L’ente proprietario della strada, ai sensi del r.d. 15 novembre 1923, n. 2506, è tenuto alla manutenzione delle strade.
Il referente normativo per la configurabilità della responsabilità in capo all’ente proprietario della strada per i danni subiti dall’utente, in conseguenza dell’omessa od insufficiente manutenzione delle strade, è l’art. 2043 c.c..
La giurisprudenza è concorde nell’affermare che “la responsabilità della P.A. per danni conseguenti a difetto di manutenzione delle strade è configurabile quando risulti violato il limite posto alla discrezionalità amministrativa della norma primaria e fondamentale del neminem laedere” (cfr, Cass. 17 gennaio 1996, n. 340; 05.07.2001 n. 9092; 30.07.2002 n. 11250; 08.11.2002 n. 15710).
Al riguardo, la giurisprudenza osserva che, se è vero che la P.A., in quanto proprietaria di una strada adibita al pubblico transito, possiede un potere discrezionale circa la manutenzione della stessa, è, però, altrettanto vero che tale potere discrezionale trova un limite nel rispetto delle norme legislative e regolamentari e nella osservanza del predetto principio del neminem laedere, il quale impone all’amministrazione di usare le cautele atte a non mettere in pericolo l’incolumità ed i beni dei cittadini.
In altri termini, l’anzidetto potere non esime la P.A. dall’obbligo di eliminare o, quantomeno, di segnalare la situazione di pericolo, poiché il principio appena ricordato impone all’amministrazione anche l’obbligo di tenere le strade in condizione tali da non costituire per l’utente, il quale confida ragionevolmente nello stato apparente di transitabilità, una insidia o un trabocchetto.
Emblematicamente, la Cassazione soggiunge che “l’ente proprietario della strada, aperta al pubblico transito, è tenuta a mantenere la strada stessa in condizioni che non costituiscano per l’utente, il quale fa ragionevole affidamento nella sua apparente regolarità, una situazione di pericolo occulto (cd insidia o trabocchetto)” ed, inoltre, la stessa Corte precisa che “per aversi insidia, quale fonte generatrice di responsabilità per l’ente proprietario della strada, occorrono congiuntamente i caratteri, obiettivo e subiettivo, della non visibilità e della non prevedibilità del pericolo” (Cass. 28 aprile 1997, n. 3630).
La Cassazione, nella Sentenza 11 gennaio 2008 n. 390, ha stabilito che il soggetto che agisca per il risarcimento del danno derivante da insidia stradale ha l’onere di provare gli elementi costitutivi del fatto, il nesso di causalità, il danno ingiusto e l’imputabilità soggettiva; mentre l’ente pubblico sul quale incombe il dovere di vigilanza sul bene che ha cagionato il danno ha l’onere di dimostrare il concorso di colpa del danneggiato oppure la presenza di un caso fortuito che interrompe la causalità tra l’evento ed il comportamento colposamente omissivo dell’ente stesso.
Emiliana Matrone
Corte di cassazione, sezione III civile, 11 gennaio 2008, n. 390
Corte di cassazione
Sezione III civile
Sentenza 11 gennaio 2008, n. 390
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il giorno 26 dicembre 1992 alle ore 16,30 Daniela A., mentre percorreva il marciapiede di via Carriola in Carrara, cadeva dentro un tombino che si apriva sotto i suoi piedi, riportando lesioni ad una gamba.
Con citazione del 30 aprile 1993 la A. conveniva dinanzi al Tribunale di Massa, il comune di Carrara e ne chiedeva la condanna al risarcimento di tutti i danni conseguenti alla caduta. Il Comune di costituiva e contestava la esistenza di una insidia o trabocchetto.
Il tribunale con sentenza del 12 gennaio 2001 rigettava la domanda e compensava le spese. La decisione era appellata dalla A., che ne chiedeva la riforma; resisteva il Comune chiedendo il rigetto del gravame.
La Corte di appello di Genova, con sentenza del 14 aprile 2003 così decideva: rigetta l’appello e compensa le spese del grado.
Contro la decisione ricorre la A. con quattro motivi di ricorso illustrati da memoria; resiste il Comune con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita accoglimento per le considerazioni che seguono.
