Corte Costituzionale – Sentenza 13 giugno 2008 , n. 203
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 796, lettera p), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007); dell’art. 6-quater del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni diverse), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2007, n. 17; dell’art. 1-bis del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonché in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 maggio 2007, n. 64, promossi con ricorsi della Regione Veneto, notificati il 23 febbraio 2007, il 23 aprile 2007 ed il 13 luglio 2007, depositati in cancelleria il 1° marzo 2007, il 30 aprile 2007 ed il 19 luglio 2007, ed iscritti, rispettivamente, ai nn. 10, 21 e 32 del registro ricorsi 2007.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi gli avvocati Mario Bertolissi, Luigi Manzi e Ezio Zanon per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Raffaele Tamiozzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
RITENUTO IN FATTO
1. – La Regione Veneto ha promosso, con ricorso notificato il 23 febbraio 2007 e depositato il successivo 1° marzo, questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), e, tra queste, del comma 796, lettera p), in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione (reg. ric. n. 10 del 2007).
1.1. – Preliminarmente, la ricorrente sottolinea come il legislatore, con le norme di cui al censurato comma 796, abbia dato attuazione al Protocollo di intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome sul Patto per la salute. Tale patto è richiamato nell’alinea del comma 796, in cui si legge: «Per garantire il rispetto degli obblighi comunitari e la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009, in attuazione del protocollo di intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute sul quale la Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella riunione del 28 settembre 2006, ha espresso la propria condivisione: […]».
La lettera p) del comma 796 stabilisce che, «a decorrere dal 1° gennaio 2007, per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale gli assistiti non esentati dalla quota di partecipazione al costo sono tenuti al pagamento di una quota fissa sulla ricetta pari a 10 euro. Per le prestazioni erogate in regime di pronto soccorso ospedaliero non seguite da ricovero, la cui condizione è stata codificata come codice bianco, ad eccezione di quelli afferenti al pronto soccorso a seguito di traumatismi ed avvelenamenti acuti, gli assistiti non esenti sono tenuti al pagamento di una quota fissa pari a 25 euro. La quota fissa per le prestazioni erogate in regime di pronto soccorso non è, comunque, dovuta dagli assistiti non esenti di età inferiore a 14 anni. Sono fatte salve le disposizioni eventualmente assunte dalle regioni che, per l’accesso al pronto soccorso ospedaliero, pongono a carico degli assistiti oneri più elevati». 1.2. – La Regione Veneto censura la suddetta norma nella parte in cui impone, per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, una quota fissa sulla ricetta pari a 10 euro, in quanto sarebbe in contrasto con il sistema di riparto delle competenze legislative disegnato dall’art. 117 Cost.
In particolare, secondo la ricorrente il legislatore statale avrebbe introdotto una disciplina di dettaglio nella materia «tutela della salute», rientrante nella competenza legislativa concorrente delle Regioni.
La difesa regionale osserva, inoltre, che la norma impugnata «mal si concilia con l’art. 119 Cost., che ovviamente riguarda il reperimento delle risorse regionali».
Infine, la Regione Veneto riferisce che sarebbe stato approvato dal Senato della Repubblica un emendamento soppressivo del ticket di 10 euro, in sede di conversione del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni diverse), e sottolinea come permanga il suo interesse all’odierna impugnazione «quanto meno fino all’entrata in vigore di tale modifica e fatta salva ogni ulteriore valutazione sul punto».
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio, chiedendo che il ricorso sia rigettato.
La difesa erariale ritiene, infatti, che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 796, lettera p), della legge n. 296 del 2006, sia inammissibile per carenza di interesse, «vista la limitazione temporale della disciplina censurata» che, secondo quanto stabilito dall’art. 6-quater del decreto-legge n. 300 del 2006, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2007, n. 17, trova applicazione «fino al 31 marzo 2007 e comunque fino all’entrata in vigore delle misure o alla stipulazione dell’accordo di cui al comma 2 del presente articolo».
3. – In data 29 gennaio 2008 la Regione Veneto ha depositato una memoria integrativa, con la quale insiste nelle conclusioni già formulate nel ricorso.
3.1. – In particolare, la difesa regionale osserva che la limitazione dell’efficacia temporale della norma impugnata, ad opera dell’art. 6-quater del decreto-legge n. 300 del 2006, introdotto in sede di conversione, «non priva la Regione ricorrente dell’interesse a veder dichiarata l’illegittimità costituzionale della previsione contenuta nella legge finanziaria per il 2007». Infatti, nei mesi precedenti la conversione del decreto-legge n. 300 del 2006 e «fino all’avverarsi delle condizioni cui l’art. 6-quater subordina la disapplicazione del ticket, […] quest’ultima misura si è imposta alla Regione ricorrente, la quale non ha potuto far altro che renderla immediatamente operativa».
Inoltre, secondo la ricorrente «i termini finali per la disapplicazione del ticket […] sono stati congegnati in modo tale da perpetuare per un tempo indeterminabile – ma certamente consistente – gli effetti dannosi dell’imposizione di cui sopra e risultano, comunque, per molti profili contrastanti con la Costituzione».
