Il Consiglio di Stato, nella Decisione 11 luglio 2008 n. 3506, afferma che l’attività di vigilanza di Banca d’Italia e CONSOB, ciascuna nell’esercizio delle proprie competenze, si sostanzia in un controllo continuo sull’attività delle imprese autorizzate, in cui l’oggetto della valutazione risiede sia nelle singole ed eventuali mancanze in sé considerate, sia nell’idoneità delle stesse a riflettersi negativamente sul complessivo andamento dell’attività. Così, il rischio a cui sono esposti gli investitori, le informazioni agli stessi fornite, le misure di controllo interno predisposte, l’andamento economico, le prospettive di mercato, l’esistenza e l’ammontare del patrimonio di garanzia, sono tutti elementi di un giudizio complessivo sull’andamento dell’impresa e dell’attività esercitata.
Nel settore dell’intermediazione finanziaria, le direttive degli organi comunitari (in particolare Direttiva 93/22/CEE del Consiglio, del 10 maggio 1993, relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari) si propongono di realizzare, nel settore delle imprese di investimento, il mercato interno, sotto il duplice profilo della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi; il perseguimento di tali obiettivi è tuttavia subordinato a un controllo operato dagli organi competenti dei singoli stati membri tale da salvaguardare gli, altrettanto fondamentali, obiettivi di tutela degli investitori e della stabilità del sistema finanziario. Mentre al perseguimento dei principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi nel settore dell’intermediazione sono funzionali le norme volte al rilascio di un’unica autorizzazione valida in tutta la Comunità, le misure di vigilanza, nonché quelle sanzionatorie o interdittive dell’attività, sono volte a garantire l’investitore nonché la stabilità del mercato finanziario. Dal punto di vista degli interessi tutelati, la mancata gestione dei fondi o dei titoli non priva i risparmiatori – investitori dall’esposizione ai rischi tipici dell’attività professionale di intermediazione. Nelle prestazioni dei servizi di intermediazione, l’onere di garantire gli investitori grava su tutti quei soggetti abilitati che indirizzano in modo professionale le scelte del risparmiatore – investitore e le norme che ne disciplinano l’esercizio rispondono sia ad esigenze di tutela del privato che si avvale dell’attività di un professionista, sia a interessi superiori costituzionalmente garantiti.
In presenza di condizioni di crisi dell’intermediario finanziario che minano l’idoneità dello stesso a operare nel settore, l’operatore è chiamato a predisporre tutte le misure necessarie a preservare l’integrità dei beni dei clienti nonché la stabilità del mercato: tali misure non possono essere preventivamente determinate dal legislatore ma è onere degli organismi di amministrazione interni individuare le più idonee a fronteggiare la crisi. Il giudizio degli organi di vigilanza attiene sia alla regolarità formale degli obblighi previsti dal legislatore sia alla verifica dell’affidabilità dell’intermediario e della idoneità dello stesso a operare nel settore: il giudizio complessivo di idoneità dell’operatore ha carattere dinamico e investe le misure concretamente adottate per far fronte all’andamento negativo della gestione sociale. All’interno del giudizio complessivo così caratterizzato, l’ammontare del patrimonio di garanzia, strumento di tutela previsto obbligatoriamente dall’ordinamento al fine di predisporre una garanzia minima a fronte dei rischi connaturati all’attività di intermediazione finanziaria e gestione di fondi o titoli, diventa solo uno degli elementi oggetto di analisi e la valutazione dello stesso deve assumere a parametro non solo il riferimento normativamente predeterminato ma anche la concreta situazione in cui svolge la propria funzione di garanzia.
