Cassazione Civile, Sez. I, 05-02-2008, n. 2751
Svolgimento del processo
1. – Con decreto in data 29 aprile 2005, il Tribunale per i minorenni di Catania – rilevato che il minore Z.M., nato il (OMISSIS), già riconosciuto dalla madre Z.A., era stato successivamente, a seguito di sentenza del giudice minorile che aveva superato il mancato consenso dell’altro genitore, riconosciuto dal padre S.S. – disponeva che il bambino assumesse il cognome S. in aggiunta a quello materno.
2. – Il S. proponeva reclamo avverso tale decreto, chiedendo l’attribuzione al minore del patronimico in via esclusiva.
Anche la Z. proponeva reclamo, instando perchè il bambino conservasse il solo cognome della madre.
2.1. – Con decreto in data 29 marzo 2006, la Corte d’appello di Catania, in composizione specializzata, ha rigettato entrambe le impugnazioni.
La Corte etnea ha premesso che, ai fini dell’attribuzione del cognome del genitore che ha riconosciuto il figlio successivamente alla madre, occorre avere riguardo all’interesse esclusivo del minore, tenendo conto del diritto del medesimo alla propria identità personale fino a quel momento posseduta nell’ambiente in cui è vissuto, anche con riferimento alla famiglia in cui è cresciuto, nonchè ad ogni altro elemento di valutazione suggerito dalla fattispecie, esclusa ogni automaticità.
Ha quindi rilevato che nella specie non ricorreva alcuna ragione per cui il minore M. non dovesse portare anche il cognome paterno, tenuto conto: del legame sempre dimostrato dal S. verso il figlio; della mancanza di una cattiva reputazione del S. o di condotte dello stesso pregiudizievoli per il figlio; della circostanza che, quando vi erano stati dei rapporti tra il padre e il figlio, l’esito era stato positivo; della mancanza di conseguenze negative sotto il profilo dell’identità personale derivanti dall’aggiunta del cognome paterno, non avendo M. ancora acquisito del tutto, in ragione dell’età, una identità personale definita nell’ambiente sociale nel quale è vissuto.
Al fine di tutelare l’identità del minore, conosciuto fino ad allora come Z.M., la Corte d’appello ha ritenuto conforme all’interesse dello stesso la conservazione del cognome Z., aggiungendo quello S..
3. – Per la cassazione del decreto della Corte d’appello ha proposto ricorso la Z., con atto notificato l’il maggio 2007, deducendo due motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo (violazione ed erronea applicazione dell’art. 262 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., numero 3), la ricorrente pone il quesito se “violi l’art. 262 c.c. il provvedimento che non riconosce al cognome materno acquisito dal figlio naturale, tempestivamente riconosciuto dalla sola madre, e solo dopo notevole lasso temporale riconosciuto anche dal padre, una propria autonoma tutela, assurgendo in tale caso il matronimico alla dignità di segno distintivo dell’identità personale posseduta dal figlio naturale nell’ambiente in cui vive fino al momento del tardivo riconoscimento paterno”. In sede di illustrazione del motivo, si deduce che il padre, superata l’opposizione della madre, aveva proceduto al riconoscimento del figlio quando questi aveva l’età di cinque anni e mezzo, e che il decreto del Tribunale per i minorenni con cui era stato autorizzata l’assunzione del cognome paterno in aggiunta a quello materno era intervenuto quando il bambino aveva oramai compiuto i sette anni di età. Si osserva che M. nei suoi primi sette anni di vita ha maturato una propria identità personale, essendo conosciuto nell’ambito scolastico e sociale con il solo cognome della madre, e che – acquisita dal minore una capacità di discernimento adeguata alla sua non più puerile età nelle relazioni interne ed esterne, condotte con l’intima consapevolezza dell’appartenenza al gruppo familiare della madre – costituisce fonte di sicuro turbamento e disagio l’assunzione di un cognome diverso, ancorché aggiunto a quello originario. Ad avviso della ricorrente, assolvendo il cognome alla funzione di strumento identificativo della persona, l’attribuzione del cognome paterno in aggiunta a quello materno, disposta com’è stata ad oltre sette anni di distanza dalla nascita del minore, si risolverebbe in una irrimediabile lesione del “diritto ad essere se stessi”. Si invoca, infine, l’applicazione del principio di diritto, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice chiamato a valutare l’interesse del minore preventivamente riconosciuto dalla madre a vedersi attribuito il patronimico a seguito del successivo riconoscimento paterno, dovrà impedire il mutamento di cognome non solo nei casi in cui la cattiva reputazione del genitore possa comportare un pregiudizio per il minore, ma anche là dove il matronimico sia assurto ad autonomo segno distintivo della di lui identità personale.
