La Cassazione, con la sentenza del 22-05-2008 n. 13217 – quanto alla lamentata omessa pronuncia sulla eccezione di inapplicabilità del contratto collettivo per i dipendenti delle scuole private laiche (per essere applicabile ed applicato il diverso contratto collettivo stipulato dalla Federazione Italiana Licei Linguistici), che il giudice di appello, nell’affermare che a fronte dell’impegno lavorativo della insegnante C. “la retribuzione riportata nei prospetti paga in atti risulta del tutto inadeguata alla quantità e qualità del lavoro” – ha chiaramente escluso che il contratto applicato fosse conforme al dettato di cui all’art. 36 Cost..
La pronuncia sulla inadeguatezza di tale contratto comporta la reiezione della eccezione, ove ritualmente riproposta.
Ecco la sentenza in argomento:
Cass. civ. Sez. lavoro, 22-05-2008, n. 13217
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Lecce, depositato il 12 giugno 2001, C.A. esponeva di aver lavorato come insegnante di lingua e letteratura tedesca presso il “Liceo Linguistico Europeo O. “, istituto legalmente riconosciuto, dal 1 settembre 1986 al 24 ottobre 1996, data nella quale era stata verbalmente licenziata per essersi rifiutata di trasformare il suo rapporto di lavoro da subordinato ad autonomo. Aggiungeva che nella seconda metà del 1996 era stato indotto, tramite un sindacalista della CISL, a sottoscrivere un accordo transattivo, impugnato stragiudizialmente.
Assumendo di avere percepito una retribuzione inferiore a quella prevista dai contratti collettivi di settore ed inadeguata ai sensi dell’art. 36 Cost., chiedeva condannarsi S.M. e le società che si erano succedute nella gestione della scuola (E. s.r.l. e F. s.r.l.) al pagamento di L. 52.714.055 o della diversa somma ritenuta di giustizia, nonchè dichiararsi la nullità del licenziamento ed ordinarsi la riassunzione o la reintegrazione, con tutte le conseguenze di legge.
Si costituivano S.M., titolare della ditta O. , e le società F. s.r.l. ed E. s.r.l.. I convenuti deducevano che ogni rapporto con la signora C. era stato definito con transazione redatta in sede sindacale, non impugnabile ex art. 2113 c.c., cui era seguito il pagamento di L. 6.427.000. Contestavano i conteggi allegati al ricorso e affermavano che il rapporto si era risolto per unilaterale decisione della ricorrente, che dal giugno del 1996 non era più tornata al lavoro. Al termine dell’istruttoria il Tribunale, con sentenza del 25 maggio 2004, rigettava la domanda, ritenendo inoppugnabile la conciliazione in sede sindacale e non provata la intimazione del licenziamento. L’appello di C.A., cui resistevano S. M. e le due società, veniva parzialmente accolto dalla Corte di Appello di Lecce con sentenza del 2/21 marzo 2005.
I giudici di secondo grado, premesso che unico soggetto passivamente legittimato era la F. s.r.l., nella quale erano confluite E. s.r.l., F. s.a.s. ed “O. & C di Massimo S. “, escludevano che la transazione raggiunta il 7 ottobre 1996 fosse conforme al modello di cui all’art. 411 c.p.c. e, come tale, sottratta alla disciplina di cui all’art. 2113 c.c..
