La Cassazione, con la sentenza n. 1988 del 05/12/2007-29/01/2008, ha affermato che la Corte fiorentina ha coerentemente ritenuto che l’istituto scolastico abbia gestito il ” caso difficile “dell’alunno M.E. in termini di flessibile ragionevolezza e con risultati complessivamente apprezzabili, sicché non era rinvenibile a carico della Preside della scuola alcuna condotta omissiva o di colpevole sottovalutazione delle “ricadute ” che i comportamenti posti in essere nel periodo iniziale dell’anno scolastico 1999/2000 dall’alunno M.E. avrebbero potuto avere sul regolare andamento delle lezioni e sulla sicurezza complessiva delle persone e delle cose, con esclusione, quindi, di una violazione dell’art. 2087 c.c. e, di conseguenza, della sussistenza di una giusta causa di dimissioni, ai sensi dell’art. 2119 c.c., posto che dal materiale probatorio acquisito non emergeva l’impossibilità della prosecuzione del rapporto di lavoro per causa imputabile al C. ;
tanto più che il “prosieguo” dell’anno scolastico evidenziò (stando alle risultanze processuali) come tale linea avesse dato buoni frutti, andando la condotta del giovane gradualmente migliorando, tanto che, a fine anno, “la sua perdurante “vivacità” non era dissimile da quella di altri compagni di classe”.
Ecco la sentenza in argomento:
Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 5 dicembre 2007 – 29 gennaio 2008, n. 1988
Con ricorso depositato in data 24 marzo 2003, il C. della SS. Annunziata proponeva appello avverso la sentenza, emessa in data 21 ottobre 2002 dal Giudice del lavoro del Tribunale di Firenze, con la quale, in accoglimento della domanda proposta da C. Massimo e previa declaratoria di cessazione della materia del contendere con riguardo alla richiesta di condanna del C. esponente al pagamento di differenze retributive, quest’ultimo era stato condannato alla corresponsione in favore del ricorrente della somma di Euro 2.941,95, a titolo di indennità sostitutiva del preavviso, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.
Il Tribunale riteneva, infatti, fondato l’assunto del C. – dipendente del C. della SS. Annunziata in qualità di docente di lingua italiana -, secondo cui era stato costretto a dimettersi a causa della condotta di uno studente, fonte di turbativa delle lezioni scolastiche ed anche fonte di pericolo per sé e per gli altri.
Con l’atto di appello il C. della SS. Annunziata censurava diffusamente la decisione del Giudice di prime cure, ripercorrendo la “vicenda scolastica” dell’alunno M.E., ed evidenziando, anche dinanzi al Giudice di secondo grado, le iniziative adottate, che avevano consentito di raggiungere risultati ampiamente positivi, tali da far mutare la condotta dello studente, che, adeguandosi alla disciplina, aveva perfezionato il corso di studi con buon esito. Il C. , ritualmente costituitosi eccepiva l’infondatezza del gravame, di cui chiedeva il rigetto.
Con sentenza del 12-26 novembre 2004, l’adita Corte d’appello di Firenze, pur dando atto che nel periodo intecorrente tra l’inizio dell’anno scolastico – circa la metà di settembre 1999 – ed il giorno delle dimissioni – 1 novembre successivo – l’alunno in oggetto si era reso protagonista di episodi gravi (quali l’avere chiuso a chiave la classe e gettato dalla finestra la chiave, l’avere colpito con un calcio altro professore, preso di mira, rivolgendogli espressioni triviali, l’avere scagliato un barattolo di vernice contro una cassettiera dell’aula di applicazioni tecniche, l’avere agitato un ombrello all’indirizzo del professore preso di mira), riteneva che le dimissioni del C. erano prive di giusta causa, tenuto conto, per un verso, delle idonee iniziative adottate dall’Istituto, che avevano portato ad un risultato positivo, e, per altro verso, dello specifico contesto in cui si era svolta la vicenda in esame, nella quale occorreva considerare la necessaria presenza nel bagaglio professionale di ciascun docente di scuola media di doti di pazienza e di tolleranza, oltre che specifiche conoscenze psico-pedagogiche dell’età evolutiva.
Accoglieva, quindi, il gravame, dichiarando non dovuta al C. l’indennità di preavviso, con conseguente obbligo del docente di restituzione di quanto a tale titolo ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado e con compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
Per la cassazione di tale pronuncia, ricorre il C. con due motivi, cui resiste l’Istituto con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il proposto ricorso il prof. Massimo C. , denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 2087 e 2119 c.c. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), si duole della decisione della Corte territoriale fiorentina, che non ha riconosciuto la “giusta causa” delle proprie dimissioni dall’impiego di professore di lingua italiana nella scuola media gestita dal C. , presentate l’1 novembre 1999 per divergenze insorte nei confronti degli organi direttivi e collegiali dell’Istituto in ordine al regime da adottare in concreto per ovviare alle problematiche educative e disciplinari create da un alunno “difficile”.
