La Corte di Cassazione, nellaSentenza del 7 gennaio 2008 n. 27, osserva che secondo il dettato normativo ed il noto indirizzo giurisprudenziale (cass. 1998/6234; 2001/2844) lo scioglimento della comunione legale dei beni fra i coniugi, cui accedono rimborsi e restituzioni di cui all’art. 192 c.c., non può essere richiesta antecedentemente alla formazione del giudicato sulla separazione dei coniugi, e la domanda in tale senso eventualmente formulata prima di tale data va dichiarata – come tale – improponibile.
Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, Sentenza del 7 gennaio 2008 n. 27
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 27/02/1997, P. S. adiva il Pretore di Napoli – Frattamaggiore chiedendo la condanna del coniuge C. P. alla restituzione della complessiva somma di £ 6.150.000, oltre rivalutazione ed interessi, somma che asseriva di avere ricevuto in dono, in contanti, dai suoi familiari e da altri convitati, il giorno del matrimonio, celebrato il … omissis…, durante il ricevimento nuziale, e nella medesima occasione consegnato in deposito al convenuto, affinché gratuitamente la custodisse nel suo interesse. Precisava che di detta somma £ 5.700.000 costituivano il totale delle varie donazioni in denaro effettuate esclusivamente in suo favore, nelle forme d’uso, ossia in buste chiuse, e che, invece, £ 450.000 costituivano la quota pari alla metà di sua spettanza dei contanti donati anche allo sposo. Aggiungeva che presso il Tribunale di Napoli era in corso il giudizio di separazione personale introdotto dal P..
Costituitosi in giudizio, il convenuto contestava la fondatezza della domanda, facendo presente che la somma che la P. assumeva di avere ricevuto in dono era stata utilizzata per pagare il servizio fotografico delle nozze e la metà del viaggio di nozze, nonché per acquistare arredi ed un televisore, beni che erano nel pieno possesso della moglie, la quale ne aveva sempre rivendicato il diritto di proprietà, che, inoltre, con il denaro da lui ricevuto in dono erano stati acquistati un videoregistratore ed un televisore, rimasti anch’essi nella disponibilità dell’attrice, di cui, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna al pagamento di £ 850.000.
All’esito dell’istruttoria, l’adito Tribunale rigettava sia la domanda attorea che la domanda riconvenzionale, con sentenza del 19/11/2001.
Con sentenza del 25/03-16/05/2003, la Corte di appello di Napoli respingeva l’impugnazione proposta dalla P., interamente compensando le spese processuali:
La Corte di Merito osservava e riteneva, tra l’altro:
– che come era stato evidenziato dal primo giudice, il fatto che alcuni invitati avessero consegnato alla P., in occasione delle nozze, buste contenenti somme di denaro, non implicava di per sé in modo inequivoco la volontà di elargire tali somme alla sola attrice; e ciò in quanto, in considerazione del particolare evento che si intendeva festeggiare, attraverso il quale veniva ad instaurarsi il rapporto coniugale, la consegna del regalo a quello tra gli sposi al quale l’invitato era più legato da vincoli di parentela o amicizia, poteva ben essere inteso, secondo l’id quod plerumque accidit, anche come manifestazione della volontà di donare ad entrambi i coniugi, in vista delle loro comuni esigenze;
– che, pertanto, non assumeva rilevanza decisiva il fatto che le buste che avevano contenuto il denaro, prodotte in giudizio dall’attrice, fossero state indirizzate solo alla P.;
– che, comunque, anche se si fosse voluto accedere all’assunto della appellante, sarebbe risultato insormontabile l’altro argomento addotto dal primo giudice, costituito dalla mancanza di prova certa che il denaro elargito dagli invitati alla P. in occasione dei festeggiamenti nuziali, fosse stato, contestualmente alla ricezione, dalla medesima P. consegnato al marito a mero titolo di deposito;
– che nel contrasto tra le deposizioni testimoniali raccolte nel corso del giudizio di primo grado, appariva ben più plausibile e verosimile ritenere che l’attrice, nel consegnare il denaro al marito nel giorno stesso del suo matrimonio, avesse piuttosto voluto destinarlo ai bisogni della nuova famiglia, in adempimento dell’obbligo di contribuzione posto a carico di entrambi i coniugi dall’art. 143 c.c.;
– che tale convincimento era rafforzato dal fatto che solo a distanza di oltre cinque anni dalle nozze, e quando oramai l’unione matrimoniale era entrata irrimediabilmente in crisi (tanto che era stato già intentato giudizio di separazione), la P. aveva richiesto al P. la restituzione del denaro;
– che ove effettivamente l’appellante avesse, come da lei sostenuto, consegnato il denaro al marito affinché questi lo depositasse in banca, la stessa avrebbe potuto ben più solertemente accertarsi dell’effettivo rispetto del patto;
– che poco attendibili per la loro genericità e per lo stretto legame di parentela, apparivano le dichiarazioni della teste, sorella dell’attrice, seconda cui quest’ultima più volte, in sua presenza (ma in circostanze di tempo e di luogo non specificate), aveva chiesto al P. la restituzione del denaro, ricevendo ampie assicurazioni al riguardo;
– che il fatto che, al contrario, non fosse risultato che la P. avesse mai chiesto giustificazioni circa l’impiego del denaro o preteso la sua restituzione era sintomatico del consenso dell’attrice all’utilizzazione delle somme ricevute in dono per le esigenze familiari, così come dedotto dal convenuto e confermato dai testi dal medesimo indotti.