In materia, il legislatore ha operato un contemperamento degli interessi coinvolti, prevedendo peculiari cautele per l’esercizio di attività, nonché forme penetranti di vigilanza e controllo, al fine di garantire la stabilità del mercato e tutelare il risparmio in tutte le sue forme. Le varie forme e i diversi servizi in cui può svolgersi l’attività di intermediazione finanziaria presentano potenzialità lesive dell’interesse al risparmio costituzionalmente tutelato (art. 47, Cost), a tal fine non potendosi distinguere tra servizi che comportano la detenzione e l’utilizzo di fondi o titoli mobiliari dei clienti ovvero si limitano a curare i movimenti o il collocamento degli stessi fondi o titoli. Tale contemperamento di interessi postula che, in una situazione di accertate irregolarità di eccezionale gravità, le generali disposizioni in materia di contraddittorio e partecipazione siano sacrificate al fine di evitare, prima dell’insediamento del liquidatore, il pregiudizio dell’interesse degli investitori e quello del mercato derivante dall’alterazione della situazione, in particolare sotto il profilo della confusione tra capitale dei clienti e capitale societario. E’, pertanto, applicabile, nel settore dell’intermediazione finanziaria, l’art. 57, D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, che, richiamando l’art. 80, D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385, esclude l’applicazione delle norme in materia di partecipazione e contraddittorio nel procedimento che si conclude con il decreto ministeriale di revoca dell’autorizzazione e liquidazione coatta amministrativa dell’impresa destinataria del provvedimento.
Emiliana Matrone
Consiglio di Stato – Decisione 11 luglio 2008 , n. 3506
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 9667/2007 proposto dal sig. G. C., in proprio quale azionista e quale ex legale rappresentante della C. s.p.a., e dal sig. L. R., azionista della medesima Società, rappresentati e difesi dall’avv. Roberto Masiani e dall’avv. Fabrizio Orazi ed elettivamente domiciliati presso il primo in Roma piazza Adriana n. 5;
contro
– il Ministero dell’Economia e Finanze in persona del Ministro in carica rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è per legge domiciliato;
– la Banca d’Italia in persona del legale rappresentante rappresentata e difesa dagli avv.ti Olina Capolino, Raffaele D’Ambrosio e Monica Marcucci ed elettivamente domiciliata presso la propria sede in Roma, via Nazionale n. 91;
– la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa in persona del Presidente rappresentata e difesa dagli avv.ti Fabio Biagianti, Maria Letizia Ermetes e Paolo Palmisano con i quali elettivamente domicilia in Roma, via G.B. Martini n. 3;
– C. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa in persona del Commissario liquidatore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo per il Lazio, sede di Roma, Sezione I, n. 5411/2007 in data 13 giugno 2007, resa tra le parti;
Visto l’atto di appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Viste le memorie difensive prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza dell’8 aprile 2008, relatore il Consigliere Manfredo Atzeni ed uditi, altresì, gli avvocati Orazi, Masiani, Capolino, D’Ambrosio, Ermetes e l’avv. dello Stato Cimino;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso al Tribunale Amministrativo per il Lazio, sede di Roma, il sig. G. C., in proprio quale azionista e quale ex legale rappresentante della C. s.p.a., ed il sig. L. R., azionista della medesima Società, impugnavano il decreto n. 1377, Dipartimento del Tesoro, Direzione IV, Uff. II, in data 8/1/2007 con il quale il Ministro dell’Economia e Finanze aveva revocato l’autorizzazione all’esercizio dell’attività della predetta società d’intermediazione mobiliare, ponendola in liquidazione coatta amministrativa; l’impugnazione era estesa agli atti presupposti e consequenziali tra i quali, segnatamente, la nota della Banca d’Italia n. 1349407 in data 28/12/2006 e la nota della CONSOB in data 3/1/2007.
Lamentavano:
eccesso di potere per difetto ed illogicità della motivazione, difetto di istruttoria e travisamento o mancata considerazione dei presupposti di fatto, anche in relazione al requisito dell’eccezionale gravità; violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241;
1) Violazione dell’art. 57 del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.
Chiedevano quindi l’annullamento del provvedimento impugnato.
Con la sentenza in epigrafe il TAR Lazio, sede di Roma, Sezione I, respingeva il ricorso.
