Le Sezioni Unite della Cassazione, con la Sentenza 16 luglio 2008 n. 19496, affermano che l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (I.N.P.G.I.) rientra tra gli enti pubblici di cui all’art. 3 co. 4, lett. b) dell’ordinamento professionale forense, i cui dipendenti possono esercitare lo ius postulandi previa iscrizione nell’elenco speciale annesso all’albo professionale.
L’art. 3 dell’Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore (R.D.L. 27.11.1933, n. 1578, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 22 gennaio 1934, n. 36), dopo avere previsto (al comma 2) l’incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e l’impiego in amministrazioni o istituzioni pubbliche soggette a tutela o vigilanza dello Stato, delle province e dei comuni, fa eccezione (comma 4), e consente quindi l’iscrizione in un elenco speciale annesso all’albo professionale, per gli avvocati degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti di cui al comma 2, per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera.
Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che se la ratio della deroga al regime d’incompatibilità deve essere individuata nell’esigenza di tutelare l’indipendenza della professione e l’autonomia di giudizio e d’iniziativa, tale libertà sussiste se l’attività dell’avvocato possa essere svolta in un autonomo ufficio legale dell’ente e la destinazione dell’avvocato a detto ufficio sia stabile e non revocabile ad nutum (Cass. n. 3733/2002, 14213/2005), presupposti la cui ricorrenza non richiede necessariamente che il rapporto di lavoro tra l’avvocato e l’ente debba avere natura pubblica, potendo sussistere anche nel rapporto di lavoro privato con un soggetto che, comunque, persegue finalità pubblicistiche.
Emiliana Matrone
Cassazione Civile – Sez. Unite – Sentenza 16 luglio 2008 , n. 19496
PRESTIPINO Giovanni – Presidente
SALME’ Giuseppe – Estensore
NARDI Vincenzo – P.M.
G. C. c. PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con provvedimento dell’8 aprile 1999 il consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma ha cancellato l’avv. G. C., addetta all’ufficio legale dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani …omissis… (INPGI), dall’elenco speciale di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, comma 4, lett. b). Con decisione del 17 maggio 2000 il consiglio nazionale forense ha confermato la cancellazione e con sentenza di questa corte n. 15147 del 2001 è stato rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza indicata.
A seguito della pronuncia di queste sezioni unite n. 9096 del 2005, che ha confermato la decisione del consiglio nazionale forense favorevole all’iscrizione nell’elenco speciale di un avvocato di ufficio legale di un’azienda municipale avente forma di società per azioni, le cui quote societarie erano integralmente detenute dall’ente territoriale, l’avv. G. ha chiesto la reiscrizione nell’elenco speciale, ma il consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma, con Delib. 22 dicembre 2005, l’ha negata e il consiglio nazionale forense, con sentenza del 16 luglio 2007, ha confermato tale deliberazione.