Condannavano pertanto la F. s.r.l. al pagamento di Euro 27.224,54, da cui andavano detratti gli importi ricevuti a seguito della sottoscrizione del verbale di accordo. Rigettavano invece la richiesta di declaratoria di illegittimità del licenziamento, non ritenendo fornita la prova del dedotto licenziamento verbale. Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando un unico complesso motivo di censura, la F. s.r.l.. A.C. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. La società denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1965, 2730, 1362, 2113 c.c. e dell’art. 411 c.p.c.; omessa pronuncia e vizio di motivazione su punto decisivo; violazione e falsa applicazione degli artt. 2070 e 2099 c.c.. Critica in primo luogo la sentenza nella parte in cui ha ritenuto assenti, nel verbale di accordo del 7 ottobre 1996, gli elementi indicati dall’art. 411 c.p.c. per sottrarre la transazione alla disciplina di cui all’art. 2113 c.c.. Deduce la irrilevanza della dichiarazione resa dal legale rappresentante della società, in sede di interrogatorio formale, sulla insussistenza di controversie fra le parti al momento della sottoscrizione della transazione, atteso che la transazione, ai sensi dell’art. 1965 c.c. ha anche lo scopo di prevenire possibili liti. Nega quindi valore confessorio alla ricordata dichiarazione del legale rappresentante, atteso che non si tratta di fatto sfavorevole alla società F. Rileva che erroneamente la sentenza afferma che la transazione non aveva la finalità di definire l’entità delle spettanze per meno di un mese. Deduce la irrilevanza del fatto che la signora C. non fosse iscritta alla CISL e che il sindacalista fosse stato contattato dal consulente della società. Assume che nessuno degli insegnanti era iscritto ad un sindacato e che l’intervento del qualificato sindacalista della CISL si era reso necessario proprio per assicurare ai lavoratori una adeguata ed efficace tutela. Critica la sentenza nella parte in cui nega, senza alcuna motivazione, che tale tutela vi sia stata. Assume che l’assistenza del rappresentante sindacale si deve presumere quando lo stesso sia presente, insieme al lavoratore, in sede transattiva; e che il giudice non può sindacare le modalità con le quali il sindacalista espleta l’assistenza. Deduce, ancora, che non è vero che il ruolo del sindacalista sia stato stigmatizzato dalla CISL. Con la nota dell’11 dicembre 1996 il segretario generale della CISL, premesso di essere stato informato di presunte irregolarità, si era limitato ad invitare la lavoratrice ad un’assemblea di tutto il personale della scuola, indetta per esaminare quanto accaduto. Lamenta, infine, che i giudici di appello hanno omesso di pronunciarsi sulla eccezione proposta dalla F. s.r.l. fin dal primo grado di giudizio (a pag. 3 della memoria di costituzione), secondo cui non era applicabile il contratto collettivo per le scuole private laiche, invocato dalla lavoratrice, ma quello della FILL (Federazione Italiana Licei Linguistici), effettivamente applicato al rapporto.
2. Il ricorso non è fondato. In ordine alla censura avverso la ritenuta esclusione di una transazione riconducibile allo schema di cui all’art. 411 c.p.c., osserva la Corte che gli articoli 410, 410 bis e 411 c.p.c. disciplinano il tentativo di conciliazione relativo ai rapporti previsti dall’art. 409 c.p.c..
Nella fattispecie in esame i giudici di appello hanno osservato: 1) il verbale di avvenuto accordo, redatto su foglio recante a stampa la sigla “CISL”, fu sottoscritto il 7 ottobre 1996 presso la sede della F. s.a.s. da S.M., da C. e da D.F., rappresentante CISL; 2) nel verbale si dava atto che detti soggetti si erano incontrati “per l’esperimento di bonaria conciliazione, previsto dagli artt. 410 e 411 c.p.c. della vertenza promossa da C. nei confronti dell’impresa F. s.a.s. avente ad oggetto la transazione del rapporto di lavorò”;
3) nel verbale si legge che le parti, dopo “ampia e cordiale discussione”, premesso che il rapporto si era svolto dall’1.9.1986 al 10.6.1996 con le varie ditte e società succedutesi nel tempo, e che C. aveva dichiarato “di aver percepito tutto quanto spettantegli per il c.c.n.l. e leggi vigenti in riferimento alla quantità e qualità del lavoro svolto”, avevano raggiunto accordo per definire “l’ultimo periodo lavorativo dal 15.5.1996 al 10.6.1996” con il pagamento “di L. 6.427.000, di cui L. 1.177.000 a saldo di tutte le spettanze ed indennità fino al 10.6.1996; L. 3.570.000 a titolo di t.f.r.; L. 1.680.000 al solo fine di evitare l’insorgendo lite senza che ciò possa rappresentare il riconoscimento, neppure parziale, di eventuali contrapposte pretese”; 4) contestualmente la signora C. dichiarava “di non aver null’altro a pretendere per qualsivoglia titolo, ragione o causa dedotta o deducibile rilasciando ampia e finale quietanza liberatoria anche ai sensi dell’art. 2113 c.c.”; 5) la teste D.G., segretaria della scuola, aveva dichiarato che C. aveva regolarmente iniziato le lezioni dell’anno scolastico in corso (1996/1997) e che all’epoca non vi era alcuna controversia in atto fra parte datoriale ed i docenti, circostanza ammessa dallo stesso S.M.; 6) il teste D., responsabile dell’ufficio sindacale della CISL di Lecce, aveva dichiarato di essere stato “contattato dal consulente della ditta, rag. Ca., perchè vi era da definire la posizione lavorativa di alcuni docenti… dalla vecchia società per aprirne delle nuove”, e di essersi recato presso i locali della scuola, su invito del consulente, onde partecipare ad una riunione allargata a tutto il collegio dei docenti; aveva aggiunto che i conteggi erano stati predisposti dal consulente per ciascun insegnante, che questi aveva esposto i termini della transazione, e che egli si era limitato a dare lettura del verbale, rendendosi disponibile per qualsiasi chiarimento, nonchè a controllare la corrispondenza dell’importo riferito a ciascun docente con quello indicato negli accordi; una volta raccolte le firme dei presenti, apposta la sua sottoscrizione, aveva consegnato a ciascuno copia degli accordi, in tal modo esaurendo il suo intervento.
