i successivi motivi aggiunti devono essere respinti. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate a favore del Ministero della Giustizia in Euro 500,00.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I quater, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso n. 745/2007.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 500,00 a favore del Ministero della Giustizia.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.