Per quanto ancora rileva in questa sede il consiglio nazionale forense ha osservato che: a) anche se non era corretta la qualificazione dell’INPGI come società per azioni e l’equiparazione alla Cassa forense, contenute nella deliberazione del consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma, doveva essere ribadita l’inapplicabilità dell’eccezione, come tale insuscettibile di interpretazione estensiva o di applicazione analogica, al divieto di iscrizione nell’albo degli avvocati perchè la ratio di tale eccezione consiste in ciò che (non tanto la natura pubblica delle finalità perseguite dall’ente e quindi dell’ente stesso, quanto) la natura pubblica del rapporto d’impiego è tale da far presumere che l’avvocato-dipendente sia al riparo dal rischio di condizionamenti nell’esercizio della sua professione; b) tale conclusione è valida anche a fronte della cosiddetta privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, in quanto permangono alcune fondamentali differenze con il rapporto di lavoro subordinato privato (necessità del pubblico concorso per il reclutamento; stabilità rafforzata insieme con la deroga alla disciplina civilistica delle mansioni; il segreto d’ufficio; regime delle incompatibilità); c) la fattispecie decisa con la sentenza n. 9096 del 2005 è diversa perchè nel caso deciso si trattava di una società per azioni a totale partecipazione pubblica, mentre nella specie si tratta di fondazione, rispetto alla quale non è rilevante la natura del soggetto che ha effettuato l’apporto patrimoniale, e, comunque, non è decisiva la natura dell’ente, certamente diversa rispetto alle casse di previdenza dei liberi professionisti per il rilievo pubblico della funzione svolta, perchè l’azione di tale ente è disciplinata dal diritto privato, come privato è il rapporto di lavoro con i suoi dipendenti; d) non vi sarebbe prova nè dell’esercizio in via esclusiva delle funzioni proprie dell’ufficio legale, in situazione di indipendenza ed estraneità rispetto alla gestione e all’amministrazione dell’ente, nè della stabilità del rapporto d’impiego; e) il D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 5, comma 2, aggiunto con il D.L. n. 510 del 1996, art. 9, convertito in L. n. 608 del 1996, dispone che il dipendente dell’ufficio legale di ente trasformato in persona giuridica privata conserva l’iscrizione nell’elenco speciale, finchè dura il rapporto di lavoro e la collocazione nell’ufficio legale, ma il comma 3, dello stesso art., dispone che alle controversie relative al periodo anteriore alla data di trasformazione continuano ad essere attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo, il che dimostrerebbe che, se non ci fosse la norma transitoria la trasformazione implicherebbe la perdita del diritto all’iscrizione nell’elenco speciale.
L’avv. G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi illustrati con memoria.
Il consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza del consiglio nazionale forense per difetto assoluto di motivazione, ultrapetizione, travisamento dei fatti e difetto di istruttoria in quanto, dopo avere affermato che la motivazione della deliberazione del consiglio dell’ordine di Roma era erronea per avere ritenuto, contrariamente al vero, che l’INPGI è una società per azioni e, erroneamente, che ha natura analoga alla Cassa nazionale forense, invece di annullare per questi motivi tale deliberazione ne ha integrato la motivazione e modificato il dispositivo, dichiarando la mancanza di prova degli altri requisiti necessari per l’iscrizione nell’elenco speciale che il consiglio dell’ordine locale aveva implicitamente ritenuto esistenti nel momento in cui aveva fondato il proprio provvedimento esclusivamente sulle affermazioni relative alla natura dell’ente.
Il motivo non è fondato.
E’ costante affermazione di queste sezioni unite, a partire dalla sentenza 892/73 (alla quale hanno fatto seguito, in senso conforme le sentenze nn. 4130/80, 6331/90, 9291/94 e 8429/04) che, in materia di ricorsi relativi all’iscrizione o cancellazione dagli albi professionali il consiglio nazionale forense non deve limitare le proprie valutazioni ai profili di legittimità, essendo anche giudice del merito. Pertanto deve condurre un’autonoma indagine sui fatti, anche in base ad elementi diversi da quelli posti dal consiglio dell’ordine a fondamento della deliberazione impugnata, potendo altresì utilizzare eventuali fonti di prova formatesi successivamente alla predetta deliberazione.