Avverso questa sentenza, con atto notificato il 25 maggio 2004, la P. ha proposto ricorso per Cassazione, fondato su quattro motivi. Il P. non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la P. denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 143, 177, 179, 184, 192, 217 e 2697 c.c., difetto ed illogicità della motivazione”. La ricorrente contesta che il comportamento degli invitati, consistito nella consegna a lei di buste contenenti il denaro ed a lei soltanto espressamente intestate, potesse essere inteso, dato anche il contenuto delle deposizioni testimoniali rese dagli stessi donanti, come significativo, secondo l’id quod plerumque accidit, dell’intento di elargire i doni pure al marito, considerando tra l’altro sia che poche altre buste erano state espressamente indirizzate, invece, ad entrambi gli sposi e sia che, secondo l’art. 179 lett. b) c.c., sono beni personali i beni acquistati per donazione se dall’atto non è specificata l’attribuzione alla comunione.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 143, 177, 179, 184, 192, 217 e 2697 c.c. e 246 c.p.c.; difetto ed illogicità della motivazione”. Contesta che la consegna del denaro da lei effettuata in favore del marito potesse presumersi avvenuta in adempimento dell’obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia, dal momento che per pervenire a tale conclusione sarebbe stata a suo parere anche necessaria la prova, invece non emersa, del suo consenso all’impiego in specifici acquisti personali da parte del marito, che dalle dichiarazioni da lei rese in sede di interrogatorio formale risultava il suo diniego a qualsiasi utilizzo delle somme, che da tre deposizioni testimoniali risultava l’impegno assunto dal marito di custodire nell’interesse della moglie il denaro ricevuto e che a tutto ciò non valeva opporre una presunta tardività della richiesta di restituzione.
Con il terzo motivo di ricorso la P. deduce “Violazione e falsa applicazione dell’art. 143, 177, 179, 184, 192, 217, 1770 e 2697 c.c.; difetto ed illogicità della motivazione”. Lamenta essenzialmente che sia stato apoditticamente escluso il deposito irregolare di denaro, deducendo anche la mancata valorizzazione delle ammissioni rese dal P. nel rispondere all’interrogatorio formale, secondo le quali il denaro era stato dalla moglie affidato a lui e sottolineando tra l’altro che – per il perfezionamento di tale contratto e sufficiente la consegna e l’accettazione del bene e non è necessario il previo espresso scambio di consenso; – che l’impiego delle somme senza consenso del depositante implica la responsabilità del depositario ai sensi dell’art. 1770 cc; – che é stata illogicamente disattesa la formazione di un obbligo di custodia che comporta l’obbligo di restituzione vieppiù quando tra i coniugi intervenga la separazione personale.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che essendo interdipendenti consentono esame unitario, non hanno pregio; conseguentemente deve anche ritenersi assorbito il primo motivo di ricorso, palesandosi superflua la relativa delibazione.
In primo luogo la P. ha fondato la pretesa restitutoria del denaro, che, oggetto di liberalità di terzi, asseritamente effettuate a suo esclusivo beneficio, era stato consegnato al P. il giorno stesso del matrimonio ed in concomitanza con l’elargizione, sul contratto di deposito, regolare o irregolare (art. 1782 c.c.), intervenuto tra lei ed il marito. Premesso che la qualificazione giuridica della vicenda é riservata al giudice di merito, il rigetto della domanda per il profilo in discussione, conseguente alla affermata riconduzione della dazione di denaro al diverso ambito dei doveri di solidarietà coniugale, appare aderente al dettato normativo oltre che suffragata da congrua e logica motivazione anche in relazione alla valutazione delle acquisite prove.
