La Corte di Cassazione, con la sentenza del 14 marzo 2008 n. 11625, puntualizza che, atteso che la “pendenza” deriva solo dalla promozione dell’azione penale, non risponde di falsità ideologica in atto pubblico il privato che, nell’ambito delle modalità di partecipazione ad un concorso pubblico, richiesto di attestare, con dichiarazione sostitutiva di certificazione, di non avere procedimenti penali, proceda nel senso richiesto pur essendo il suo nominativo iscritto nel registro delle notizie di reato previsto dall’art. 335, Cod. Proc. Pen..
Nel caso concreto il sig. X veniva condannato perché ritenuto responsabile del delitto ex art 483 cp in relazione agli artt. 46 e 76 commi III e IV DPR 445/00 perché, nell’ambito di dichiarazione sostitutiva di certificazione, inserita nella domanda di partecipazione al concorso pubblico, dichiarava falsamente di non avere procedimenti penali in corso. Invero, quando il X ebbe a compilare il modulo in questione, egli risultava semplicemente iscritto (per il. delitto ex, art. 612 c.p). nel registro ex art 335 c. p.. Dunque, non può parlarsi di carichi pendenti in quanto la detta “pendenza” deriva solo dalla promozione dell’azione penale.Correttamente la Suprema Corte afferma che il fatto non sussiste.
Emiliana Matrone
Cassazione Penale – Sentenza 14 marzo 2008 , n. 11625
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da X
avverso SENTENZA del 14/07/2006
CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Fumo Maurizio
udito il PG in persona del Sost. Proc. Gen. dott. G. Febbraro che ha chiesto rigettarsi il ricorso, udito il difensore Avv. C. M. M., che, illustrando i motivi di ricorso, ne ha chiesto l’accoglimento
osserva quanto segue X è stato condannato alla pena di giustizia dal Tribunale di Bergamo sez. dist. Clusone, perché ritenuto responsabile del delitto ex art 483 cp in relazione agli artt. 46 e 76 commi III e IV DPR 445/00 perché, nell’ambito di dichiarazione sostitutiva di certificazione, inserita nella domanda di partecipazione al concorso per istruttore amministrativo, bandito dal comune di Cozzano Sant’Andrea, dichiarava falsamente di non avere procedimenti penali in corso. La Corte dì appello di Brescia, con sentenza 14.07.2006 ha confermato la pronunzia di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore e deduce violazione di legge in relazione all’art 483 cp-76, 46 d.p.r. 445/00 e carenza di motivazione con particolare riferimento al mancato esame di un motivo di gravame. Quando il X ebbe a compilare il modulo in questione, egli risultava semplicemente iscritto (per il. delitto ex, art. 612 c.p). nel registro ex art 335 c. p. Non può dunque parlarsi di carichi pendenti in quanto la detta “pendenza” deriva solo dalla promozione dell’azione penale. La stessa modulistica adoperata aveva poi un contenuto equivoco. Al bando di concorso era allegato un modulo nel quale erano previste le caratteristiche dei candidati ed erano previsti i punti sui quali l’interessato avrebbe dovuto rilasciare dichiarazioni. Orbene il modulo prevedeva che il candidato dichiarasse di non avere procedimenti penali che comportavano l’impossibilità di costituire un rapporto con la Pubblica Amministrazione. Il X effettuò detta dichiarazione su di un modulo già in suo possesso ma relativo ad altro concorso (come si evince dall’adattamento dello scritto). Ebbene il giudici del merito non si sono posti il problema se la differenza di modulistica fosse rilevante sotto l’aspetto della sussistenza del reato. Inoltre, andava accertato se il delitto ex art 483 c.p. fosse stato integrato dalla condotta tenuta dall’imputato, il quale si è limitato ad affermare di non essere sottoposto a un certo tipo di procedimento. Infine, la Corte di merito non si è posta il problema se il X fosse stato tratto in inganno dallo discrepanza tra quanto previsto dal bando di concorso e quanto previsto dal prestampato che stava adoperando. In relazione a tale ultimo motivo, è evidente la carenza motivazionale che affligge la pronunzia impugnata con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, atteso che ciò che rilevava era la pendenza di procedimenti ostativi alla costituzione del rapporto con la Pubblica Amministrazione. Orbene, la pendenza di un procedimento per minacce, perseguibile a querela e dunque remissibile, non costituisce causa in sé ostativa, ma viene percepito come fatto bagattellare anche in considerazione della esistenza di un invito alla conciliazione, con effetto estintivo del reato, che sembra dare alla vicenda un taglio squisitamente privatistico.
Il ricorso è fondato.
La iscrizione di un soggetto nel registro di cui all’art. 335 c.p.p deve avvenire “immediatamente”, vale a dire che il PM, ricevuta la notitia criminis, deve provvedere, nel più breve tempo possibile, dopo aver fatto identificare la persona che viene indicata quale responsabile, alla iscrizione. Ciò determina la acquisizione della qualità di persona sottoposta a indagini in capo al soggetto iscritto, indagini che hanno la finalità di consentire la verifica della sussistenza di elementi sufficienti per la promozione della azione penale (art. 326 c.p.p).
Tanto premesso va rilevato che lo stesso concetto di procedimento penale “in corso” (in tal senso è il capo di imputazione nel quale si addebita al X di aver taciuto di avere appunto un procedimento “in corso”) è tutt’altro che definito e “tecnico”, atteso, che come giustamente osserva il ricorrente, non si comprende se la P.A. richieda una attestazione circa la pendenza dell’azione penale ovvero se chieda di essere informata circa le semplici iscrizioni nel predetto registro, atto dovuto -come è noto – per il P.M. che riceva una denunzia o una querela, non palesemente e ictu oculi infondate a carico di un qualsiasi soggetto. A ciò deve aggiungersi che la iscrizione nel predetto registro non viene portata a conoscenza dell’iscritto a meno che lo stesso ne faccia richiesta (art. 335, comma 3, cpp). In realtà il dettato normativo in applicazione del quale è stata elevata l’imputazione (DPR 445/00) appare, al proposito, oltremodo equivoco e parametrato sul previgente sistema processuale (benché la legge sia certamente posteriore alla entrata in vigore del nuovo codice). La sentenza impugnata, per parte sua, neanche chiarisce in base a quali elementi fattuali abbia ritenuto che il X fosse consapevole della sua iscrizione nel registro ex art 335 c.p.p. Orbene, se il secondo motivo di rilievo imporrebbe l’annullamento con rinvio, il primo determina annullamento senza rinvio (perché il fatto non sussiste), non potendo certo essere risolta la questione da un eventuale secondo giudizio di appello.
P. Q. M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2008