Secondo l’articolo 1 della legge 11 febbraio 1980 n. 18 e legge 21 novembre 1988 n. 508, la indennità di
accompagnamento spetta ai cittadini nei cui confronti sia stata accertata una inabilità totale e che, in
aggiunta, si trovino nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o,
non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, bisognano di un’assistenza continua.
La giurisprudenza ammette che la indennità di accompagnamento possa spettare anche in caso di
ricovero in ospedale pubblico, nonostante la previsione contraria dell’articolo 1, comma 3, legge 11
febbraio 1980, n. 18, ma sempre che la parte interessata dimostri che le prestazioni assicurate
dall’ospedale medesimo non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la
vita quotidiana.
Sulla scorta di tanto la Corte di Cassazione, con la sentenza del 22 ottobre 2008 n. 25569, respinge la domanda di indennità di accompagnamento proposta da una donna affetta da carcinoma e sottoposta a trattamento chemioterapico anche se il c.t.u. aveva dichiarato tale trattamento pesantemente invalidante.
Sul punto la Suprema Corte soggiunge che il problema del trattamento chemioterapico non può
essere risolto in astratto, con l’affermazione che esso comporti sempre e di per sé, oppure non comporti,
il diritto alla indennità di accompagnamento, ma costituisce una situazione di fatto, sicché si deve
esaminare caso per caso se esso comporti, per gli alti dosaggi e per i loro effetti sul singolo paziente,
anche per il tempo limitato della terapia, le condizioni previste dall’articolo 1 legge 11 febbraio 1980, n. 18.
Emiliana Matrone
Corte di Cassazione, sez. lav., 22 ottobre 2008, n. 25569
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Pietro CUOCO – Presidente
Dott. Aldo DE MATTEIS – Rel. Consigliere
Dott. Filippo CURCURUTO – Consigliere –
Dott. Antonio IANNIELLO – Consigliere –
Dott. Vittorio NOBILE – Consigliere ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Mo.Fr., elettivamente domiciliata in Ro. Via De.Ci. (…), presso lo studio dell’avvocato Ba.Vi.Ma.Pi., che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE;
-intimato avverso
la sentenza n. 2548/04 della Corte d’Appello di Bari, depositata il 30/12/04 R.G.N. 1693/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/08 dal Consigliere Dott. Aldo DE
MATTEIS;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Maurizio VELARDI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Il giudice del lavoro di Bari ha respinto la domanda di indennità di accompagnamento proposta dalla
signora Mo.Fr. nei confronti del Ministero dell’interno, per difetto di legittimazione passiva, e nei confronti
dell’Inps per infondatezza nel merito. Ha rilevato che il c.t.u. aveva fatto un riferimento generico alle gravi
condizioni cliniche della Mo., ma non aveva accertato alcun elemento idoneo ad evidenziare una totale e
continua impossibilità di deambulare o di attendere autonomamente agli atti quotidiani della vita, anche
durante il periodo di trattamento chemioterapico.
La Mo. ha proposto appello sostenendo che la indennità richiesta doveva esserle riconosciuta quanto
meno per il periodo marzo-giugno 2000 in cui ella, affetta da carcinoma del rinofaringe con metastasi
latero cervicali, è stata sottoposta a trattamento chemioterapico.
La Corte d’Appello di Bari, con sentenza 16/30 dicembre 2004 n. 1693, ha rigettato l’appello, ritenendo
corretta la valutazione del primo giudice. Ha rilevato che il c.t.u. ha rilevato un notevole miglioramento
dopo il trattamento chemioterapico, sì che residuava uno stato invalidante del 70%, a fronte di
un’originaria valutazione in sede amministrativa del 100%; ha ritenuto che la conclusione del c.t.u.
(secondo cui nel periodo di trattamento chemioterapico succeduto al primo ricovero ospedaliero poteva
essere riconosciuta la indennità di accompagnamento) fosse immotivata.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Mo., con due motivi.
L’Inps è rimasto intimato.
Motivi della decisione
La ricorrente deduce, con due motivi, violazione e falsa applicazione dell’articolo 1 legge 21 novembre
1988 n. 508, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punto decisivo della
controversia.
In punto di diritto, invoca il precedente di questa Corte 19 novembre 1999 n. 1705 che, nella
interpretazione della ricorrente, riconoscerebbe il diritto all’indennità di accompagnamento a coloro che
subiscono trattamento di chemioterapia, anche in regime di day-hospital, almeno per tutta la durata della
cura.
In punto di fatto contesta le valutazioni della sentenza impugnata.
Il primo motivo non è fondato.
La sentenza invocata è così massimata: “l’art. 1 della legge n. 289 del 1990, nel prevedere il diritto
all’indennità mensile di frequenza nel caso di frequentazione continuativa o periodica di centri ospedalieri,
presuppone l’esistenza di uno stato di malattia di durata circoscritta nel tempo, che non è incompatibile
con l’ulteriore requisito, coessenziale ma non esclusivo, della “persistenza” delle difficoltà a compiere i
compiti e le funzioni proprie dell’età. (Nella specie è stata cassata la sentenza di merito la quale aveva
escluso integrare il requisito delle “persistenti” difficoltà previste dalla norma la situazione del minore che
aveva seguito terapia chemioterapica con ricovero giornaliero per un periodo di tempo limitato) “. Come si
vede, la sentenza, oltre a riguardare una fattispecie diversa dalla indennità di accompagnamento, non
contrasta con il consolidato insegnamento di questa Corte, conforme al tenore testuale dell’articolo 1
legge 11 febbraio 1980, n. 18 e legge 21 novembre 1988 n. 508, secondo cui la indennità di
accompagnamento spetta ai cittadini nei cui confronti sia stata accertata una inabilità totale e che, in
aggiunta, si trovino nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o,
non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, bisognano di un’assistenza continua (ex
plurimis Cass. 20 giugno 2006 n. 14127).