In particolare, il ricorrente si duole che l’attenzione della Corte si sia concentrata sull’alunno, sul suo comportamento e sull’attività posta in essere dalla scuola per il suo “recupero”, piuttosto che sull’accertamento della violazione dell’art. 2087 c.c. ravvisabile nel comportamento dell’Istituto. La censura è priva di pregio, proprio alla luce dell’invocato art. 2087 c.c., il quale – come è noto – fa carico al datore di lavoro di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità del dipendente, introducendo un dovere che trova fonte immediata e diretta nel rapporto di lavoro e la cui inosservanza, ove sia stata causa di danno, può essere fatta valere con azione risarcitoria (Cass. 7 novembre 2007 n. 23162), ovvero – come nella specie – può connotare le rassegnate dimissioni del requisito della giusta causa. Invero, la Corte fiorentina, ha posto a base della sua decisione una serie di argomentazioni, scandite dai passaggi logici, che qui di seguito si riportano.
Ha in primo luogo, tenuto a puntualizzare i termini della questione incentrati sulla valutazione delle circostanze, che avevano portato alle dimissioni del prof. C. , comunicate alla Preside dell’Istituto scolastico SS. Annunziata con lettera dell’1 novembre 1999, al fine di stabilire se le stesse giustificassero la qualificazione giuridica di dimissioni per giusta causa, col conseguente diritto del lavoratore alla percezione della richiesta indennità di preavviso. Ha quindi esaminato la richiamata comunicazione, dalla quale si evinceva non solo che le dimissioni erano state originate dalla non condivisione da parte del C. della “linea di condotta seguita nel gestire il caso dell’alunno M.E.”, ma anche dalla preoccupazione dello stesso per la perdurante mancanza di appropriate iniziative miranti a tutelare la sua persona e quella dei colleghi e a sollevare tutti loro dalle responsabilità civili e penali che gli atteggiamenti potenzialmente lesivi ed autolesivi dell’alunno suddetto comportavano.
Ha poi preso in considerazione la decisione del primo Giudice, il quale, dopo aver evidenziato la gravità delle condotte tenute dall’alunno M.E. nel periodo iniziale dell’anno scolastico 1999-2000 (così come risultanti dall’istruttoria testimoniale espletata), aveva ritenuto che le stesse, “di carattere aggressivo e sicuramente esorbitanti dall’ordinario contegno presumibile in un alunno”, erano suscettibili di impedire al docente il normale e sereno svolgimento della propria funzione di insegnamento”, e comportavano, con riferimento all’obbligo del datore di lavoro “di porre in essere le cautele necessarie a garantire la serenità (anche professionale del lavoratore), una responsabilità dell’Istituto convenuto a causa dell’omessa adozione di un qualsivoglia “accorgimento idoneo ad assicurare l’ordinato svolgimento delle lezioni” ed anche di “provvedimenti di carattere disciplinare”. Da qui la ritenuta sussistenza di una giusta causa di dimissioni. Ha, infine, espresso il suo dissenso da tale conclusione, spiegandone le ragioni, da collocarsi nello specifico contesto in cui si era svolta la vicenda in esame, nel cui ambito andava preliminarmente evidenziato come una classe di prima media – ove confluivano 25-30 alunni di 10-11 anni con alle spalle percorsi scolastici nella scuola” elementare” assai disomogenei – fosse davvero un “coacervo” di pulsioni pre-adolescenziali che certamente metteva a “dura prova”, da un punto di vista disciplinare prima ancora che pedagogico, il corpo insegnante. A questi “problemi fisiologici” si aggiungevano, poi, quelli ulteriori che i “casi di alunni difficili” – che davvero non mancavano mai in una classe – specificamente proponevano.
Proprio per questo – ha ancora osservato la Corte territoriale – nel “bagaglio professionale” di ciascun docente di scuola media (soprattutto con riferimento alle problematiche disciplinari indotte dagli alunni della prima classe, spesso non ancora ben “inquadrati” al termine delle scuola primaria) non potevano mancare doti di pazienza e tolleranza, oltre a specifiche conoscenze psicopedagogiche dell’età evolutiva, essendo, uno dei compiti dell’istituzione scolastica e del suo corpo docente, quello di assicurare, nella prima fase di “approccio” degli alunni alla nuova realtà in cui sono inseriti, oltre agli aspetti strettamente didattici, anche un graduale inserimento ed un crescente conformarsi dei comportamenti agli standards minimi necessari per un proficuo lavoro di apprendimento.
