Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, Sentenza del 3 gennaio 2008 n. 6
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 23/10/2001, il Tribunale di Torre Annunziata respingeva la domanda proposta da C. F. volta “ad ottenere, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970, l’eliminazione o la riduzione dell’assegno mensile di mantenimento posto a suo carico in favore dell’ex coniuge G. L. e del figlio L. R., ora maggiorenne, con la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio (celebrato l’11.8.1980), pronunciata dal Tribunale di Napoli in data 19-6/2-7-1992”.
Con decreto del 18/03-17/04/2003, la Corte di appello di Napoli, nel contraddittorio delle parti, respingeva il reclamo proposto dal F., osservando e ritenendo tra l’altro: – che a sostegno della domanda il F. aveva dedotto che, a causa della grave crisi in cui versava l’attività da lui esercitata di vendita al minuto di carni, non era più in grado di sostenere gli oneri economici posti a suo carico con la sentenza di divorzio; – che al di là di tali generiche affermazioni il reclamante non aveva dimostrato di avere subito effettive contrazioni di guadagni rispetto al tempo della sentenza di divorzio, essendosi limitato a produrre copia delle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 1997 e seguenti, dalle quali non si traevano elementi di raffronto rispetto alla situazione reddituale alla quale era stata parametrata la misura dell’assegno di mantenimento all’epoca posto a suo carico; – che del tutto indimostrata (non essendo stato esibito nemmeno il certificato di nascita), inoltre, era rimasta l’affermazione del reclamante, secondo cui, da epoca successiva alla sentenza di divorzio sarebbe stato anche gravato dell’onere di mantenimento di una figlia minorenne.
Avverso questo provvedimento, con atto notificato il 18/05/2004, il F. ha proposto ricorso per Cassazione, fondato su un unico motivo ed illustrato da memoria. La L. non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso il F. denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 9 della L. 1.12.1970, n. 898 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 111 della Costituzione Italiana ed allo art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5”.
Premesso il richiamo pure delle ragioni poste dai primi giudici a fondamento del rigetto della domanda di revisione e dei motivi del reclamo, sostiene l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto in sintesi: – l’oggetto della controversia concerneva non la sopravvenienza o meno della situazione di fatto da lui dedotta, ma la sussistenza o meno di una sostanziale riduzione del suo reddito tale da incidere sulla possibilità di corrispondere l’assegno di mantenimento in questione o comunque di confermarne la pregressa entità; – che a tal fine aveva prodotto non solo tutta la documentazione fiscale ma anche una relazione tecnica illustrativa da cui emergeva l’estrema gravità della sua situazione economica in relazione al settore economico in cui operava; – che, comunque, i giudici di merito avrebbero dovuto avvalersi dei poteri istruttori d’ufficio, tra cui il potere di disporre indagini a mezzo della polizia tributaria e di assumere mezzi di prova; – che, d’altra parte la crisi del settore in cui lui operava costituiva fatto notorio e di comune esperienza e che ciò integrava un fatto idoneo ad immutare la situazione preesistente, alterando il premesso equilibrio realizzato dall’anteriore provvedimento sull’assegno; – che l’esistenza di una figlia minorenne non era stata contestata dalla L., come ben si poteva verificare con l’esame diretta degli atti del giudizio, per cui avrebbe dovuto costituire un fatto pacifico.
La censura non è fondata.
Occorre premettere che, secondo il condiviso consolidato orientamento di questa Corte (da ultimo cass. 2006/18627), «il decreto con il quale la Corte di appello provvede, su reclamo delle parti, alla revisione dell’assegno di divorzio, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. solo per violazione di legge, cui è riconducibile l’inosservanza dell’obbligo di motivazione, la quale si configura allorché questa ultima sia materialmente omessa (cioè quando si verifichi una radicale carenza della stessa), ovvero si estrinsechi in argomentazioni del tutto inidonee a rivelare la “ratio decidendi” del provvedimento impugnato (motivazione apparente) o fra loro logicamente inconciliabili o, comunque, obiettivamente incomprensibili (motivazione perplessa)». Ciò premesso, deve in primo luogo escludersi che la Corte di merito sia incorsa nella dedotta violazione di legge, come in precedenza intesa.
Nella specie, infatti, i giudici di merito hanno respinto il reclamo e quindi confermato il rigetto della domanda del F. non in quanto tale parte non aveva fornito la prova dell’entità dei suoi attuali introiti, ma perché non aveva provato anche la sua situazione reddituale dell’epoca della sentenza di divorzio oltre che il dedotto nuovo obbligo di mantenimento di una figlia minorenne, e perché aveva così impedito il raffronto tra le sue pregresse condizioni patrimoniali con quelle attuali e, quindi, la possibilità di inferire la sopravvenienza di giustificati motivi di revisione delle contribuzioni.
La Corte di merito, pertanto, con congrua e coerente motivazione, si è attenuta al dettato normativo ed al relativo condiviso orientamento di questa Corte (da ultimo cass. 2007/10133) secondo cui «Il provvedimento di revisione dell’assegno divorzile – previsto dall’art. 9 della legge n. 898 del 1970 – postula non soltanto l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche la idoneità di tale modifica a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti. Nella particolare ipotesi in cui il motivo di revisione si palesi di consistenza tale da condurre alla revoca dell’assegno divorzile, è indispensabile procedere, poi, al rigoroso accertamento della effettività dei predetti mutamenti e verificare l’esistenza di un nesso di causalità tra essi e la nuova situazione patrimoniale conseguentemente instauratasi, onde dedurne, con motivato convincimento, che l’ex coniuge titolare dell’emolumento abbia acquisito la disponibilità di mezzi idonei a conservargli un tenore di vita analogo a quello condotto in costanza di matrimonio o che le condizioni economiche del coniuge obbligato si siano a tal punto deteriorate da rendere insostenibile l’onere posto a suo carico. Pertanto, in sede di revisione, il giudice non può procedere a una nuova e autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se e in che misura le circostanze sopravvenute abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale».
Quanto, poi, ai profili della censura che attengono sia alla mancata valorizzazione di risultanze processuali, quali asseriti fatti notori o pacifici o perizie di parte, e sia al mancato esercizio di poteri officiosi di acquisizione delle prove, gli stessi sono inammissibili in sede di legittimità e segnatamente nel caso di ricorso fondato sull’art. 111 della Costituzione. Tali doglianze infatti, se da un canto invalgono poteri discrezionali (tra le altre cass 2006/11739; 2006/9861) di accertamento in fatto, acquisizione e valutazione delle prove riservati al giudice di merito, e, quindi, poteri il cui esercizio positivo o negativo non è sindacabile in sede di legittimità per violazione di legge, tenuto anche presente che nella specie non emergono contestazioni sull’entità del reddito documentato né risulta dal ricorrente sollecitato nella fase di merito l’esercizio di detto potere officioso, dall’altro introducono una, censura di difetto di motivazione non consentita, per quanto detto, in sede di ricorso ex art. 111 Cost..
Pertanto il ricorso deve essere respinto.
Non deve provvedersi sulle spese del giudizio di cassazione, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata vittoriosa.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 3 GENNAIO 2008