Avverso detta sentenza propongono appello il sig. G. C., in proprio quale azionista e quale legale rappresentante della C. s.p.a., ed il sig. L. R., azionista della medesima Società, criticando gli argomenti del decisum e chiedendo la sua riforma, previa sospensione.
In particolare deducono l’illegittimità costituzionale per eccesso di delega (violazione dell’art. 76 cost.) del d. lgs. 58/1998 nella parte in cui è applicabile alle imprese che si limitano a ricevere e trasmettere ordini di investitori senza detenere fondi e/o titoli appartenenti ai loro clienti e l’illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 97 cost. ed eccesso di delega (violazione art. 76 cost.) del d. lgs. n. 58/1998 nella parte in cui esclude le garanzie di partecipazione e del contraddittorio nel procedimento amministrativo anche per le SIM che non gestiscono fondi o titoli dei clienti.
Nel merito, deducono violazione dell’art. 1 l. 241 del 1990, omessa applicazione dei principi comunitari di libertà di impresa e di concorrenza, mancata proporzionalità e adeguatezza della misura adottata a carico della società per le irregolarità rilevate e conseguentemente l’insussistenza dell’eccezionale gravità – di cui all’art. 57 del d. lgs. 58/1998 – che giustifica l’adozione del provvedimento di revoca e liquidazione coatta amministrativa; gli appellanti eccepiscono altresì il vizio di eccesso di potere da parte degli organi di vigilanza della Banca d’Italia sia nella figura sintomatica della lacunosa istruttoria e il travisamento dei presupposti di fatto – in particolare sotto il profilo dell’inadeguata considerazione della modifica dello statuto e dell’oggetto dell’attività sociale, nonché delle garanzie offerte dal patrimonio di vigilanza -, sia nella figura sintomatica della contraddittorietà fra atti derivante dalla mancata presentazione di rilievi a carico della società di revisione.
Alla camera di consiglio del 12 gennaio 2008 è stata decisa la riunione al merito dell’istanza cautelare.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e Finanze in persona del Ministro in carica e la Banca d’Italia e la CONSOB in persona dei rispettivi legali rappresentanti, chiedendo il rigetto dell’appello.
All’udienza dell’8 aprile 2008 la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Gli appellanti hanno in primo grado impugnato il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento del Tesoro – Direzione IV – Uff. II – prot. n. 1377 del 08.01.2007, con il quale veniva revocata alla suddetta società della quale sono azionisti ed ex amministratori l’autorizzazione all’esercizio dell’attività e la stessa era posta in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’art. 57 del D. Lgs 24 febbraio 1998, n. 58 essendo state riscontrate gravi irregolarità gestionali, tali da evidenziare:
– strutturale incapacità reddituale, che ha progressivamente assottigliato il patrimonio;
– forte ridimensionamento della struttura, già connotata da rilavanti debolezze;
– inconsistenza del sistema dei controlli interni;
– irreversibilità della crisi aziendale, riconducibile agli organi amministrativi e di controllo, dimostratisi incapaci di affrontare la crisi operativa e tecnica della Società.
A seguito del rigetto dell’impugnazione, da parte dei primi giudici, viene proposto il ricorso in appello in epigrafe.
Gli appellanti sostengono, sotto vari profili, l’attuale idoneità della struttura a svolgere il servizio offerto alla clientele con le dovute garanzie, soprattutto in relazione al fatto che nel 2004 è stata decisa una profonda ristrutturazione, con la cessazione di ogni attività di negoziazione per conto terzi, dedicandosi esclusivamente alla intermediazione nel collocamento di fondi di investimento esteri.
Le argomentazioni degli appellanti si fondano su questo presupposto, che non sarebbero stato adeguatamente preso in considerazione dagli appellati nell’adottare il provvedimento impugnato.
2. Lamentano gli appellanti violazione dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che individua i principi dell’ordinamento comunitario tra quelli che reggono l’attività amministrativa: nel caso di specie, l’amministrazione avrebbe violato i principi comunitari di libertà di impresa e di concorrenza.
La censura non può essere condivisa.
