Cassazione – Sezione quarta – sentenza 10 giugno 2008, n. 23090
Fatto e diritto
1. – Con atto del 27.02.2007 la Procura della Repubblica di Messina chiedeva il rinvio a giudizio di S. Giovanni in ordine ai seguenti reati: a) reato ex art. 589 c.p. – in concorso con Di M. Francesco, C. Salvatore e M. Giuseppe – perché, per colpa, cagionava la morte di F. Luigi dovuta a shock traumatico ipovolemico da grave trauma cranio-encefalico, verificatasi a seguito di una caduta mentre effettuava dei lavori di demolizione sopra una scala a circa sei metri di altezza; colpa consistita genericamente in negligenza, imperizia e imprudenza e, specificatamente, perché lo S. , quale committente, ometteva di verificare il rispetto delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro (art. 6, comma 2, D.Lgs. 494/96);
b) reato ex artt. 6, comma 2, e 20, lett. a) D.Lgs. 494/96 perché, quale committente, non verificava l’applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro. (In Sant’Alessio Siculo in data 09.03.2006)
1.1. Con la sentenza indicata in epigrafe il GUP pronunciava, nei confronti di S. Giovanni, declaratoria di “non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato”, ritenendo che, in applicazione dell’art. 6 D. Lgs. 494/1996, si dovesse escludere la responsabilità dell’imputato, per aver questi conferito al titolare di una impresa edile (Di M. Francesco) l’incarico di eseguire i lavori di demolizione e ricostruzione di un fabbricato di sua proprietà. Riteneva, in particolare, che la posizione di garanzia del committente S. , relativamente ai lavori eseguiti per suo conto, fosse venuta meno nel momento in cui, per l’esecuzione di tali lavori, aveva conferito l’appalto ad una entità dotata di una propria organizzazione di lavoro – quale l’impresa in argomento- e nominato un responsabile dei lavori.
2. – Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione sia il pubblico ministero che l’imputato.
2.1. Il P.M., con un unico motivo, deduce la inosservanza o erronea applicazione della legge penale per avere il GUP erroneamente interpretato il D.Lgs. 494/96, assimilando il “responsabile dei lavori” all’appaltatore, trascurando di considerare che il legislatore ha costituito due figure autonome, di cui la prima “eventuale”.
Detto giudice avrebbe altresì errato nella interpretazione dell’intero impianto normativo in materia di sicurezza nei cantieri, finalizzato ad attribuire un ruolo di vigilanza al committente nella sua qualità di soggetto che incarica terzi della esecuzione di un’opera. Sostiene inoltre che limitare l’operatività della disciplina soltanto al caso in cui questi terzi non siano un’impresa, non è conforme al dettato normativo e porterebbe alla conseguenza che il committente risponderebbe soltanto per la vigilanza su opere affidate a lavoratori autonomi, o per lavori effettuati in economia, in rapporto ai quali potrebbe, eventualmente, anche rispondere come datore di lavoro; che è vero, viceversa, il contrario di quanto affermato nel provvedimento impugnato, ossia che il decreto legislativo 626/94 si applica in presenza di un contratto di appalto, a prescindere dalla natura, imprenditoriale o meno, del soggetto appaltatore.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’impugnata sentenza con rinvio al giudice competente.
2.2. L’imputato S. Giovanni chiede l’annullamento senza rinvio di detta sentenza, modificando la formula rituale utilizzata dal giudice di prime cure con quella “perché il fatto non sussiste”. Quanto sopra per due motivi.