Sulla scorta di tali elementi i giudici di secondo grado hanno escluso che si fosse in presenza di una transazione redatta ai sensi degli artt. 410 e 411 c.p.c., osservando che non sussisteva alcuna controversia fra le parti; che la sola società F. s.a.s. aveva interesse a regolare i rapporti con i docenti prima di trasformarsi in s.r.l.; che C. non era iscritta alla CISL e che nessuna opera di effettiva assistenza era stata posta in essere dal sindacalista, limitatosi a svolgere il ruolo di un testimone di operazioni (elaborazione di conteggi) cui era rimasto estraneo e di fatti (ricostruzione della storia lavorativa di C.) precedentemente ignorati; che la ignoranza della vicenda impediva quella assistenza consapevole ed informata richiesta per la transazione sindacale; che il ruolo svolto dal sindacalista risultava implicitamente stigmatizzato dalla CISL con la missiva dell’11.12.1996.
Osserva il Collegio che si tratta di una motivazione ampia, corretta, che non ha tralasciato alcun elemento decisivo, che non ha violato gli artt. 1965, 2730, 1362, 2113 c.c. e l’art. 411 c.p.c., che risulta in linea con i principi affermati da questa Corte. L’art. 1965 c.c. statuisce che la transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. La difesa della società non spiega quale era lite che poteva sorgere, quale era l’interesse della lavoratrice a prevenirla, quali le concessioni fatte dall’una e dall’altra parte. Quanto al ruolo del rappresentante sindacale, questa Corte ha già precisato che, “con riferimento alla conciliazione in sede sindacale ex art. 411 c.p.c., comma 3, al fine di verificare che l’accordo sia raggiunto con un’effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale, occorre valutare se, in base alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa” (Cass., 3 aprile 2002 n. 4730; v. anche Cass., 22 ottobre 1991 n. 11167 e 3 settembre 2003 n. 12858).
La prima censura è pertanto infondata.
Quanto alla lamentata omessa pronuncia sulla eccezione di inapplicabilità del contratto collettivo per i dipendenti delle scuole private laiche (per essere applicabile ed applicato il diverso contratto collettivo stipulato dalla Federazione Italiana Licei Linguistici), eccezione che si deduce proposta a pagina 3 della memoria di costituzione in primo grado, osserva preliminarmente la Corte che non si deduce che tale eccezione sia stata riproposta in appello. E comunque la Corte di Lecce, nell’affermare (pag. 8 della sentenza) che a fronte dell’impegno lavorativo della insegnante C. “la retribuzione riportata nei prospetti paga in atti risulta del tutto inadeguata alla quantità e qualità del lavoro”, ha chiaramente escluso che il contratto applicato fosse conforme al dettato di cui all’art. 36 Cost. La pronuncia sulla inadeguatezza di tale contratto comporta la reiezione della eccezione, ove ritualmente riproposta.
In conclusione il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna della società ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese di giudizio, con attribuzione all’avv. P.I., che ne ha fatto richiesta ai sensi dell’art. 93 c.p.c..
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese di giudizio, in Euro 21,00 per spese ed Euro 2.000,00 per onorario di avvocato, oltre spese generali, IVA e contributo previdenziale, con attribuzione all’avv. P.I.. Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2008