La prescritta conformità dell’attività amministrativa ai principi dell’ordinamento comunitario deve essere valutata in relazione all’intero sistema dei principi dell’ordinamento stesso, e pertanto sia a quelli generali sia, nel caso di specie, a quelli che caratterizzano il sistema normativo che regola l’intermediazione finanziaria. In tale peculiare settore, le direttive degli organi comunitari (in particolare Direttiva 93/22/CEE del Consiglio, del 10 maggio 1993, relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari) si propongono di realizzare, nel settore delle imprese di investimento, il mercato interno, sotto il duplice profilo della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi; il perseguimento di tali obiettivi è tuttavia subordinato a un controllo operato dagli organi competenti dei singoli stati membri tale da salvaguardare gli, altrettanto fondamentali, obiettivi di tutela degli investitori e della stabilità del sistema finanziario. Mentre al perseguimento dei principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi nel settore dell’intermediazione sono funzionali le norme volte al rilascio di un’unica autorizzazione valida in tutta la Comunità, le misure di vigilanza, nonché quelle sanzionatorie o interdittive dell’attività, sono volte a garantire l’investitore nonché la stabilità del mercato finanziario. Dal punto di vista degli interessi tutelati, la mancata gestione dei fondi o dei titoli non priva i risparmiatori – investitori dall’esposizione ai rischi tipici dell’attività professionale di intermediazione. Nelle prestazioni dei servizi di intermediazione, l’onere di garantire gli investitori grava su tutti quei soggetti abilitati che indirizzano in modo professionale le scelte del risparmiatore – investitore e le norme che ne disciplinano l’esercizio rispondono sia ad esigenze di tutela del privato che si avvale dell’attività di un professionista, sia a interessi superiori costituzionalmente garantiti.
3. Gli appellanti lamentano sproporzione della misura adottata all’esito del procedimento, in relazione alle mancanze contestate, al rischio limitato cui l’attuale attività esercitata dall’impresa espone i propri clienti, e alla possibilità di tutelare adeguatamente l’interesse pubblico con l’adozione di misure meno sacrificanti – previste agli artt. 51 ss. del d. lgs. 58/1998 – per l’impresa e i suoi amministratori, e conseguentemente nell’affermata insussistenza dei requisiti di eccezionale gravità – di cui all’art. 57 del d. lgs. 58/1998 – che giustificano l’adozione del provvedimento impugnato.
La censura non può essere condivisa dal collegio.
L’attività di vigilanza di Banca d’Italia e CONSOB, ciascuna nell’esercizio delle proprie competenze, si sostanzia in un controllo continuo sull’attività delle imprese autorizzate, in cui l’oggetto della valutazione risiede sia nelle singole ed eventuali mancanze in sé considerate, sia nell’idoneità delle stesse a riflettersi negativamente sul complessivo andamento dell’attività. Così, il rischio a cui sono esposti gli investitori, le informazioni agli stessi fornite, le misure di controllo interno predisposte, l’andamento economico, le prospettive di mercato, l’esistenza e l’ammontare del patrimonio di garanzia, sono tutti elementi di un giudizio complessivo sull’andamento dell’impresa e dell’attività esercitata.
Nel caso di specie, il giudizio degli organi di vigilanza, formalizzato nella proposta poi recepita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha evidenziato una progressiva erosione del capitale sociale con perdite di clientela e potenziale esposizione a ulteriori perdite derivanti da giudizi pendenti, a fronte dei quali né il mutamento dell’oggetto sociale né le misure organizzative interne predisposte (anzi risulta un’erosione anche della compagine sociale) appaiono tali da giustificare la continuazione dell’attività senza esporre a serio pericolo gli investimenti dei clienti o minare la stabilità del mercato. Quanto affermato trova conforto nel fatto che il giudizio di irreversibilità dello stato di crisi, unitamente alle irregolarità rilevate, trova origine già nelle precedenti risultanze ispettive del 1999, in occasione delle quali per la società era stata formulato un giudizio in prevalenza sfavorevole. I successivi controlli del 2006 non si sono limitati a un giudizio statico della situazione economica e organizzativa della società, ma hanno operato una valutazione dinamica sulla capacità dell’intermediario finanziario di superare la crisi attraverso la predisposizione di una serie di misure – economiche e organizzative – volte a correggere l’andamento negativo, salvaguardando gli interessi dei clienti e assicurando l’idoneità della società a operare nel mercato.