I motivi del ricorso vengono in esame congiunto per i punti A. B. C. e per ultimo verrà in esame il motivo sub D che attiene alla compensazione delle spese.
Nel motivo sub A. si deduce la contraddittorietà della motivazione in relazione al punto della mancata dimostrazione della c.d. insidia, ed il motivo è illustrato, nel rispetto dei criteri della autosufficienza, indicando tutti gli elementi di prova sottoposti alla attenzione del giudice del merito, a partire dalle prove orali in relazione alla dinamica della caduta ed all’apertura del tombino posto sul marciapiede e fotografato, per finire con il rapporto della Polizia Municipale che indicava il tombino come insicuro, e con le relazione peritale del c.t.u. di ufficio, secondo cui «la dinamica dell’incidente, i dati amnestici e le certificazioni in atti dimostrano la compatibilità delle lesioni denunciate dalla A. con lo evento traumatico da lei subito il 26 dicembre 1992»; nel motivo sub B. si evidenzia come il fatto storico dannoso e lesivo sia stato verificato e che la dinamica del sinistro, e cioè la caduta della pedone, era stata determinata dalla presenza del trabocchetto, costituente insidia non prevedibile né prevenibile.
Nel motivo sub C. infine e riassuntivamente si osserva come l’iter logico proposto dalla motivazione della Corte di appello (ff 10 a 13 della motivazione) sia del tutto incoerente, posto che l’illecito, correttamente inquadrato sub art. 2043 c.c., da un lato viene ricostruito come illecito idoneo a provocare danno ingiusto, con riferimento alla riferibilità causale (ff 12 della sentenza), ma poi si elide l’imputabilità soggettiva all’ente pubblico, sotto il diverso profilo della imprevedibilità ed invisibilità del manufatto (ff 12 sei righe dopo) affermandosi che la prova dell’insidia non era stata data.
Si tratta di un evidente vizio per contraddittorietà della motivazione, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che investe una serie di enunciati posti a fondamento della decisione e rinvenibili nella motivazione, che sono in una relazione di reciproca incompatibilità: un tombino difettoso che si apre sotto i piedi di un pedone, facendolo precipitare, attiene alla evidenza ad una situazione di pericolo non evitabile, in quanto non segnalata, e non prevenibile, posto che in concreto ha determinato l’evento lesivo. Pertanto sussiste la imputabilità soggettiva, a titolo di colpa grave, a carico del Comune, preposto alla sicurezza dei pedoni che utilizzano il marciapiede, e dall’evento lesivo è derivato il danno ingiusto in ordine al quale il risarcimento è dovuto.
Non è possibile pertanto l’identificazione del corretto procedimento logico giuridico posto a base della decisione e la stessa deve essere cassata con rinvio (cfr Cass. 9 febbraio 2004, n. 2427, e 15 luglio 2003, n. 19433).
Il punto D resta assorbito posto che il giudice del rinvio dovrà provvedere anche per le spese di questo giudizio di cassazione secondo le regole della competenza.
Il giudice del rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto: in presenza di un fatto storico qualificabile come illecito civile ai sensi dell’art. 2043 c.c., la parte danneggiata ha l’onere della prova degli elementi costitutivi di tale fatto, del nesso di causalità, del danno ingiusto e della imputabilità soggettiva; l’ente pubblico (nella specie il Comune) preposto alla sicurezza dei pedoni e detentore del dovere di vigilanza sulla sicurezza dei tombini che si trovano sui marciapiedi, ha l’onere di dimostrare o il concorso di colpa del pedone o la presenza di un caso fortuito che interrompe la causalità tra l’evento ed il comportamento colposamente omissivo dell’ente (cfr. Cass. 12 gennaio 1996, n. 191, Cass. 3 dicembre 2002, n. 17152).
Il giudice del rinvio dovrà pertanto attenersi, nella ricostruzione del fatto storico, agli oneri di prova come sopra ricordati, considerando obbiettivamente la natura dell’insidia in relazione a tutti i dati di causa, senza pretermissioni rilevanti (come i dati forniti dal rapporto della polizia municipale).
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte di appello di Genova.