2. Con il secondo motivo si deduce che la sentenza impugnata ha violato il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, comma 4, lett. b), e del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, art. 1, per avere ignorato che l’INPGI, al di là della natura giuridica formale di fondazione di diritto privato, ha natura di “istituzione pubblica” per effetto della relazione funzionale con lo Stato e, comunque, per avere trascurato le profonde differenze che esistono rispetto alle altre casse di previdenza dei liberi professionisti. Infatti, da un lato, le entrate dell’INPGI non derivano dall’adempimento di un’obbligazione di tipo privatistico, liberamente negoziata, ma da contribuzioni (dei datori di lavoro) obbligatorie per legge e, dall’altro, le funzioni assistenziali e previdenziali svolte sono le medesime per le quali l’istituto è stato istituito e sono rilevanti dal punto di vista pubblicistico, come è dimostrato dall’attribuzione di poteri pubblicistici e dal carattere sostitutivo delle forme di previdenza e assistenza assicurate rispetto a quelle gestite dall’assicurazione generale obbligatoria dell’INPS e dell’INAIL. La disciplina legislativa rende l’INPGI un unicum nel panorama degli enti previdenziali privatizzati e, in particolare, delle casse di previdenza dei liberi professionisti, non solo perchè la previdenza e l’assistenza erogata dall’istituto sostituisce le corrispondenti forme di assistenza e previdenza obbligatorie, ma anche in quanto tali forme comprendono prestazioni (come la cassa integrazione, i prepensionamenti, il t.f.r., l’erogazione delle tre ultime mensilità) che normalmente sono a carico dello Stato e, comunque, non sono erogate dalla casse di previdenza dei liberi professionisti. Inoltre l’INPGI assicura soggetti di un rapporto di lavoro subordinato (mentre l’assicurazione dei giornalisti liberi professionisti è oggetto di una gestione sperata) ed eroga prestazioni in base al principio di automaticità e quindi indipendentemente dal versamento dei contributi; è dotato di specifici e penetranti poteri pubblicistici (può irrogare sanzioni amministrative con ordinanza di ingiunzione e ha poteri ispettivi per l’accertamento dei crediti contributivi); è soggetto al controllo generale di gestione della corte dei conti e alla giurisdizione contabile per responsabilità amministrativa per danno erariale; è assoggettato alle norme sulla totalizzazione dei periodi assicurativi proprie degli enti pubblici e di quelle dei soggetti privati. Erroneamente, infine, il consiglio nazionale forense ha ritenuto rilevante esclusivamente la natura formale del rapporto di lavoro con l’INPGI, mentre il R.D.L. n. 1578 del 1993, art. 3, nell’interpretazione data dalla sentenza di questa corte n. 9096 del 2005, considera più che questo aspetto la natura pubblica sostanziale dell’ente, individuando, peraltro, alcuni aspetti differenziali del rapporto di lavoro pubblico rispetto a quello privato o irrilevanti, come il segreto d’ufficio, o insussistenti, come quelli relativi alla stabilità che caratterizzerebbe solo il primo, mentre è proprio anche del secondo.
Il motivo è fondato.
Il R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, dopo avere previsto (al comma 2) l’incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e l’impiego in amministrazioni o istituzioni pubbliche soggette a tutela o vigilanza dello Stato, delle province e dei comuni, fa eccezione (comma 4), e consente quindi l’iscrizione in un elenco speciale annesso all’albo professionale, per gli avvocati degli uffici legali istituiti sotto qualsiasi denominazione ed in qualsiasi modo presso gli enti di cui al comma 2, per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’ente presso il quale prestano la loro opera.
Con la sentenza n. 15417 del 2001, pronunciata su ricorso della ricorrente (e altri) avverso la cancellazione dall’elenco speciale effettuata dal consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma dell’8 aprile 1999, questa corte ha confermato la sentenza del consiglio nazionale forense, di rigetto dell’impugnazione proposta avverso la predetta cancellazione, sul rilievo che il carattere pubblico dell’attività svolta dall’INPGI non fa venir meno la natura privata dell’ente espressamente affermata dalla legge e non fa venir meno la natura privata dei rapporti di lavoro sorti, come quello di specie, successivamente alla privatizazione operata con il D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 1.