Le risultanze istruttorie degli organi di vigilanza, poi recepite nel provvedimento impugnato, sono sorrette da un complesso di accertamenti da cui si evince la prova di una variegata serie di violazioni formali e sostanziali delle norme che disciplinano lo svolgimento dell’attività degli intermediari finanziari, e che, integrando il requisito dell’eccezionale gravità di cui all’art. 57 del d.lgs. 58/1998, giustificano il giudizio di complessiva inidoneità della società ad operare nel peculiare settore dell’intermediazione finanziaria e la conseguente adozione dei provvedimenti contestati in ricorso.
4. Connessa a tale censura è quella relativa all’inadeguata valutazione nel giudizio di irregolarità del mutamento dell’oggetto sociale con limitazione dell’attività a ricevere e trasmettere ordini.
La censura non può essere condivisa dal Collegio.
La valutazione operata dagli organismi di vigilanza sulla rilevanza – e incisività sulla crisi – del mutamento dell’oggetto sociale non appare viziata da eccesso di potere. Si deve anzi sostenere che, come si vedrà di seguito anche in relazione all’affidabilità del patrimonio di garanzia, l’elemento del mutato oggetto sociale è stato correttamente valutato nel più ampio contesto dell’andamento della società. In tale contesto, l’abbandono dell’attività di negoziazione a favore di una meno impegnativa e rischiosa attività di intermediazione nel collocamento dei titoli e fondi dei clienti ha comportato una riduzione nell’assetto organizzativo e dei controlli che già aveva evidenziato delle lacune nei precedenti controlli e che, in particolare, continuava ad apparire inadeguato rispetto a potenziali esposizioni della società derivanti da pendenze legali generate nell’esercizio delle attività precedenti la modifica statutaria. Ugualmente, sono stati interessati da ridimensionamento i sistemi interni di controllo per l’organizzazione dei quali già erano stati adottati richiami nei confronti della società. L’andamento economico, a fronte del mutamento dell’attività svolta, ha prodotto un contenimento delle perdite rispetto agli esercizi precedenti senza tuttavia far venir meno il giudizio di strutturazione delle stesse perdite, a fronte delle quali le nuove attività non evidenziavano introiti significativi.
Giova ripetere che tutti gli elementi oggetto di giudizio in sede di controllo di vigilanza nel settore dell’intermediazione non possono, in un contesto di crisi aziendale, essere valutati in modo asettico, ma devono evidenziare la capacità dell’operatore controllato di agire nel settore senza esporre a pregiudizio i clienti o minare la stabilità del mercato.
5. Secondo gli appellanti gli ispettori della Banca d’Italia sarebbero incorsi in vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria travisamento e/o mancata considerazione dei presupposti di fatto in relazione all’inadeguata valutazione del patrimonio di garanzia.
La censura non può essere condivisa.