La Corte di merito, avvalendosi del suo insindacabile potere di valutazione delle prove, evidenziato il contrasto tra le deposizioni testimoniali, ha escluso che in base ad esse potesse univocamente ritenersi dimostrata la conclusione dell’invocato contratto di deposito, e, quindi, inquadrato la dazione di denaro nell’ambito del conferimento per i bisogni familiari di cui all’art. 143, comma terzo, c.c., in ragione di logici rilievi dirimenti, essenzialmente ricondotti sia al fatto che la consegna di esso dalla moglie al marito era avvenuta il giorno delle nozze e sia al fatto che la richiesta di restituzione era stata dalla prima formulata a distanza di un quinquennio dalle nozze, quando ormai l’unione coniugale era entrata irrimediabilmente in crisi ed iniziato il giudizio di separazione.
A tale riguardo la ricorrente oppone inammissibili rilievi in quanto o richiama i fatti favorevoli alla sua tesi da lei stessa dichiarati in sede di interrogatorio formale e come tali privi di valenza probatoria, o chiede di valorizzare solo le deposizioni testimoniali confacenti al suo assunto, o formula critiche apodittiche o ancora invoca la circostanza ammessa dal convenuto, ossia che in effetti il denaro gli era stato consegnato, evidentemente priva di decisività in ordine alla prospettata funzione della dazione. D’altra parte, al fine di escludere il conferimento ex art. 143 c.c. e di ricondurre la dazione nell’ambito del contratto di deposito, non potrebbe assumere diretta valenza probatoria nemmeno l’eventuale opposizione, attinente semmai alla successiva fase gestoria ed ai connessi obblighi e responsabilità, manifestata dalla P. avverso unilaterali, specifici impieghi del denaro da parte del coniuge consegnatario.
Con il quarto motivo la ricorrente denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 143, 177, 179, 184, 192, 193 e 217 c.c..; omessa pronuncia; difetto di motivazione”. Si duole dell’omessa pronuncia in ordine al quarto motivo di appello con cui aveva dedotto che, pur volendo accedere alla tesi del conferimento del denaro al menage familiare, la domanda di “ripetizione” avrebbe dovuto comunque essere accolta e non invece dichiarata improcedibile, dal momento che all’atto della decisione di prime cure era passata in giudicato la sentenza di separazione personale. Al riguardo evidenzia anche che erroneamente il giudice di primo grado aveva rigettato tale domanda per la ragione che “ogni questione relativa a rimborsi e restituzioni dovrebbe essere fatta valere in altra sede ai sensi dell’art. 192 cc, attenendo allo scioglimento della comunione legale, che ancora sussisteva tra i coniugi quando è stato incardinato il presente procedimento”.
Il motivo non esaminato in appello concerne una questione di diritto infondata, dal momento che il giudice di primo grado si è irreprensibilmente attenuto al dettato normativo ed al noto indirizzo giurisprudenziale (cass. 1998/6234; 2001/2844) secondo cui lo scioglimento della comunione legale dei beni fra i coniugi, cui accedono rimborsi e restituzioni di cui all’art. 192 c.c., non può essere richiesta antecedentemente alla formazione del giudicato sulla separazione dei coniugi, e la domanda in tale senso eventualmente formulata prima di tale data va dichiarata – come tale – improponibile.
Lo iato esistente tra pronuncia di rigetto e mancato esame del motivo per cui l’annullamento è stato domandato deve essere colmato da questa Corte attraverso l’impiego del potere di correzione della motivazione (art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.), integrando la decisione di rigetto pronunciata dal giudice d’appello mediante l’enunciazione delle ragioni che la giustificano in diritto, senza necessità di rimettere al giudice di rinvio il compito di dichiarare infondato in diritto il motivo non esaminato. Conclusivamente il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso devono
essere respinti, con assorbimento del primo motivo. Non deve provvedersi sulle spese del giudizio di cassazione, stante la soccombenza del ricorrente e il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato vittorioso.
P.Q.M. La Corte rigetta il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, assorbito il primo.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 7 GENNAIO 2008