2.2.1. Con il primo motivo deduce la inammissibilità del ricorso per cassazione presentato dal PM, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) c.p.p. in relazione agli artt. 568, comma 4 e 591, comma 1, lett. a) c.p.p., per essersi il PM limitato, nell’unico motivo di ricorso, ad indicare una generica inosservanza o erronea applicazione della legge penale, senza indicare quali norme processuali sarebbero state violate dal giudice di prime cure e per non avere lo stesso PM l’interesse all’impugnazione richiesto dall’art. 568, comma 4, c.p.p. quale condizione di ammissibilità della impugnazione stessa (ex art. 591, comma 1, lett. a) c.p.p.). Deduce, altresì, l’impossibilità di configurare la responsabilità di esso committente, in presenza di un contratto di appalto e della nomina di un responsabile dei lavori (lavori che si sarebbero svolti nella piena autonomia dell’appaltatore) e nell’ambito del quadro normativo delineato dal D.Lgs. 626/1994 che, all’art. 7, comma 3, prevede l’esonero del committente dall’obbligo di cooperazione e di coordinamento con l’appaltatore per l’attuazione delle misure di prevenzione dei rischi di infortunio sul lavoro, quando si tratti di “rischi specifici propri delle attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi”.
2.2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, lett. e) in relazione agli artt. 425 e 428 c.p.p., per un presunto contrasto della formula “perché il fatto non costituisce reato” (con la quale il GUP ha dichiarato il proscioglimento) con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata. Avendo il GUP sostenuto che “…non può essere chiamato a rispondere per le violazioni poste in essere dall’appaltatore nell’ ambito della propria organizzazione dei lavori e dalle persone che lo affiancano nella gestione ed organizzazione delle misure di sicurezza” sarebbe stato logico, secondo il ricorrente S. un proscioglimento, ai sensi dell’ art. 425 c.p.p. con la formula ” perché il fatto non sussiste”.
3. – Il ricorso del P.M. è fondato.
La sentenza impugnata, nell’escludere che il committente possa essere chiamato a rispondere per le violazioni poste in essere dall’appaltatore nell’ambito della propria organizzazione dei lavori e delle persone che lo affiancano nella gestione e organizzazione delle misure di sicurezza, è incorso in una erronea interpretazione dell’impianto normativo di cui al D.Lgs. 494/96 (così come modificato dal D. Lgs. 528/99).
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il committente costituisce il “perno intorno al quale ruota la sicurezza nei cantieri” (Cass. Sez. III, 07.07.2003, n. 28774, Szulin); è, altresì, consolidato il principio secondo il quale “il committente rimane il soggetto obbligato, in via originaria e principale, alla osservanza degli obblighi imposti in materia di sicurezza sul lavoro” (Cass. Sez. III, 25.01.2007, n. 7209, rv. 235882, Bellini; conf. Sez. IV, 06.12.2007, n. 7714, rv. 238565, Mandatari).
L’esenzione del datore di lavoro dalle responsabilità che la legge gli impone si verifica solo a seguito della nomina del responsabile dei lavori e nei limiti dell’incarico conferito a quest’ultimo. Al riguardo, va richiamata la disposizione dettata dall’art. 6, comma 1, D.Lgs. 494/1996 -nella nuova formulazione dettata dal D.Lgs. 528/1999- secondo cui:
“1. Il committente è esonerato dalle responsabilità connesse all’adempimento degli obblighi limitatamente all’incarico conferito al responsabile dei lavori”. “2. La designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione, non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell’adempimento degli obblighi di cui all’art. 4, comma 1, e art. 5, comma 1, lettera a)”.
Dalla formulazione della suddetta norma, dunque, emerge chiaramente che il legislatore, nel prevedere l’esonero del committente dalle responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro nel cantiere, lo ha subordinato alla nomina di un responsabile dei lavori, nell’ambito però della delega ad esso conferita. Alla nomina del responsabile dei lavori si deve imprescindibilmente accompagnare un atto di delega, con il quale si attribuiscano al predetto responsabile dei lavori poteri decisionali, cui sono connessi evidenti oneri di spesa o, più in generale, la determinazione della sfera di competenza attribuitagli. Il legislatore, in sostanza, non ha predeterminato gli effetti della nomina del responsabile dei lavori, avendo stabilito espressamente che l’area di esonero della responsabilità del committente dipende dal contenuto e dall’estensione dell’incarico conferitogli (Cass. Sez. IlI, n. 7209/2007 cit). Le condizioni perché operi I’ esonero da responsabilità del committente sono pertanto: – nomina di un responsabile dei lavori; – tempestività di detta nomina in relazione agli adempimenti da osservarsi in materia di sicurezza del lavoro; – estensione della delega conferita al responsabile dei lavori ai predetti adempimenti.