3.2. – Nel merito, la difesa regionale, «premessa l’insostenibilità […] della tesi che riconduce le previsioni legislative in esame alle materie, di potestà statale esclusiva, dei “rapporti con l’Unione europea” e della “perequazione delle risorse finanziarie”», ritiene di dover riaffermare l’afferenza della disciplina impugnata alla materia «tutela della salute». Di conseguenza, il «carattere dettagliato ed autoapplicativo» della normativa censurata determinerebbe l’illegittimità costituzionale della stessa per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
La Regione Veneto aggiunge che «tale risultato non cambierebbe, qualora si facesse rientrare la disciplina normativa impugnata nell’ambito del “coordinamento della finanza pubblica”, valorizzando, però, non una vuota ed estemporanea qualificazione del legislatore statale, ma l’effettiva capacità del ticket di rispondere “ad un’esigenza di finanziamento della spesa sanitaria”» (è richiamata in proposito la sentenza n. 184 del 1993 della Corte costituzionale). Anche in questo ambito, infatti, la potestà legislativa è ripartita tra Stato e Regioni.
La ricorrente conclude evidenziando che, tramite la previsione di un ticket fisso, la Regione Veneto «ha visto gravemente incisa la propria autonomia finanziaria relativamente al reperimento di risorse da destinare alla gestione di un settore, quello della tutela della salute, nel quale sono molto ampie le competenze legislative e amministrative dell’Ente ricorrente».
4. – La Regione Veneto ha promosso, con ricorso notificato il 23 aprile 2007 e depositato il successivo 30 aprile, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6-quater del menzionato decreto-legge n. 300 del 2006, aggiunto dalla relativa legge di conversione n. 17 del 2007, in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost. ed al principio di leale collaborazione (reg. ric. n. 21 del 2007).
4.1. – La norma impugnata, nella sua versione originaria, stabiliva: «1. Le disposizioni relative alla quota fissa di cui all’articolo 1, comma 796, lettera p), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si applicano fino al 31 marzo 2007 e comunque fino all’entrata in vigore delle misure o alla stipulazione dell’accordo di cui al comma 2 del presente articolo.
2. All’articolo 1, comma 796, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dopo la lettera p), è inserita la seguente:
“p-bis) per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, di cui al primo periodo della lettera p), fermo restando l’importo di manovra pari a 811 milioni di euro per l’anno 2007, 834 milioni di euro per l’anno 2008 e 834 milioni di euro per l’anno 2009, le regioni, sulla base della stima degli effetti della complessiva manovra nelle singole regioni, definita dal Ministero della salute di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, anziché applicare la quota fissa sulla ricetta pari a 10 euro, possono alternativamente:
1) adottare altre misure di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie, la cui entrata in vigore nella regione interessata è subordinata alla certificazione del loro effetto di equivalenza per il mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario e per il controllo dell’appropriatezza, da parte del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti di cui all’articolo 12 dell’intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005;
2) stipulare con il Ministero della salute e il Ministero dell’economia e delle finanze un accordo per la definizione di altre misure di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie, equivalenti sotto il profilo del mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario e del controllo dell’appropriatezza. Le misure individuate dall’accordo si applicano, nella regione interessata, a decorrere dal giorno successivo alla data di sottoscrizione dell’accordo medesimo”».
4.2. – Preliminarmente, la Regione Veneto ricorda come il censurato art. 6-quater sia stato introdotto in sede di conversione del decreto-legge n. 300 del 2006 ed abbia inciso sulla previsione dell’art. 1, comma 796, lettera p), della legge n. 296 del 2006, già oggetto di impugnazione da parte della medesima Regione (reg. ric. n. 10 del 2007).
In relazione a quest’ultimo ricorso, la ricorrente osserva come, nell’odierno giudizio avente ad oggetto l’art. 6-quater, permangano «i medesimi profili di illegittimità costituzionale ed, anzi, la violazione del dettato costituzionale (appaia) perfino aggravata dalla recente novella legislativa».
Al riguardo, la Regione Veneto sottolinea che l’imposizione, agli assistiti non esentati dalla quota di partecipazione, del pagamento di un ticket fisso di 10 euro sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale «rappresenta una palese violazione del riparto delle competenze legislative disegnato dall’art. 117 Cost.».
In particolare, secondo la ricorrente il legislatore statale avrebbe introdotto, nella materia «tutela della salute», rientrante nella competenza legislativa concorrente delle Regioni, una disciplina di dettaglio, autoapplicativa e direttamente operativa nei confronti dei privati interessati.
Pur ribadendo l’afferenza del censurato art. 6-quater alla materia della «tutela della salute», la difesa regionale ritiene che la norma impugnata violi l’art. 117, terzo comma, Cost. «anche nella denegata e non creduta ipotesi in cui la si volesse ritenere afferente alla materia “coordinamento della finanza pubblica”», rientrante nella competenza legislativa concorrente.