Questa Corte ha ammesso che la indennità di accompagnamento possa spettare anche in caso di
ricovero in ospedale pubblico, nonostante la previsione contraria dell’articolo 1, comma 3, legge 11
febbraio 1980, n. 18, ma sempre che la parte interessata dimostri che le prestazioni assicurate
dall’ospedale medesimo non esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la
vita quotidiana (Cass. 2 febbraio 2007 n. 2770).
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il problema del trattamento chemioterapico non può
essere risolto in astratto, con l’affermazione che esso comporti sempre e di per sé, oppure non comporti,
il diritto alla indennità di accompagnamento, ma costituisce una situazione di fatto, sicché si deve
esaminare caso per caso se esso comporti, per gli alti dosaggi e per i loro effetti sul singolo paziente,
anche per il tempo limitato della terapia, le condizioni previste dall’articolo 1 legge 11 febbraio 1980, n. 18.
Nel caso di specie, e con ciò si passa al secondo motivo, relativo al vizio di motivazione, il giudice di
merito, con accertamento di fatto a lui demandato, ha accertato l’insussistenza di tali requisiti.
Nel far ciò, ha disatteso il giudizio peritale, espresso in termini possibilistici. Aveva pertanto l’obbligo di
motivare il proprio dissenso, che ha espresso nei seguenti termini: “il c.t.u. non ha accertato alcun preciso
e concreto elemento idoneo ad evidenziare una totale e continua impossibilità di deambulare o di
attendere autonomamente agli atti quotidiani della vita anche durante il periodo di trattamento
chemioterapico, al di fuori di un sin troppo generico riferimento alle gravi condizioni cliniche della Mo.”.
La ricorrente contesta tale valutazione, facendo presente che durante i cicli di terapia (tre cicli di cinque
giorni ciascuno in regime di ospedalizzazione, e successivamente quattro cicli di cinque giorni ciascuno di
trattamento radioterapico in regime di day hospital) la Mo., oltre a necessitare del continuo
accompagnamento dei figli, a turno, attesa la difficoltà nella deambulazione, era completamente incapace
di attendere ai propri quotidiani bisogni (lavarsi, vestirsi, mangiare, curare la propria persona) né era in
grado di camminare se non sorretta da altri, e ciò proprio a causa dell’aggressività della terapia che
causava alla stessa forti dolori ed un’assoluta e perdurante debolezza. Inoltre, per tutta la durata della
terapia, la signora Mo., che pure era sempre assistita dal marito e dai figli, fu costretta a trasferirsi a casa
della figlia maggiore, Le.An., la quale provvedeva completamente alla madre, prestandole assistenza e
soccorso in tutte le attività quotidiane.
Tali circostanze erano state già dedotte nell’atto di appello.
La consulenza tecnica, che può essere esaminata direttamente da questa Corte perché ad essa rinvia la
sentenza impugnata e ne integra la motivazione, dopo aver descritto la anamnesi della Mo., ha elencato
diffusamente i presupposti in generale della indennità di accompagnamento ed ha elencato
analiticamente i comportamenti che integrano gli atti quotidiani della vita e l’assistenza continua. Ha
quindi aggiunto che la chemioterapia ad alte dosi cui è stata sottoposta la Mo. è pesantemente invalidante
e che pertanto le può essere attribuita la indennità di accompagnamento dal marzo al giugno 2000, e cioè
fino a 40 giorni dopo la fine del trattamento chemioterapico.
Come si vede, il c.t.u. ha affermato un effetto pesantemente invalidante, ma non nei termini dell’articolo 1
legge 11 febbraio 1980, n. 18, e la sua valutazione circa il diritto all’indennità di accompagnamento è
espressa in termini meramente possibilistici.
La diversa valutazione della sentenza impugnata non è pertanto illogica.
II ricorso va pertanto respinto.
Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 d.a.c.p.c., nel testo anteriore a
quello di cui all’art. 42, comma 11, del d. l n. 269 del 30 settembre 2003, convertito in Legge 24 novembre
2003, n. 326, nella specie inapplicabile “ratione temporis”; infatti le limitazioni di reddito per la gratuità del
giudizio introdotte da tale ultima norma non sono applicabili ai processi il cui ricorso introduttivo del
giudizio sia stato depositato, come nella specie, anteriormente al 2 ottobre 2003 (data di entrata in vigore
del predetto decreto legge) (Cass. 1 marzo 2004 n. 4165; Cass. 30.3.2004 n. 6324; Cass. 12 dicembre
2005 n. 27323, nello stesso senso, in motivazione, S.U. 24 febbraio 2005 n. 3814).
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Nulla per le spese processuali del presente giudizio.