Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, Sentenza del 7 gennaio 2008 n. 31
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
P. I., in proprio e quale legale rappresentante della s.d.f. Carpenteria edile di I. P. e R., ha chiesto alla Corte d’appello di Ancona l’equa riparazione, per i danni patrimoniali in €. 3070,00 e per quelli non patrimoniali in €. 3.000,00 annui, a carico del Ministero della giustizia, ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001 n. 89 e in attuazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con legge 4 agosto 1955 n. 848, per la irragionevole durata del processo, iniziato da lui, nelle dette qualità, per ottenere il pagamento di €. 20.201,76 da P. V., per differenze dovute per lavori eseguiti dalla società in favore di questo con domanda del gennaio 1994, respinta nel 2004, con sentenza del Tribunale di Forlì.
Su tali presupposti, la adita Corte d’appello, con 21 decreto di cui in epigrafe, ha rigettato la domanda, nulla statuendo sui danni patrimoniali che l’attrice faceva coincidere con le maggiori spese del processo, e ritenendo irrilevante come danno non patrimoniale, il disagio dei soci e amministratori della società di fatto, derivato da durata ingiustificata del processo, essendo incompatibili tali danni con la sua natura di soggetto di diritto.
Per la cassazione del decreto, lo I., in proprio e quale legale rappresentante della società di fatto sopra richiamata, ha proposto ricorso, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., di tre motivi, in ciascuno dei quali, dedotte incoerenze e omissioni di motivazione, denuncia violazione: a) dell’art. 2, comma 2, della L. n. 89 del 24 marzo 2001, in rapporto agli arti. 2727, 2056, 2057, 2058 e 2059 c.c., per avere la Corte di merito disatteso i principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (da ora C.E.D.U.), che riconosce il danno non patrimoniale anche per le persone giuridiche, come effetto che di regola consegue alla ingiustificata durata del processo ed di presunto, con inversione conseguente dell’onere della prova; b) degli artt. 1223, 2056, 2957 c.c. e della legge n. 89 del 2001, per omessa motivazione sulla mancata liquidazione del danno patrimoniale, in rapporto all’art. 360, 1° comma, n.ri 3 e 4 c.p.c.; c) degli artt. 2727 c.c. e 2 della L. 89/01, in rapporto al negato patema d’animo dell’amministratore della società alla luce della giurisprudenza della C.E.D.U. e della Cassazione; il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è manifestamente fondato, perché, “anche per le persone giuridiche e le società di persone, il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, in conformità alla giurisprudenza della C.E.D.U., è da ritenere conseguenza normale della violazione del diritto, di cui all’art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, a causa dei patemi d’anima e disagi psicologici che provoca tale lesione alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri, con la conseguenza che il giudice deve ritenere tale danno esistente, salvo circostanze particolari che lo escludano” (Cass. 15 giugno 2006 n. 13829, 29 marzo 2006 n. 7145, 28 ottobre 2005 n. 21094 e 30 agosto 2005 n. 17550 e tutta la giurisprudenza di legittimità più recente).
Nulla compete nel caso a titolo di danno patrimoniale, sul quale peraltro il ricorrente non insiste nella memoria illustrativa, in quanto le spese del processo presupposto non sono conseguenza diretta della maggiore e ingiusta durata del processo, e il difetto di nesso di causalità impedisce il riconoscimento del chiesto indennizzo per tale voce (così, Cass. 24 gennaio 2007 n. 1605, 29 marzo 2006 n. 714 e 13 ottobre 2005 n. 19887, tra altre). Lo I. chiede di decidere la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. e poiché il discostarsi senza adeguata motivazione dai canoni ermeneutici della C.E.D.U., nell’interpretazione della convenzione sovranazionale, costituisce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., cioè del diritto vivente (Cass. 24 gennaio 2007 n. 1605 e 13 aprile 2006 n. 8714, tra molte), tale richiesta può essere accolta.