A sostegno della riconduzione della disciplina censurata a quest’ultimo ambito materiale vi sarebbe sia l’alinea del comma 796 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, sia la natura stessa del ticket, il quale, «oltre alla funzione di dissuasione dalla richiesta eccessiva ed inutile di prestazioni sanitarie, risponde ad un’esigenza di finanziamento della spesa sanitaria» (è richiamata in proposito la sentenza n. 184 del 1993 di questa Corte).
Qualora si dovesse accogliere l’impostazione da ultimo prospettata, la Regione Veneto osserva che «in un ordinamento decentrato – quale quello disegnato, almeno sulla carta, per l’Italia, dalla riforma del Titolo V della Costituzione – il coordinamento centrale della finanza pubblica, per quanto irrinunciabile, deve tradursi nel solo potere di indicare ai diversi livelli di governo obiettivi generali di stabilità finanziaria, affinché questi li perseguano mediante scelte autonome, non solo sul versante della spesa […] ma anche su quello del reperimento delle risorse».
Aggiunge la ricorrente: «così certo non è avvenuto nel caso di specie, dal momento che qui il legislatore è intervenuto con una disciplina di dettaglio autoapplicativa – come dimostra la stessa necessità di una normativa transitoria quale quella di cui all’art. 6-quater oggetto di impugnazione – che in nessun caso sembra potersi definire “principio fondamentale”».
La difesa regionale esclude, inoltre, che tale normativa di dettaglio possa ritenersi conforme a Costituzione «in virtù di una sua ipotetica “cedevolezza”», essendo illegittime norme statali di dettaglio cedevoli, salvo che in presenza di determinate condizioni.
Infine, secondo la ricorrente «l’invocazione di astratte finalità di rispetto degli obblighi comunitari» (contenuta nell’alinea del comma 796 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006) non basterebbe «ad esimere il legislatore dal rispettare il riparto di competenze disegnato dall’art. 117 Cost., dal momento che l’attuazione degli impegni comunitari è riservata alle Regioni, nelle materie di loro competenza, salvo il potere sostitutivo (non preventivo) dello Stato».
4.3. – In merito all’asserita violazione dell’art. 119 Cost., la Regione Veneto ritiene che la normativa statale di imposizione di un ticket fisso sulle prestazioni ambulatoriali determini una significativa compressione dell’autonomia finanziaria regionale, in relazione al reperimento di risorse da destinare alla gestione del settore sanitario.
Siffatta lesione dell’autonomia finanziaria sarebbe irragionevole, in quanto «non consente alle Regioni di graduare la partecipazione alla spesa pubblica sanitaria con i costi effettivamente sostenuti per ciascuna delle suddette prestazioni a detrimento anche, di conseguenza, del diritto fondamentale di cui all’art. 32 Cost.».
Inoltre, la compressione dell’autonomia finanziaria regionale non sarebbe «attenuata dalla novella di cui all’art. 6-quater della legge 26 febbraio 2007, n. 17»; infatti, sebbene il legislatore statale abbia inteso limitare l’efficacia temporale dell’imposizione del ticket fisso sulle prestazioni ambulatoriali, i termini finali previsti «sono viziati sotto numerosi profili da violazioni del dettato costituzionale e sono, comunque, congegnati in modo tale da perpetuare per un tempo attualmente indeterminabile, ma piuttosto consistente, gli effetti dannosi dell’imposizione di cui sopra».
Quanto al termine del 31 marzo 2007, secondo la difesa regionale esso sarebbe «manifestamente incongruo: è irragionevole, infatti, chiedere ad un ente articolato e complesso come quello regionale che, nello stretto termine di tre mesi, adotti misure alternative per la partecipazione alla spesa sanitaria (e per queste ottenga, entro gli stessi termini, una valutazione positiva ai due controlli previsti al numero 1 della nuova lettera p-bis del comma 796 dell’art. 1 della legge finanziaria per il 2007) o stipuli un accordo con il Ministero, in grado di garantire un importo complessivo inderogabilmente imposto di manovra di oltre 800 milioni di euro».
Quanto alle previsioni di cui alla nuova lettera p-bis) dell’art. 1, comma 796, della legge n. 296 del 2006, esse rappresentano, a parere della ricorrente, «una macroscopica violazione dell’art. 119 Cost.», in quanto il legislatore statale, «anziché limitarsi, finalmente, a stabilire l’obiettivo finanziario, fissando l’importo di manovra, per lasciare poi all’autonomia regionale il compito di attuare il fine prefissato, continua ad imporre alla Regione i mezzi con i quali realizzarlo».