Tanto precisato in punto di diritto, si rileva che nella fattispecie in esame, la nomina, da parte dello S. , del direttore dei lavori nella persona dell’Ing. M. , effettuata all’art. 2 del contratto di appalto in data 26.01.2006 -documento che questa Corte può esaminare ai sensi degli artt. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. (come modificato dalla legge 20.02.2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b) e art. 129 c.p.p- non soddisfa i citati requisiti. Detta nomina non contiene alcuna delega all’Ing. M. in relazione agli adempimenti da osservarsi in materia di sicurezza e, tanto meno, il conferimento dell’incarico di nominare i coordinatori per la progettazione e l’esecuzione dei lavori e non può pertanto produrre, nei confronti del committente, alcun effetto liberatorio dalle responsabilità che la legge pone a suo carico in materia di sicurezza sul lavoro nel cantiere de quo.
Difetta, inoltre il requisito della tempestività perché, come rilevato nella sentenza impugnata, solo in data 13.03.2006 (successivamente all’inizio dei lavori e al sinistro per cui si procede) veniva inoltrata all’Ispettorato del Lavoro notifica preliminare riguardante i lavori in questione e formalizzato l’incarico professionale relativo al coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dei lavori in persona di M. Giuseppe. Nemmeno può parlarsi di esenzione da responsabilità del datore di lavoro committente, ai sensi dell’art. 7, comma 3, ultima parte, D. Lgs. 19.09.1994, n. 626 che esclude l’obbligo per il datore di lavoro committente per i “rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi”, perché questa esclusione va riferita non alle generiche precauzioni da adottarsi negli ambienti di lavoro per evitare il verificarsi di incidenti ma alle regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale -generalmente mancante in chi opera in settori diversi- nella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine (Cass. sez. IV, 17.05.2005, n. 31296, rv. 231658, Mogliani).
Non può invero considerarsi rischio specifico, ai fini dell’applicabilità della suddetta norma, quello che debba essere fronteggiato con l’impedire che l’attività di demolizione di una parete perimetrale esterna di un edificio collocata alla seconda elevazione del fabbricato (a circa sei metri dal piano stradale) venga effettuata in condizioni di grossolane carenze sotto il profilo delle misure di sicurezza (come rilevato dalla documentazione fotografica in atti) e, in particolare, che detta attività venga effettuata avvalendosi di “una vecchia e malridotta scala in ferro della lunghezza di circa tre metri collocata sulla soletta di interpiano e appoggiata alla parete da demolire, senza preventivo allestimento di adeguato ponteggio e di idonei sistemi di ritenuta” essendo questo pericolo riconoscibile da chiunque indipendentemente dalle sue specifiche competenze. Di qui l’obbligo per il datore di lavoro committente di cooperare nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi. Erra altresì il giudice di prime cure allorché esclude l’operatività del sopra citato art. 7, D.Lgs. 626/94 nell’ipotesi in cui il committente, come nel caso di specie, sia un soggetto privato non imprenditore.
Al riguardo, per quanto concerne la figura del committente, va evidenziato che non appare condivisibile l’orientamento interpretativo secondo il quale presupposto necessario per l’individuazione di detta figura, ai fini della applicazione della normativa in argomento, sarebbe da individuarsi nella sussistenza di rapporti di lavoro subordinato facenti capo al committente, di talché non potrebbero rivestire tale qualifica, ad esempio, soggetti privati non imprenditori o non titolari di rapporti di lavoro. Tale orientamento interpretativo, finalizzato alla esclusione della applicazione della normativa in materia di sicurezza ad interventi edilizi commissionati da privati non imprenditori, trascura di considerare che la definizione di committente -quale soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione”- delineata dal D.Lgs. 494/96 (concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili in attuazione della direttiva 92/57/CEE, la cui disciplina si applica congiuntamente a quella dettata dal citato D.Lgs. 626/94 ) non fa alcuna menzione del requisito in questione, a differenza di quanto fanno altre disposizioni relative alla individuazione del datore di lavoro in materia di sicurezza (v. artt. 1 e 3 D.P.R. 07.01.1956, n. 164). L’obiettivo della citata normativa va individuato nell’esigenza di coinvolgere nell’attuazione della sicurezza in cantiere soggetti in passato tradizionalmente esclusi -fatti salvi i casi di concreta ingerenza- dall’attuazione delle misure di prevenzione.