Il secondo mezzo (omessa ed insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., numero 5) censura che il decreto impugnato abbia completamente ignorato la fondamentale circostanza insita nell’essere intervenuto il riconoscimento paterno a distanza di un notevole lasso di tempo dalla nascita del minore. Secondo la ricorrente, “è viziata per omessa (o, comunque, insufficiente) motivazione la sentenza con la quale il giudice di merito, sulla domanda diretta ad ottenere l’attribuzione del solo cognome materno, non applichi, senza darne ragioni, il principio costituzionalmente rilevante secondo cui il minore, al momento del riconoscimento da parte del padre, ha già maturato una precisa, infungibile identità individuale e sociale per il fatto di essere riconosciuto con il cognome della madre nella cerchia sociale in cui è vissuto, non facendo menzione alcuna degli evidenti conferenti alla decisione di aggiungere il cognome paterno, alla luce della non più puerile età del minore”. 2. –
In via preliminare, occorre ribadire che il provvedimento emesso dalla Corte d’appello in sede di reclamo, con il quale, ai sensi dell’art. 262 c.c., si provvede all’assunzione del cognome del figlio naturale nell’ipotesi in cui la filiazione nei confronti del padre sia stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi non di un mero atto di volontaria giurisdizione, ma di un provvedimento a carattere decisorio (dovendo esso, in assenza di diverse previsioni legislative, ritenersi non revocabile nè modificabile, anche a cagione delle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche attinenti all’identità delle persone) che incide sul diritto al nome e, per il tramite di questo, sul diritto all’identità personale (v. Cass., Sez. 1, 21 novembre 1998, n. 11789, e Cass., Sez. 1, 7 giugno 2006, n. 13281, che hanno superato l’orientamento restrittivo espresso da Cass., Sez. 1, 20 maggio 1998, n. 5019 e da Cass., Sez. 1, 11 maggio 1990, n. 4055).
Sempre in via preliminare, va precisato che il decreto reso dalla Corte d’appello di Catania è ricorribile non più soltanto per violazione di legge: poiché esso è stato depositato in cancelleria successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma della L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2), trova applicazione l’art. 360 c.p.c., u.c., novellato dal citato D.Lgs., art. 2, a tenore del quale “Le disposizioni di cui al comma 1”, e quindi la possibilità di impugnazione anche ai sensi del numero 5, relativo al vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, “si applicano alle sentenze ed ai provvedimenti diversi dalla sentenza contro i quali è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge”.
3. – Il primo motivo è infondato.
3.1. – L’art. 262 c.c., dispone che il figlio assume il cognome del genitore che per primo abbia effettuato il riconoscimento e che, nel caso di riconoscimento contemporaneo, al figlio è attribuito il cognome del padre. Qualora la filiazione nei confronti del padre sia stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre, aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Nel caso in cui il figlio sia minore, è il giudice che prende le decisioni relative all’assunzione del cognome paterno.
3.2. – Quando la filiazione nei confronti del padre sia stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, la disciplina del cognome, dettata dall’art. 262 c.c., è volta a conciliare due esigenze: quella secondo cui il cognome tende ad indicare l’appartenenza di una persona ad una determinata famiglia e quella secondo cui il cognome è espressione dell’identità della persona, elemento di riconoscimento della stessa nella trama dei suoi rapporti personali e sociali.
Proprio muovendo dalla premessa che il cognome, come parte del nome, è sempre meno strumento di ordine pubblico e sempre più bene morale della persona, rappresentando elemento costitutivo dell’identità personale e quindi oggetto di un vero e proprio diritto tutelato a livello costituzionale, la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, 26 maggio 2006, n. 12641; Sez. 1, 1 agosto 2007, n. 16989) ha precisato che, nel caso occorra decidere se attribuire al figlio il cognome del padre la cui genitorialità è stata accertata o dichiarata successivamente, si deve valutare l’esclusivo interesse del minore. La ratio dell’intervento del giudice – è stato precisato nelle citate pronunce – va individuata soprattutto nell’esigenza di garantire l’interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determina comunità. In questa prospettiva, il giudice deve aver riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto sino al momento del riconoscimento da parte del padre, ed è chiamato ad emettere, prescindendo da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome dell’uno o dell’altro genitore, un provvedimento contrassegnato da ampio margine di discrezionalità e frutto di libero e prudente apprezzamento, nell’ambito del quale assume rilievo centrale non tanto l’interesse dei genitori, quanto quello del minore ad essere identificato nel contesto delle relazioni sociali in cui è inserito.