In particolare, alla Regione Veneto «sembra evidente» che le norme contenute nella nuova lettera p-bis) non facciano altro che «ribadire, certo con una formulazione più articolata e per questo potenzialmente ingannevole, che le Regioni devono realizzare l’importo di manovra per il triennio 2007-2009 mediante “misure di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie”». Pertanto, posto che tra le misure da ultimo menzionate rientra il ticket, la difesa regionale ritiene che, con la norma impugnata, lo Stato abbia continuato «ad obbligare le Regioni a realizzare gli obiettivi di finanza con strumenti della stessa natura di quelli – per non dire con i medesimi strumenti – già imposti con la legge finanziaria per il 2007».
Infine, la Regione Veneto contesta la previsione della necessità di un accordo previsto al numero 2) della lettera p-bis), in quanto l’autonomia finanziaria regionale, sotto il profilo del reperimento delle risorse, e la competenza legislativa concorrente in materia di «tutela della salute» consentono alla Regione «di scegliere liberamente quali strumenti prevedere per realizzare l’obiettivo di bilancio, unico punto sul quale lo Stato conserva integra la sua competenza».
4.4. – La ricorrente conclude rilevando che le norme di cui al comma 2 dell’art. 6-quater violano anche il principio di leale collaborazione.
In primo luogo, l’asserita violazione consisterebbe nel contrasto esistente tra le norme impugnate ed il contenuto del Patto nazionale per la salute del 28 settembre 2006, che è stato attuato dal comma 796 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, la cui disciplina è stata, a sua volta, modificata dall’art. 6-quater del decreto-legge n. 300 del 2006, oggetto dell’odierna impugnativa. In altre parole, il censurato art. 6-quater, che pure incide sull’oggetto del richiamato Patto per la salute, non ne rispetterebbe il contenuto quanto al rafforzamento della capacità programmatoria e organizzativa delle Regioni.
In secondo luogo, il principio di leale collaborazione sarebbe violato dalla previsione di «una forma di accordo» fra alcuni Ministeri e le Regioni, «solo successiva all’imposizione del ticket fisso sulle prestazioni ambulatoriali». Pertanto, «una norma di transizione della disciplina del ticket così congegnata» si risolverebbe «in un aggravamento della lesione dell’autonomia, in particolar modo finanziaria, delle Regioni».
4.5. – In definitiva, secondo la ricorrente, «lo Stato, sul quale ricade la responsabilità finanziaria della tutela della salute in nome dell’eguaglianza, sottostima le spese e, con ciò, altro non fa che riversarle sulla Regione, cui finisce per attribuire la responsabilità politico-istituzionale delle decisioni finali, in particolare quando impone l’attuazione di misure puntuali, oggi escluse, salvo l’obiettivo finale, dalle disposizioni costituzionali regolatrici della materia».
5. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito anche in questo giudizio, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.
5.1. – Preliminarmente, la difesa erariale ricorda che il censurato art. 6-quater del decreto-legge n. 300 del 2006 incide sulla previsione dell’art. 1, comma 796, lettera p), della legge n. 296 del 2006, e che quest’ultima norma è già stata impugnata dalla medesima Regione Veneto (reg. ric. n. 10 del 2007). Da quanto appena detto scaturirebbe, secondo il resistente, la «manifesta inammissibilità dell’odierno, secondo ricorso della Regione Veneto in quanto, ove deciso, potrebbe porsi in evidente, stridente contrasto con la decisione relativa alla precedente, citata iniziativa della Regione».
L’Avvocatura generale ricorda, inoltre, che attualmente è all’esame del Senato della Repubblica un disegno di legge (A.C. 2534), già approvato dalla Camera dei deputati, il quale prevede all’art. 1-bis una riduzione del ticket sulle prestazioni specialistiche ambulatoriali da 10 a 3,5 euro.
5.2. – Nel merito, il resistente rileva che «la determinazione di una quota fissa su prescrizioni di prestazioni specialistiche ambulatoriali non costituisce affatto “norma di dettaglio attinente alla materia di legislazione concorrente della tutela della salute”, bensì disposizione strettamente inerente alla definizione dei Livelli essenziali di assistenza».
In particolare, secondo la difesa erariale, la norma impugnata, stabilendo «una condizione di accesso alle prestazioni sanitarie comprese nei livelli», individuerebbe «puntualmente le condizioni per l’esercizio del diritto all’assistenza sanitaria». Pertanto, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., andrebbe riconosciuta la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia regolata dalla normativa impugnata.
L’Avvocatura generale rileva, inoltre, che le previsioni di cui al comma 2 dell’art. 6-quater costituiscono, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 1, comma 796, della legge n. 296 del 2006, «attuazione del protocollo di intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute sul quale la Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella riunione del 28 settembre 2006, ha espresso la propria condivisione».
Infine, il resistente ricorda che il richiamato protocollo «riconosce […] la necessità di “combinare” la politica di promozione e coordinamento propria del Governo con il rafforzamento dell’autonomia organizzativa e della responsabilità finanziaria delle Regioni».
6. – In data 7 maggio 2008 la Regione Veneto ha depositato una memoria integrativa, con la quale insiste nelle conclusioni già formulate nel ricorso.