Al riguardo giova ripetere e specificare quanto già detto in precedenza sulla complessità del giudizio di valutazione da parte della Banca d’Italia. Il patrimonio di garanzia è uno strumento di tutela previsto obbligatoriamente dall’ordinamento al fine di predisporre una garanzia minima a fronte dei rischi connaturati all’attività di intermediazione finanziaria e gestione di fondi o titoli. Differenti e ulteriori sono però le garanzie che necessitano situazioni di crisi degli operatori del settore. In presenza di condizioni di crisi dell’intermediario finanziario che minano l’idoneità dello stesso a operare nel settore, l’operatore è chiamato a predisporre tutte le misure necessarie a preservare l’integrità dei beni dei clienti nonché la stabilità del mercato: tali misure non possono essere preventivamente determinate dal legislatore ma è onere degli organismi di amministrazione interni individuare le più idonee a fronteggiare la crisi. Il giudizio degli organi di vigilanza attiene sia alla regolarità formale degli obblighi previsti dal legislatore sia alla verifica dell’affidabilità dell’intermediario e della idoneità dello stesso a operare nel settore: il giudizio complessivo di idoneità dell’operatore ha carattere dinamico e investe le misure concretamente adottate per far fronte all’andamento negativo della gestione sociale. All’interno del giudizio complessivo così caratterizzato, l’ammontare del patrimonio di garanzia diventa solo uno degli elementi oggetto di analisi e la valutazione dello stesso deve assumere a parametro non solo il riferimento normativamente predeterminato ma anche la concreta situazione in cui svolge la propria funzione di garanzia.
7. Parimenti infondata è l’ulteriore censura con cui si sostiene la lacunosità dell’istruttoria svolta in sede ispettiva dai funzionari della Banca d’Italia, i quali hanno discrezionalmente selezionato i documenti da acquisire e non hanno ritenuto necessario procedere all’audizione dei responsabili come da prassi.
Invero, quanto argomentato ai punti che precedono impone di negare rilevanza all’osservazione, in quanto non è stato dimostrato che la mancata audizione dei responsabili abbia comportato un errato apprezzamento della situazione della Società di cui ora si discute.
8. In realtà, il ragionamento della autorità coinvolte nel procedimento si fonda su un presupposto, costituito dalla precaria situazione nella quale le vicende della finanza internazionale hanno gettato la Società, della quale gli appellanti sono azionisti.
La precaria situazione appena descritta è stata affrontata, nella sostanza, riducendo l’ambito d’azione della Società ed indebolendo la sua struttura.
Di fronte a tale situazione di fatto l’operato dell’amministrazione non può essere considerato illogico e sproporzionato rispetto alla fattispecie, giustamente affrontata con l’obiettivo primario della tutela dei risparmiatori.
9. Lamentano peraltro gli appellanti l’illegittimità costituzionale del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, sotto due profili: da un lato si eccepisce la violazione dell’art. 76 cost. per aver il legislatore delegato ritenuto le disposizioni del d. lgs. 58/1998 applicabili anche alle imprese che si limitano a ricevere e trasmettere ordini; sotto altro profilo il d. lgs. in oggetto – in particolare l’art. 57 – sarebbe costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 97 cost., nella parte in cui esclude le garanzie del contraddittorio e della partecipazione di cui alla legge 241 del 1990 anche per le SIM che non gestiscono fondi o titoli dei clienti.
9.1. Ritengono i ricorrenti che l’art. 57 del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, ecceda dalla delega conferita con l’art. 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, in base alla quale è stato consentito al legislatore delegato di dettare le norme necessarie per l’attuazione delle direttive 93/6/CEE e 93/22/CEE, le quali escludono dal proprio ambito di applicazione le imprese che, come quella di cui ora si tratta, non detengono fondi o titoli appartenenti a clienti.
E’ ben dubbio che la norma delegante escluda la possibilità, per il legislatore delegato, di dettare la disciplina degli imprenditori mobiliari che non detengono valori.
La Sezione A dell’allegato alla direttiva 93/22/CEE espressamente ricomprende fra i servizi ivi disciplinati la ricezione e trasmissione, per conto di investitori, di ordini in relazione a uno o più strumenti di cui alla sezione B (valori mobiliari, quote di un organismo di investimento collettivo, strumenti del mercato monetario, contratti a termine fermo (futures) su strumenti finanziari, compresi gli strumenti equivalenti che si regolano in contanti, contratti a termine su tassi d’interesse (FRA), contratti swaps su tassi d’interesse, su valute o contratti di scambio connessi a indici azionari (“equity swaps”), opzioni per acquistare o vendere qualsiasi strumento contemplato da questa sezione dell’allegato, compresi gli strumenti equivalenti che si regolano in contanti; sono comprese in particolare in quest’ultima categoria le opzioni su valute e sui tassi d’interesse.