Pertanto, pur costituendo il giovane M.E. un “caso difficile” – trattandosi di un ragazzo, che aveva vissuto i primi cinque anni di vita in una favela brasiliana in condizioni ambientali di disagio e di abbandono e, successivamente adottato da persone, impegnatesi nel suo inserimento in una realtà del tutto diversa, servendosi anche dell’apporto professionale di una psicologa – opportunamente, ad avviso del Giudice a quo, la scuola ed il corpo docente ritennero di assumere un atteggiamento “soft”, volto da un lato a contenere gli eccessi dell’alunno e dall’altro lato ad assicurare il regolare svolgimento delle lezioni (“in particolare, nelle ultime ore della mattina, quando si manifestava in maniera più evidente l’insofferenza del giovane, frutto della stanchezza accumulata, lo stesso veniva accompagnato in segreteria oppure in presidenza …”). E tali “accorgimenti”, tenuto conto della fase appena iniziale dell’anno scolastico e delle problematiche in parte nuove che il “caso” dell’alunno M.E. creava, sono stati ritenuti dalla Corte d’appello “ragionevoli” nell’ottica di assicurare da un lato lo svolgimento delle lezioni e di cercare, dall’altro, di non “prendere di punta” il giovane, di non isolarlo troppo dagli altri, di avviarlo, con pazienza, ad una graduale integrazione, obiettivi che una risposta immediata “forte” e con ricadute disciplinari, in ragione dei problemi relazionali del giovane, avrebbe probabilmente compromesso; tanto più che per lo stesso, non versando, egli, in condizioni di handicap “certificato, ai sensi dell’art. 3 L. n. 104/92, non era previsto l’intervento di un “insegnante di sostegno”.
Il ” caso “del giovane, peraltro – come ha tenuto a rimarcare la Corte di merito – venne comunque discusso in collegio dei docenti, con l’intervento di una psicologa, che invitò i docenti “a porsi come obiettivo per il ragazzo di riuscire a tenerlo in classe il più possibile in modo corretto, altrimenti allontanarlo per educano al rispetto delle regole”, escludendo l’opportunità, prospettata dal C. e da altro docente, di inserimento di una psico-pedagoga, potendo, a suo giudizio, una nuova figura educativa, disorientare ulteriormente il ragazzo. Essendosi il consiglio di classe adeguato alla proposta della psicologa, dopo appena tre giorni dalla decisione di andare avanti come in precedenza e, cioè, con quell’atteggiamento “flessibile” prima evidenziato, il C. rassegnava le sue immediate dimissioni, non condividendo la linea adottata nella gestione del caso dell’alunno M.E..
Sulla base di questa situazione fattuale, analiticamente esposta nella impugnata decisione, la Corte fiorentina ha coerentemente ritenuto che l’istituto scolastico abbia gestito il ” caso difficile “dell’alunno M.E. in termini di flessibile ragionevolezza e con risultati complessivamente apprezzabili, sicché non era rinvenibile a carico della Preside della scuola alcuna condotta omissiva o di colpevole sottovalutazione delle “ricadute ” che i comportamenti posti in essere nel periodo iniziale dell’anno scolastico 1999/2000 dall’alunno M.E. avrebbero potuto avere sul regolare andamento delle lezioni e sulla sicurezza complessiva delle persone e delle cose, con esclusione, quindi, di una violazione dell’art. 2087 c.c. e, di conseguenza, della sussistenza di una giusta causa di dimissioni, ai sensi dell’art. 2119 c.c., posto che dal materiale probatorio acquisito non emergeva l’impossibilità della prosecuzione del rapporto di lavoro per causa imputabile al C. ; tanto più che il “prosieguo” dell’anno scolastico evidenziò (stando alle risultanze processuali) come tale linea avesse dato buoni frutti, andando la condotta del giovane gradualmente migliorando, tanto che, a fine anno, “la sua perdurante “vivacità” non era dissimile da quella di altri compagni di classe”.
Non ravvisandosi in tale iter argomentativo le violazioni dedotte dal ricorrente, il ricorso va rigettato.
L’alterno esito dei giudizi di merito, comprovanti l’obiettiva difficoltà dell’apprezzamento dei fatti, giustifica la compensazione delle spese.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di questo giudizio.