7. – La Regione Veneto ha promosso, con ricorso notificato il 13 luglio 2007 e depositato il successivo 19 luglio, questioni di legittimità costituzionale di tutte le disposizioni del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonché in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 maggio 2007, n. 64, e tra queste dell’art. 1-bis, in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost. ed al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) (reg. ric. n. 32 del 2007).
7.1. – La norma impugnata stabilisce: «1. L’importo della manovra derivante dalle disposizioni di cui all’articolo 1, comma 796, lettera p), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è rideterminato per il solo anno 2007 da 811 milioni di euro a 300 milioni di euro, anche per le finalità di cui alla lettera p-bis) del medesimo comma. A tal fine il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, cui concorre ordinariamente lo Stato, è incrementato per l’anno 2007 di 511 milioni di euro. Il predetto incremento è ripartito tra le regioni con i medesimi criteri adottati per lo stesso anno. Conseguentemente la quota fissa sulla ricetta è abolita con effetto dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre 2007. Il comma 1 dell’articolo 6-quater del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17, è abrogato.
2. All’onere derivante dall’attuazione del comma 1, pari a 511 milioni di euro per l’anno 2007, si provvede:
a) quanto a 100 milioni di euro mediante riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 50, della legge 23 dicembre 2005, n. 266;
b) quanto a 411 milioni di euro mediante utilizzo delle disponibilità del fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie di cui all’articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, che, a tal fine, sono versate nello stesso anno 2007 all’entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate, in deroga all’articolo 1, comma 46, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, al Fondo sanitario nazionale.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio».
7.2. – Preliminarmente, la Regione Veneto sottolinea come le disposizioni contenute nel censurato decreto-legge n. 23 del 2007 incidano sul «settore sanità». La ricorrente evidenzia, altresì, che la materia della «tutela della salute» ed in particolare il sistema di responsabilità e di finanziamento del servizio sanitario sono stati oggetto negli ultimi anni di numerosi interventi normativi, fra i quali quelli oggi all’esame della Corte costituzionale.
La difesa regionale individua le cause delle frequenti modifiche legislative in due esigenze distinte ma strettamente legate tra loro: da una parte, il controllo sulla spesa pubblica e, dall’altra, l’«attuazione del disegno costituzionale di stampo federale inequivocabilmente tracciato per il nostro ordinamento dalla riforma del Titolo V della Costituzione».
Pertanto, «l’obiettivo da raggiungere […] in materia di sanità come in altre parimenti sostanzialmente devolute, è quello di un equilibrio tra interesse nazionale e autonomie regionali che consenta un adeguato reperimento delle risorse finanziarie necessarie ed una successiva efficiente gestione delle stesse».
7.3. – Passando ai singoli motivi di censura, la Regione Veneto rileva che, per effetto della norma impugnata, l’imposizione della quota fissa di dieci euro, prevista dall’art. 1, comma 796, lettera p), della legge n. 296 del 2006, è stata «congelata» dal 20 maggio 2007 (giorno di entrata in vigore della legge n. 64 del 2007 con la quale è stato convertito il decreto-legge n. 23 del 2007) al 31 dicembre 2007. Da quanto appena detto discenderebbe la permanenza dell’interesse a ricorrere della Regione Veneto, la quale precisa di essersi «attivata in modo da rendere possibile il puntuale adempimento delle disposizioni normative statali». Al contempo, la ricorrente «teme anche le conseguenze derivanti dalla “rediviva” operatività della disciplina incostituzionale del ticket fisso sulle prestazioni mediche specialistiche a partire dal 1° gennaio del prossimo anno».
La difesa regionale, pertanto, ribadisce quanto già affermato nei ricorsi promossi avverso l’art. 1, comma 796, lettera p), della legge n. 296 del 2006 (reg. ric. n. 10 del 2007) e l’art. 6-quater del decreto-legge n. 300 del 2006, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 17 del 2007 (reg. ric. n. 21 del 2007).
7.3.1. – In particolare, la Regione Veneto sottolinea come la previsione del ticket sulle prestazioni ambulatoriali specialistiche sia palesemente in contrasto con il sistema di riparto delle competenze legislative disegnato dall’art. 117 Cost. La difesa regionale, dopo aver ricordato che le materie della «tutela della salute» e del «coordinamento della finanza pubblica» ricadono nella competenza legislativa concorrente, rileva che «l’aver determinato e, per di più in una quota fissa (di 10 euro), il corrispettivo dovuto dai cittadini assistiti non esenti per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, non può certo dirsi principio fondamentale, bensì disciplina di dettaglio e, per questo, incostituzionale».
7.3.2. – Inoltre, sarebbe stato violato l’art. 119 Cost., in quanto «con l’imposizione di un ticket fisso sulle prestazioni ambulatoriali, le Regioni hanno visto compressa significativamente la loro autonomia finanziaria relativamente al reperimento delle risorse da destinare alla gestione di un settore, quello della tutela della salute, nel quale amplissime sono le competenze legislative e amministrative dell’ente regionale».