Tuttavia, l’affermazione secondo la quale sarebbe decisiva, al fine di accertare la sussistenza dei presupposti dell’eccezione alla regola dell’incompatibilità tra esercizio della professione forense e rapporto di impiego con amministrazioni o istituzioni pubbliche, la forma giuridica assegnata alla struttura dell’ente piuttosto che la natura della funzione svolta, risulta contraddetta dalla successiva evoluzione della giurisprudenza di questa corte che ha ritenuto rilevante la relazione tra le funzioni svolte dall’ente e l’attività pubblica, indipendentemente dalla natura privatistica del soggetto e dalla strumentazione giuridica utilizzata (Cass. n. 715/2002; 3899/2004 n. 715). In tale evoluzione si colloca la sentenza 9096 del 2005, che, ai fini dell’iscrizione nell’elenco speciale degli avvocati che operano alle dipendenze di amministrazioni e istituzioni pubbliche, ha ritenuto che debba considerarsi “istituzione pubblica” la società per azioni costituita da un comune per gestire un servizio pubblico, interamente partecipata dal comune stesso e finanziata con entrate di natura pubblicistica, non ostandovi nè la forma societaria assunta dalla struttura nè (implicitamente, ma necessariamente) la natura privatistica del rapporto di lavoro con il professionista legale.
La corte ritiene che debba essere condiviso l’orientamento più recente in quanto, se la ratio della deroga al regime d’incompatibilità deve essere individuata nell’esigenza di tutelare l’indipendenza della professione e l’autonomia di giudizio e d’iniziativa, tale libertà sussiste se l’attività dell’avvocato possa essere svolta in un autonomo ufficio legale dell’ente e la destinazione dell’avvocato a detto ufficio sia stabile e non revocabile ad nutum (Cass. n. 3733/2002, 14213/2005), presupposti la cui ricorrenza non richiede necessariamente che il rapporto di lavoro tra l’avvocato e l’ente debba avere natura pubblica, potendo sussistere anche nel rapporto di lavoro privato con un soggetto che, comunque, persegue finalità pubblicistiche. A tal fine deve rilevarsi che sul piano della stabilità del rapporto quello con il privato non presenta differenze decisive rispetto a quello con il soggetto pubblico, se si tengono presenti sia la tutela reale che assiste il primo e sia la disciplina del demansionamento e del licenziamento per giusta causa del lavoro privato. Inoltre, già da tempo (Cass. n. 2094 del 1989) è stato affermato che tra i requisiti richiesti per la iscrizione nell’elenco speciale degli avvocati non rientra il superamento di uno specifico pubblico concorso, che, invece, secondo la stessa sentenza impugnata, costituisce un elemento differenziale fondamentale tra lavoro subordinato alle dipendenze di amministrazioni pubbliche e lavoro subordinato privato.
Ora, dalla disciplina normativa dell’attività dell’INPGI emergono una pluralità di elementi dai quali risulta che l’istituto svolge funzioni diverse dai soggetti previdenziali privati e analoghe, se non identiche, alle funzioni degli enti pubblici di previdenza e assistenza.
Infatti: a) la provvista finanziaria non proviene da contribuzioni dei professionisti, ma dall’obbligatorio contributo dei datori di lavoro (la gestione dei contributi dei liberi professionisti è autonoma e separata da quella ordinaria); b) la previdenza e l’assistenza erogate dall’istituto sostituiscono, a differenza di quelle delle casse di previdenza dei liberi professionisti, le forme di previdenza e assistenza obbligatorie e consistono in prestazioni analoghe a quelle a carico dello Stato (cassa integrazione, prepensionamenti, t.f.r. ecc.); c) a differenza di quanto avviene per le casse di previdenza dei liberi professionisti, opera il principio dell’automatismo delle prestazioni previdenziali; d) l’istituto è dotato di poteri autoritativi, sia per l’accertamento per mezzo del proprio corpo di ispettori dei crediti contributivi, sia per l’irrogazione delle sanzioni; e) la corte dei conti non solo esercita il controllo di gestione, ma ha giurisdizione sulla responsabilità amministrativa per danno erariale dei dipendenti; f) la disciplina della totalizzazione dei periodi assicurativi è quella che vale per gli enti pubblici e non quella dei soggetti privati.