L’allegato alla direttiva 2004/39/CEE, che ha sostituito la precedente, alla Sezione A elenca fra i servizi e le attività di investimento le seguenti:
(1) Ricezione e trasmissione di ordini riguardanti uno o più strumenti finanziari.
(2) Esecuzione di ordini per conto dei clienti.
(3) Negoziazione per conto proprio.
(4) Gestione di portafogli.
(5) Consulenza in materia di investimenti.
(6) Assunzione a fermo di strumenti finanziari e/o collocamento di strumenti finanziari sulla base di un impegno irrevocabile.
(7) Collocamento di strumenti finanziari senza impegno irrevocabile.
(8) Gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.
E’ ben dubbio che tale esaustiva elencazione possa escludere le operazioni nelle quali l’intermediario non detiene i valori, di proprietà dell’investitore.
Deve, comunque, essere rilevato come appaia fondata l’osservazione delle parti resistenti, secondo la quale la Società di cui si tratta è abilitata non solo all’esecuzione di ordini della clientela, ma anche alla commercializzazione, e quindi alla promozione di strumenti finanziari, attività certamente ricompressa nella disciplina comunitaria, alla quale ha dato attuazione il legislatore delegato.
D’altro canto, l’esclusione di tale attività dal sistema sanzionatorio previsto dalla normativa in commento non si giustificherebbe, essendo presente, in tale ambito di intermediazione, la problematica, discussa soprattutto al punto 3 che precede, relativa alla garanzia dell’investitore rispetto alla scorretta gestione dell’attività promozionale svolta dalla SIM e ad essa imputabile.
La questione deve, quindi, essere dichiarata manifestamente infondata.
9.2. Gli appellanti censurano l’art. 57 del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, che, richiamando l’art. 80 del T.U. Bancario, esclude l’applicazione delle norme in materia di partecipazione e contraddittorio nel procedimento che si conclude con il decreto ministeriale di revoca dell’autorizzazione e liquidazione coatta amministrativa dell’impresa destinataria del provvedimento.
Secondo gli appellanti, l’estensione al settore dell’intermediazione finanziaria di una norma, derogatoria della disciplina generale, dettata nello specifico settore bancario apparirebbe priva di giustificazione e per l’effetto darebbe luogo a un’ingiustificata disparità di trattamento per le imprese che operano nel settore dell’intermediazione finanziaria.
Tale censura non è condivisa dal Collegio e deve essere respinta per manifesta infondatezza.
Nel settore dell’intermediazione finanziaria il legislatore ha operato un contemperamento degli interessi coinvolti, prevedendo peculiari cautele per l’esercizio di attività, nonché forme penetranti di vigilanza e controllo, al fine di garantire la stabilità del mercato e tutelare il risparmio in tutte le sue forme. Le varie forme e i diversi servizi in cui può svolgersi l’attività di intermediazione finanziaria presentano potenzialità lesive dell’interesse al risparmio costituzionalmente tutelato (art. 47), a tal fine non potendosi distinguere tra servizi che comportano la detenzione e l’utilizzo di fondi o titoli mobiliari dei clienti ovvero si limitano a curare i movimenti o il collocamento degli stessi fondi o titoli. Tale contemperamento di interessi postula che, in una situazione di accertate irregolarità di eccezionale gravità, le generali disposizioni in materia di contraddittorio e partecipazione siano sacrificate al fine di evitare, prima dell’insediamento del liquidatore, il pregiudizio dell’interesse degli investitori e quello del mercato derivante dall’alterazione della situazione, in particolare sotto il profilo della confusione tra capitale dei clienti e capitale societario.
10. L’appello deve, in conclusione, essere respinto.
La complessità della vicenda giustifica l’integrale compensazione di spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite.
P. Q. M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello.
Compensa integralmente spese ed onorari del giudizio tra le parti costituite.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il giorno 8 aprile 2008 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sez. VI – nella Camera di