Secondo la ricorrente, il legislatore statale avrebbe dovuto limitarsi ad indicare alle Regioni l’obiettivo finanziario da raggiungere, fissando l’importo di manovra, «per lasciare poi all’autonomia regionale il compito di attuare il fine prefissato». Al contrario, lo Stato avrebbe imposto alle Regioni i mezzi con cui realizzare l’obiettivo stabilito «e per di più mezzi irragionevoli, visto che l’imposizione di un ticket di dieci euro su tutte le prestazioni ambulatoriali specialistiche non consente alle Regioni di graduare la partecipazione alla spesa pubblica sanitaria con i costi effettivamente sostenuti per ciascuna delle suddette prestazioni, con conseguente lesione del diritto fondamentale di cui all’art. 32 Cost.».
7.3.3. – Infine, sarebbe stato leso il principio di leale collaborazione, innanzitutto perché la norma impugnata non è stata adottata in attuazione del protocollo di intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute approvato in sede di Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nella riunione del 28 settembre 2006.
In secondo luogo, in relazione alla norma censurata «nessun accordo si è cercato con le Regioni, né è stato, d’altra parte, ottenuto», pur vertendosi «in ambiti di competenza legislativa concorrente delle Regioni e di piena autonomia finanziaria delle stesse».
8. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito anche in questo giudizio, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.
In particolare, il resistente svolge una serie di argomentazioni che concernono il problema del ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, rilevando che il decreto-legge impugnato «appare pienamente riconducibile ai profili di competenza delineati dall’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato le materie concernenti il “sistema tributario e contabile dello Stato” e la “perequazione delle risorse finanziarie”».
Inoltre, il decreto-legge n. 23 del 2007, «intervenendo sul livello di finanziamento del servizio sanitario regionale utile per l’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie», conterrebbe norme destinate ad investire l’ambito materiale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
9. – In data 7 maggio 2008 la Regione Veneto ha depositato una memoria integrativa, con la quale insiste nelle conclusioni già formulate nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – La Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007).
Riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nella legge n. 296 del 2006, viene in esame in questa sede la questione relativa all’art. 1, comma 796, lettera p), promossa per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione (reg. ric. n. 10 del 2007).
2. – La Regione Veneto ha inoltre impugnato l’art. 6-quater del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni diverse), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2007, n. 17, per violazione degli artt. 117 e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione (reg. ric. n. 21 del 2007).
3. – Infine, la Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale di tutte le disposizioni del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonché in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 maggio 2007, n. 64.
Riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nel decreto-legge n. 23 del 2007, viene in esame in questa sede la questione relativa all’art. 1-bis, promossa per violazione degli artt. 117 e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione (reg. ric. n. 32 del 2007).
4. – Poiché tutte le norme impugnate attengono alla quota fissa di partecipazione al costo delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, introdotta dall’art. 1, comma 796, lettera p), della legge n. 296 del 2006, e le censure mosse sono sostanzialmente coincidenti, può essere disposta la riunione dei relativi giudizi.
5. – In via preliminare, è opportuno chiarire il quadro normativo entro cui si collocano le norme censurate.
L’art. 1, comma 796, lettera p), della legge n. 296 del 2006 ha introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2007 e fino a tempo indeterminato, una quota fissa di 10 euro sulla ricetta, in relazione alle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale. La norma oggetto di impugnazione da parte della Regione è solo quella relativa al ticket di 10 euro, con esclusione quindi delle altre norme contenute nella stessa lettera p) del comma 796.
La disposizione di cui sopra è stata ripetutamente modificata dal legislatore.
La prima modifica è stata apportata dall’art. 6-quater del decreto-legge n. 300 del 2006, introdotto in sede di conversione in legge. Il comma 1 di tale articolo ha limitato l’applicazione della norma di cui alla lettera p) del comma 796 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007, «fino al 31 marzo 2007 e comunque fino all’entrata in vigore delle misure o alla stipulazione dell’accordo di cui al comma 2 del presente articolo». Il comma 2 dello stesso art. 6-quater ha inoltre aggiunto al comma 796 di cui sopra una nuova lettera p-bis).
La seconda modifica è stata operata dall’art. 1-bis del decreto-legge n. 23 del 2007, anch’esso introdotto in sede di conversione in legge. Il detto art. 1-bis ha abrogato il comma 1 dell’art. 6-quater del decreto-legge n. 300 del 2006. Di conseguenza, a partire dal 20 maggio 2007 (data di entrata in vigore della legge n. 64 del 2007, con la quale è stato convertito il decreto-legge n. 23 del 2007) e fino al 31 dicembre 2007, è stata abolita la quota fissa sulla ricetta.
Infine, l’art. 2, comma 376, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008) ha abolito la quota fissa per l’anno 2008.
6. – La Regione ricorrente ritiene che l’art. 1, comma 796, lettera p), della legge n. 296 del 2006, violi l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto avrebbe introdotto una disciplina di dettaglio nella materia «tutela della salute», rientrante nella competenza legislativa concorrente, e l’art. 119 Cost., in quanto avrebbe inciso negativamente sull’autonomia finanziaria della Regione, con riguardo al reperimento di risorse da destinare alla gestione del settore sanitario.