Poiché il ricorrente non fornisce elementi per discostarsi, nella determinazione della durata ragionevole del processo, dai criteri elaborati dalla C.E.D.U., per la quale questa è da fissare di regola in cinque anni (cfr. Cass. 13 aprile 2006 n. 8717, cioè tre anni per il primo grado e due per il secondo: Cass. 26 aprile 2005 n. 8585, anche per i processi previdenziali e assistenziali: Cass. 7 aprile 2004 n. 6856), nella fattispecie, la durata irragionevole del giudizio, durato dal gennaio 1994 al gennaio 2004, è di cinque anni. Solo per tale ultimo periodo, e non quasi per l’intera durata del processo, come sembra chiedere lo I. anche per la società, domandando danni per complessivi €. 27.000,00 (e in particolare €. 3.000,00 annui per i circa 8 anni ritenuti ingiusti dall’istante, per i danni non patrimoniali), deve liquidarsi l’equo indennizzo, ai sensi dall’art. 2 comma 3, lett. a, della L. n. 89 del 2001.
Tale criterio legale di liquidazione, pur se non conforme a quello di recente adottato dalla C.E.D.U. per liquidare l’indennizzo rapportato all’intera durata del processo, non contrasta con norme della Costituzione, perché nel nostro sistema interno, il processo deve avere comunque un tempo di svolgimento o “ragionevole durata” (art. 111, 2 comma, Cost.) e il legislatore deve conformarsi agli obblighi internazionali assunti, di cui all’art. 117 Cost., solo se questi non contrastino con i principi e le norme della carta costituzionale (C. Cost. 24 ottobre 2007 n.ri 348 e 349). Pertanto i danni non patrimoniali connessi alla durata naturale C) giusta del processo non possono essere indennizzati e, nella concreta fattispecie, allo I. e alla società di persone di cui egli è socio rappresentante in questa sede, devono riconoscersi come indennizzabili i soli patemi d’animo subiti per l’attesa dell’esito del processo, nei cinque anni eccedenti la soglia di ragionevolezza, in conformità alla norma speciale della legge Pinto. In conclusione, il ricorso deve accogliersi per quanto di ragione e il decreto impugnato deve cassarsi.
Decidendo la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la domanda dello I. e della società di persone da lui rappresentata va accolta. In conformità ai criteri di liquidazione elaborati dalla C.E.D.U. per i danni non patrimoniali, che sono determinati in €. 1000,00 – 1500,00 all’anno (con la giurisprudenza sopra citata cfr. anche Cass. 22 dicembre 2006 n. 27503, 15 novembre 2006 n. 24356, 21 aprile 2006 n. 9411, tra molte), applicando la misura minima di essi in difetto di elementi che consentano di elevarla in rapporto alla modestia della posta in gioco e all’esito negativo della causa presupposta, il Ministero della Giustizia deve essere condannato a pagare ai ricorrenti in solido, a titolo di equo indennizzo, €. 5.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, non spettando la rivalutazione, trattandosi di debito di valuta.
Per il solo parziale raccoglimento della domanda (erano chiesti €. 27.000,00 per danni morali con i patrimoniali), le spese del processo possono compensarsi per la metà e si liquidano nel residuo in tale ridotta misura, come in dispositivo a carico del soccombente Ministero della giustizia, con attribuzione agli avv. C. Z. e G. S., che si dichiarano antistatari al 50% cadauno.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c. condanna il Ministero della giustizia, in persona del ministro in carica, a corrispondere alle ricorrenti la somma di €. 5.000,00, oltre agli interessi dalla domanda, a titolo di indennizzo e a rimborsare la metà delle spese dell’intero giudizio, che compensa nel resto e liquida, in tale ridotta misura, per il giudizio di merito, in € 800,00, dei quali €. 70,00 per esborsi, €. 280,00 per diritti ed €. 450,00 per onorari e, per il giudizio di cassazione, in €. 950,00, di cui €. 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali e accessori di legge per entrambi i gradi. Dispone la distrazione in favore degli avv. C. Z. e G. P., che si sono dichiarati antistatari al 50% cadauno.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 7 GENNAIO 2008