Il giudice deve sempre valutare se il cognome che il figlio minore già porta è di tale significato sociale e personale da dovere essere mantenuto come segno distintivo della sua personalità o se invece possa essere sostituito o modificato, con l’aggiunta del cognome paterno, senza che vi siano per il minore ripercussioni negative. Ne consegue che, oltre che nei casi in cui ne possa derivare un diretto pregiudizio al minore in ragione della cattiva reputazione del padre, l’assunzione del patronimico in sostituzione del cognome materno non può essere disposta quando l’esclusione di detto cognome, oramai naturalmente associato al minore nel contesto sociale in cui egli si trova a vivere, si risolva in un’ingiusta privazione di un elemento distintivo della sua personalità, vale a dire del diritto “a essere se stessi”. 3.3. – Nella specie la Corte d’appello, correttamente impostando la questione nel senso della ricerca dell’interesse esclusivo del minore, ha applicato i principi innanzi richiamati, da un lato riconoscendo l’esigenza che il minore mantenga, con la conservazione del cognome materno, l’identità acquisita nella scuola e nell’ambiente in cui si svolge la sua vita di relazione, dall’altro dandosi carico di verificare se l’aggiunta a tale cognome di quello paterno possa recargli pregiudizio ed escludendo l’esistenza di un pregiudizio siffatto, tenuto conto della mancanza di una cattiva reputazione del S., del legame dimostrato dal padre verso il figlio e dell’esito positivo dei rapporti padre-figlio, verosimilmente suscettibili di intensificarsi per effetto dell’intervenuto riconoscimento.
La Corte d’appello ha altresì considerato che il minore non si trova ancora nella fase adolescenziale o preadolescenziale della sua vita, avendo cinque anni alla data dell’autorizzazione giudiziale del riconoscimento paterno e sette anni al momento del decreto oggetto di reclamo, ed è pertanto pervenuta a ritenere che il bambino non ha ancora acquisito una definitiva, piena e formata identità, eventualmente suscettibile di sconsigliare l’aggiunta del cognome paterno a quello materno che lo ha accompagnato sin dalla nascita. L’impugnato decreto contiene quindi una compiuta motivazione sul punto dell’interesse del minore, escludendo che l’accrescimento del cognome, in conseguenza del mutare dello status e della vicenda personale, sia di pregiudizio per il minore e risulti in contrasto con il suo diritto all’identità personale.
3.4. – Conclusivamente, il decreto della Corte d’appello sfugge alla censura di violazione e falsa applicazione di legge dedotta dalla ricorrente, essendosi correttamente attenuto al seguente principio di diritto: “Quando la filiazione naturale nei confronti del padre sia stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, al fine di decidere se attribuire al figlio il cognome del padre, aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre, il giudice deve valutare, ai sensi dell’art. 262 c.c., l’esclusivo interesse del minore, tenendo conto del fatto che è in gioco, oltre all’appartenenza del minore ad una determinata famiglia, il suo diritto all’identità personale, maturata nell’ambiente in cui egli è vissuto fino a quel momento, ossia il diritto del minore ad essere se stesso nel trascorrere del tempo e delle vicende attinenti alla sua condizione personale, e prescindendo, anche a tutela dell’eguaglianza fra i genitori, da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome. Ne deriva che legittimamente viene disposta l’attribuzione al minore, in aggiunta al cognome della madre, di quello del padre, allorché il giudice del merito, da un lato, escluda la configurabilità di un qualsiasi pregiudizio derivante da siffatta modificazione accrescitiva del cognome (stante l’assenza di una cattiva reputazione del padre e l’esistenza, anche in fatto, di una relazione interpersonale tra padre e figlio), e, dall’altro lato, consideri che, non versando ancora nella fase adolescenziale o preadolescenziale, il minore, tuttora bambino, non abbia ancora acquisito con il matronimico, nella trama dei suoi rapporti personali e sociali, una definitiva e formata identità, in ipotesi suscettibile di sconsigliare l’aggiunta del patronimico”. 3.5. – Le ragioni addotte dalla ricorrente con il secondo mezzo – là dove, denunciandosi il vizio di omessa ed insufficiente motivazione, si censura che il decreto impugnato non abbia adeguatamente valutato, data l’età del bambino, gli svantaggi collegati all’aggiunta del cognome paterno, “fonte di sicuro turbamento nell’equilibrio psichico del minore, formatosi ed avventuratosi alla vita nella legittima convinzione che il suo diritto, costituzionalmente tutelato, ad essere se stesso corrispondesse al diritto di essere Z.M.” – tendono in buona sostanza a ottenere dalla Corte di legittimità un’inammissibile rivisitazione di circostanze di fatto, con la prospettazione di una diversa lettura di elementi già attentamente vagliati e ponderati dal giudice di merito, e finiscono pertanto per sollecitare una revisione del ragionamento decisorio, non per allegare vizi riferibili al paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5. 4. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese di questo giudizio di cassazione, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2008