Con riferimento all’art. 6-quater del decreto-legge n. 300 del 2006, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto avrebbe inserito una disciplina di dettaglio nella materia «tutela della salute», rientrante nella competenza legislativa concorrente, o, in subordine, in quella del «coordinamento della finanza pubblica», anch’essa rientrante nella competenza legislativa concorrente; dell’art. 119 Cost., in quanto, pur limitando l’efficacia temporale della norma prima citata al 31 marzo 2007 e comunque sino all’entrata in vigore delle misure o alla stipulazione dell’accordo di cui al comma 2 del medesimo articolo, avrebbe comunque inciso negativamente, per il periodo di vigenza, sull’autonomia finanziaria della Regione, con riguardo al reperimento di risorse da destinare alla gestione del settore sanitario. Inoltre, siffatta lesione dell’autonomia finanziaria sarebbe irragionevole, in quanto «non consente alle Regioni di graduare la partecipazione alla spesa pubblica sanitaria con i costi effettivamente sostenuti per ciascuna delle suddette prestazioni, a detrimento anche, di conseguenza, del diritto fondamentale di cui all’art. 32 Cost.»; del principio di leale collaborazione, in quanto il censurato art. 6-quater, che pure incide sull’oggetto del Patto nazionale per la salute del 28 settembre 2006, non ne rispetterebbe il contenuto quanto al rafforzamento della capacità programmatoria e organizzativa delle Regioni ed in quanto sarebbe prevista una forma di raccordo fra alcuni Ministeri e le Regioni «solo successiva all’imposizione del ticket fisso sulle prestazioni ambulatoriali».
Infine, viene impugnato l’art. 1-bis del decreto-legge n. 23 del 2007, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto avrebbe introdotto una disciplina di dettaglio nella materia «tutela della salute», rientrante nella competenza legislativa concorrente o, in subordine, in quella del «coordinamento della finanza pubblica», anch’essa rientrante nella competenza legislativa concorrente; dell’art. 119 Cost., in quanto, essendo stata abolita la quota fissa solo con effetto dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto-legge (20 maggio 2007) e fino al 31 dicembre 2007, ma non anche per il periodo passato (1° gennaio-19 maggio 2007) e per il futuro (dal 1° gennaio 2008 in avanti), sarebbe stata incisa ugualmente l’autonomia finanziaria della Regione con riguardo al reperimento delle risorse da destinare alla gestione del settore sanitario; sarebbe stato leso altresì il principio di leale collaborazione, in quanto la norma impugnata non è stata adottata in attuazione del protocollo di intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute, approvato in sede di Conferenza Stato-Regioni, il 28 settembre 2006, anche perché «nessun accordo è stato cercato con le Regioni, né è stato, d’altra parte, ottenuto», pur vertendosi «in ambiti di competenza legislativa concorrente delle Regioni e di piena autonomia finanziaria delle stesse».
6.1. – Le suddette questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.
6.2. – Questa Corte ha avuto occasione di fissare alcuni principi sulle forme di finanziamento delle prestazioni sanitarie. In particolare, è stato chiarito che «il diritto alla salute spetta ugualmente a tutti i cittadini e va salvaguardato sull’intero territorio nazionale. Non è pertanto casuale che la spesa in questione sia prevalentemente rigida e non si presti a venire manovrata, in qualche misura, se non dagli organi centrali di governo». Nell’ipotesi di introduzione di quote di partecipazione al costo delle prestazioni, questa Corte ha precisato: «Per non violare l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio, la sfera di operatività di una norma siffatta dev’essere, invero, ridotta ai minimi termini; mentre è soltanto lo Stato che dispone […] della potestà di circoscrivere in tal senso la spesa, per mezzo dell’introduzione di tickets o con il ricorso ad analoghe misure di contenimento»; ciò perché, «là dove sono in gioco funzioni e diritti costituzionalmente previsti e garantiti, è infatti indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica, per assicurare la certezza del diritto ed il buon andamento delle pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a durare nel tempo» (sentenza n. 245 del 1984).
Questa Corte ha, inoltre, precisato che il ticket è stato originariamente introdotto «più in funzione di dissuasione dal consumo eccessivo di medicinali che in funzione di finanziamento della spesa sanitaria», mentre «la successiva evoluzione legislativa ha […] attribuito al ticket una sempre maggiore valenza di strumento per la riduzione della spesa pubblica in materia sanitaria ed ha correlativamente disposto un’articolata disciplina delle esenzioni» (sentenza n. 184 del 1993).