In conclusione, la disciplina dell’attività svolta dall’INPGI giustifica ampiamente il riconoscimento della natura pubblica delle funzioni assistenziali e previdenziali svolte.
3. Con il terzo motivo la ricorrente censura, siccome affetta da eccesso di potere, la sentenza impugnata non essendo comprensibili le ragioni in base alle quali ha ritenuto d’ufficio non provate la stabilità dell’ufficio legale e lo svolgimento, in via esclusiva e in posizione di indipendenza e autonomia, di funzioni di consulenza e, fino all’agosto 2000, di difesa legale dell’ente da parte della ricorrente, a fronte di specifiche attestazioni rilasciate dal direttore generale dell’ente in data 4 luglio e 11 ottobre 2005, peraltro non contestate e in mancanza di un supplemento d’istruttoria.
Il motivo, ove fosse ritenuto come diretto a censurare il travisamento dei fatti, per avere erroneamente ritenuto controverso un fatto che invece era da considerare pacifico o non contestato, sarebbe inammissibile, trattandosi di errore suscettibile, ricorrendo le condizioni previste dall’art. 395 c.p.c., n. 4, di essere dedotto come motivo di revocazione, mentre, per quanto rilevato sub 1), sarebbe infondato se letto come censura dell’esercizio di poteri valutativi officiosi, dei quali, in realtà, il consiglio nazionale forense è fornito.
Tuttavia, una corretta interpretazione della censura, al di là del testo della rubrica del motivo, porta a ritenere che la ricorrente intenda criticare la mancanza o l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata in relazione al contenuto dei documenti puntualmente trascritto nel ricorso. Tale censura, alla luce dell’art. 360 c.p.c., u.c., come modificato con il D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, applicabile nella specie ratione temporis, è ammissibile e appare anche fondata.
Infatti, a fronte dell’esplicita attestazione da parte del direttore generale secondo la quale l’avv. G. era “appartenente all’Ufficio legale dell’ INPGI…con compiti di consulenza e difesa relativamente agli affari dell’ente” (nota 4 luglio 2005) e che “Gli avvocati addetti non sono soggetti ad alcun rapporto di subordinazione, nè di gerarchia funzionale rispetto ai dirigenti dell’apparato amministrativo dell’ente. Agli avvocati…è riconosciuta, ancora oggi, piena autonomia rispetto all’apparato amministrativo della fondazione” (nota dell’11 ottobre 2005) nonchè delle ripetute dichiarazioni secondo le quali l’Ufficio legale era stato istituito fin dalla nascita dell’istituto, aveva sempre svolto le sue funzioni e tutt’ora le svolgeva, la sentenza si limita ad affermare apoditticamente che manca la prova che la ricorrente fosse addetta in via esclusiva all’ufficio legale e che nessuna prova esiste della stabilità di detto ufficio, mentre avrebbero dovuto essere indicate le ragioni per le quali le precise attestazioni del direttore generale non sono state ritenute rilevanti e attendibili.
4. L’accoglimento del secondo e del terzo motivo comportano l’assorbimento del quarto con il quale, in via meramente subordinata, ove fosse ritenuta fondata l’interpretazione seguita dal consiglio nazionale forense, la ricorrente prospetta la questione di illegittimità costituzionale del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3, comma 4, lett. b), in relazione all’art. 3 Cost., e art. 33 Cost., comma 5, per l’ingiustificata compressione della libertà costituzionale di esercizio dell’attività professionale e per la disparità di trattamento con gli addetti agli uffici legali degli enti indicati dall’art. 3, comma 2, del R.D.L. citato.
Per la peculiarità della controversia, caratterizzata dall’evoluzione della giurisprudenza della corte e dalle oscillazioni della stessa giurisprudenza del consiglio nazionale forense le spese di questo giudizio possono essere compensate.
P. Q. M.
La corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia al consiglio nazionale forense. Compensa le spese.