In sostanza il legislatore, nell’intento di assicurare la sicurezza nei cantieri, ha imposto una serie di obblighi specifici a carico del committente e, a prescindere dalla natura -imprenditoriale o meno, del soggetto appaltatore- lo ha gravato della verifica dell’adempimento degli obblighi di cui agli arti. 4, comma 1, e 5, comma 1, lett. a) del citato D.Lgs. 494/96, ossia di controllare che sia redatto il piano di sicurezza e di coordinamento e che le imprese esecutrici applichino le previsioni del suddetto piano.
Solo in presenza di una valida ed efficace nomina di un responsabile dei lavori, nei termini e con le modalità sopra indicate, può verificarsi l’esenzione del committente dalla responsabilità su di esso incombente per trasferimento degli obblighi sul delegato responsabile dei lavori. Ciò, per i motivi illustrati, non si è verificato nella fattispecie.
4. – Manifestamente infondate, per contro, sono tutte le censure sollevate dallo S. . 4.1. – Sono in particolare da ritenersi assorbite le censure relative alla impossibilità di configurare la responsabilità del committente in presenza del contratto di appalto in argomento e alla presunta erronea interpretazione dell’ art. 7, comma 3, D.Lgs. 626/94. 4.2. – Manifestamente infondata si appalesa la pretesa carenza di interesse del P.M. alla impugnativa de qua. Sotto il profilo della apposizione in calce alla sentenza del visto del Procuratore Generale, va rilevato che tale circostanza non è certamente ostativa alla tempestiva presentazione, da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, del presente ricorso per cassazione ex art. 608, comma 2, c.p.p. Sotto il profilo della pretesa inidoneità del gravame “a costituire, attraverso l’eliminazione di quel provvedimento, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante”, erra il ricorrente a non ravvisare nella fattispecie, detta situazione, proprio per le considerazioni svolte dalla sentenza dallo stesso richiamata (Cass. Sez. II, 28.05.2004, n. 25715, rv. 229724). Invero, detta sentenza richiama il principio espresso, al riguardo, dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno infatti avuto modo di affermare che, avuto riguardo alla natura di parte sui generis del pubblico ministero, pubblica e non privata, ed alla fondamentale funzione di vigilanza sulla osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia, sancita dall’art. 73 dell’ordinamento giudiziario, “non v’è dubbio che in tale organo sussista l’interesse ad impugnare ogni qual volta ravvisi la violazione o l’erronea applicazione di una norma giuridica, sempre che tale interesse presenti i caratteri della concretezza e dell’attualità, quando cioè il gravame miri ad un risultato non soltanto teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole”. Erra il ricorrente nel ritenere che il “risultato favorevole” sia esclusivamente quello coincidente con l’interesse di esso indagato. Va, viceversa, ritenuto sussistente l’interesse, concreto e attuale, del P.M. allorché con la sua impugnazione, attraverso l’esatta osservanza della legge penale (con specifico riferimento alle misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori nei cantieri di cui ai decreti legislativi n. 494/1996 e n. 626/1994), invoca la sostituzione della formula assolutoria “perché il fatto non costituisce reato”, ritenendo giustificata la richiesta di rinvio a giudizio per l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato. 4.3. -In tale contesto, il ricorso di S. Giovanni deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali, nonché l’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 616 c.p.p. nella misura ritenuta equa di €. 1.000,00, non esulando profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
– Va viceversa accolto il ricorso del P.M. con conseguente declaratoria di annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Messina per nuovo giudizio.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina annulla la sentenza impugnata con rinvio al predetto Tribunale. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente S. Giovanni al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.