Dopo la riforma del titolo V della parte II della Costituzione questa Corte ha avuto modo di ribadire la necessità, già segnalata nella sua pregressa giurisprudenza, che la spesa sanitaria sia resa compatibile con «la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario» (sentenza n. 111 del 2005). Ciò implica che «l’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa» (sentenza n. 193 del 2007). Tuttavia, la stessa offerta “minimale” di servizi sanitari non può essere unilateralmente imposta dallo Stato, ma deve essere concordata per alcuni aspetti con le Regioni, con la conseguenza che «sia le prestazioni che le Regioni sono tenute a garantire in modo uniforme sul territorio nazionale, sia il corrispondente livello di finanziamento sono oggetto di concertazione tra lo Stato e le Regioni stesse» (sentenza n. 98 del 2007).
6.3. – Alla luce dei principi generali prima riassunti, si deve tener conto del concreto inquadramento delle prestazioni sanitarie cui si riferisce il presente giudizio.
Le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale sono comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria: in particolare, l’Allegato 1, punto 2.E del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001 (Definizione dei livelli essenziali di assistenza) prevede che in tale tipo di assistenza rientrino le prestazioni terapeutiche e riabilitative e la diagnostica strumentale e di laboratorio. Lo stesso decreto esclude poi alcune di queste prestazioni dai livelli di assistenza, ponendole a carico degli assistiti. Proprio per assicurare l’uniformità delle prestazioni che rientrano nei livelli essenziali di assistenza (LEA), spetta allo Stato determinare la ripartizione dei costi relativi a tali prestazioni tra il Servizio sanitario nazionale e gli assistiti, sia prevedendo specifici casi di esenzione a favore di determinate categorie di soggetti, sia stabilendo soglie di compartecipazione ai costi, uguali in tutto il territorio nazionale.
L’esclusione di una determinazione unilaterale ad opera dello Stato delle misure di contenimento della spesa sanitaria ha portato alla stipulazione di un protocollo di intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale sulla salute, condiviso dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 28 settembre 2006. A tale protocollo ha fatto seguito un’intesa (Provvedimento 5 ottobre 2006, n. 2648), in cui, al punto 4.5, «si conviene di omogeneizzare le forme di compartecipazione alla spesa in funzione di una maggiore appropriatezza delle prestazioni».
L’art. 1, comma 796, della legge n. 296 del 2006, che comprende l’impugnata lettera p), precisa che le norme ivi contenute sono volte alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2007-2009, in attuazione del protocollo di intesa di cui sopra.
7. – L’esigenza di adottare misure efficaci di contenimento della spesa sanitaria e la necessità di garantire, nello stesso tempo, a tutti i cittadini, a parità di condizioni, una serie di prestazioni che rientrano nei livelli essenziali di assistenza (entrambe fornite di basi costituzionali messe in rilievo dalla giurisprudenza di questa Corte), rendono compatibile con la Costituzione la previsione di un ticket fisso, anche se non si tratta dell’unica forma possibile per realizzare gli obiettivi prima indicati.
Lo scopo perseguito è, da una parte, quello di evitare l’aumento incontrollato della spesa sanitaria, derivante dall’inesistenza di ogni forma di compartecipazione ai costi da parte degli assistiti, e, dall’altra, quello di non rendere più o meno onerose nelle diverse Regioni prestazioni che si collocano nella fascia delle prestazioni minime indispensabili per assicurare a tutti i cittadini il godimento del diritto alla salute.
Sia la previsione di un ticket fisso uguale in tutto il territorio nazionale (che peraltro ha avuto vigenza limitata al periodo intercorrente tra il 1° gennaio e il 20 maggio 2007), sia il ricorso a forme diverse di compartecipazione degli assistiti – entrambe previste dalle norme statali che si sono succedute nel tempo e tutte impugnate dalla Regione Veneto – sono da ritenersi compatibili con i principi costituzionali, nella considerazione bilanciata dell’equilibrio della finanza pubblica e dell’uguaglianza di tutti i cittadini nell’esercizio dei diritti fondamentali, tra cui indubbiamente va ascritto il diritto alla salute. La scelta di un sistema o di un altro appartiene all’indirizzo politico dello Stato, nel confronto con quello delle Regioni. Nella specie, l’intesa di cui prima s’è fatta menzione stabilisce con chiarezza che i criteri di compartecipazione devono assumere carattere omogeneo. Né potrebbe essere diversamente, giacché non sarebbe ammissibile che l’offerta concreta di una prestazione sanitaria rientrante nei LEA si presenti in modo diverso nelle varie Regioni. Giova precisare che dell’offerta concreta fanno parte non solo la qualità e quantità delle prestazioni che devono essere assicurate sul territorio, ma anche le soglie di accesso, dal punto di vista economico, dei cittadini alla loro fruizione.
Alla luce delle precedenti considerazioni, le norme impugnate non presentano i vizi di legittimità costituzionale denunciati dalla Regione ricorrente.
P. Q. M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse, nei confronti della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse, nei confronti del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonché in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 maggio 2007, n. 64, dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 796, lettera p), della legge n. 296 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6-quater del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni diverse), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2007, n. 17, promossa, in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost. ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1-bis del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 64 del 2007, promossa, in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost. ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2008.