Il disegno di legge recante le norme per contrastare il fenomeno del mobbing ha la finalità di tutelare tutti i lavoratori che, in qualsiasi luogo di lavoro e a qualsiasi livello, subiscono comportamenti ostili che assumono le caratteristiche della violenza fisica, comprese le molestie anche sessuali, e della persecuzione psicologica, nell’ambito dei rapporti di lavoro.
Le attività di mobbing si sostanziano in atti di ostilità, attacchi alla reputazione, creazione di falsi pettegolezzi, insinuazioni malevole, segnalazioni diffamatorie, attribuzioni di errori altrui, carenza di informative e informazioni volutamente errate, al fine di creare problemi, controlli e sorveglianza continui, minacce di trasferimenti, apertura di corrispondenza, difficoltà di permessi o ferie, assenza di promozioni o passaggi di grado, ingiustificata rimozione da incarichi già ricoperti, svalutazione dei risultati ottenuti.
Ogni lavoratore che abbia subìto violenza o persecuzione psicologica nel luogo di lavoro e non ritenga di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, ma intenda adire in giudizio, può promuovere il tentativo di conciliazione contemplato dall’articolo 410 del codice di procedura civile, ove del caso, anche con l’ausilio delle rappresentanze aziendali, là dove esistenti. Il procedimento è regolato dall’articolo 413 del codice di procedura civile.
Il giudice condanna il responsabile del comportamento sanzionato al risarcimento del danno, la cui liquidazione ha luogo in forma equitativa.
Ecco il disegno in esame:
DISEGNO DI LEGGE
Norme per contrastare il fenomeno del mobbing
Art. 1.
(Princìpi e finalità)
1. Sono da ricondurre, nell’ambito della definizione di mobbing, tutti quegli atti e comportamenti posti in essere da datori di lavoro, capi intermedi e colleghi, che si traducono in atteggiamenti persecutori, attuati in forma evidente, con specifica determinazione e carattere di continuità, atti ad arrecare danni rilevanti alla condizione psico-fisica del lavoratore, ovvero anche al solo fine di allontanarlo dalla collettività in seno alla quale presta la propria opera.
2. La presente legge è volta a tutelare tutti i lavoratori che, in qualsiasi luogo di lavoro e a qualsiasi livello, subiscono comportamenti ostili che assumono le caratteristiche della violenza fisica, comprese le molestie anche sessuali, e della persecuzione psicologica, nell’ambito dei rapporti di lavoro.
3. Gli atti e comportamenti che rilevano ai fini della presente legge sono caratterizzati dal contenuto vessatorio e da finalità persecutorie che si traducono in molestie, in maltrattamenti verbali, nonché in atteggiamenti tali da danneggiare la personalità e la dignità del lavoratore, incidendo sulla di lui immagine sociale, sulla situazione privata e professionale, nonché sulle relazioni sociali, oltre che sulla salute.
4. In particolare le attività di mobbing si sostanziano in atti di ostilità, attacchi alla reputazione, creazione di falsi pettegolezzi, insinuazioni malevole, segnalazioni diffamatorie, attribuzioni di errori altrui, carenza di informative e informazioni volutamente errate, al fine di creare problemi, controlli e sorveglianza continui, minacce di trasferimenti, apertura di corrispondenza, difficoltà di permessi o ferie, assenza di promozioni o passaggi di grado, ingiustificata rimozione da incarichi già ricoperti, svalutazione dei risultati ottenuti.
5. Il danno di natura psico-fisica, provocato dagli atti e comportamenti di cui ai commi 3 e 4, rileva, ai fini della presente legge, quando incide sulla capacità lavorativa del lavoratore, sia pregiudicandone l’auto-stima, sia inducendo crisi depressive o danni diretti o indiretti sulla salute.
Art. 2.
(Annullabilità degli atti di discriminazione)
1. Gli atti posti in essere dal datore di lavoro, nonché i provvedimenti assunti, nella eventuale modifica delle mansioni e qualifiche, di incarichi, trasferimenti di altra natura, riconducibili alle condotte di cui all’articolo 1, sono annullabili a richiesta del lavoratore danneggiato.
Art. 3.
(Attività di prevenzione e informazione)
1. Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali emana un apposito decreto con il quale individua le singole fattispecie di violenza e persecuzione ai danni dei lavoratori rilevanti ai sensi della presente legge.
2. I datori di lavoro, pubblici o privati, a qualsiasi livello, unitamente alle rispettive rappresentanze sindacali, là dove esistenti, sono tenuti ad adottare tutte le iniziative necessarie intese a prevenire i fenomeni di violenza e persecuzione di cui all’articolo 1,
nonchè i conflitti nei luoghi di lavoro.
3. Gli stessi datori di lavoro, pubblici o privati, unitamente alle rappresentanze sindacali, là dove esistenti, sono tenuti, altresì, a dare tutte le informazioni rilevanti relative alle assegnazioni degli incarichi, ai trasferimenti, alle variazioni delle mansioni e delle qualifiche, in applicazione della presente legge.
4. Sia il decreto di cui al comma 1, che le informazioni di cui al comma 3 devono essere affissi nelle bacheche aziendali e, in ogni caso, resi debitamente pubblici.
5. In presenza di denuncia di atti e comportamenti di cui all’articolo 1, da parte di singoli lavoratori, è compito dei datori di lavoro e delle rispettive rappresentanze sindacali aziendali, là dove esistenti, provvedere tempestivamente all’accertamento dei fatti denunciati, ove del caso anche con l’ausilio di soggetti estranei all’azienda.
Accertati i fatti, il datore di lavoro è tenuto ad assumere tutte le iniziative necessarie per superare il conflitto denunciato. Ai fini della individuazione delle misure necessarie, il datore di lavoro può anche avvalersi della collaborazione dei lavoratori dell’area aziendale interessata.
6. I lavoratori hanno diritto di riunirsi, fuori dall’orario di lavoro, oltre alle fattispecie indicate all’articolo 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nei limiti di sei ore, su base annuale, al fine di esaminare e dibattere riguardo alle violenze e alle persecuzioni psicologiche nei luoghi di lavoro con le modalità e con le forme previste dal citato articolo 20 della legge n. 300 del 1970.
Art. 4.
(Responsabilità disciplinare)
1. A coloro che pongono in essere gli atti e i comportamenti di cui all’articolo 1 si applicano le misure previste con riferimento alla responsabilità disciplinare.
2. Responsabilità analoga a quella di cui al comma 1 grava su chi consapevolmente denuncia gli atti e i comportamenti di cui all’articolo 1, ancorchè notoriamente inesistenti, al solo fine di trame un qualsivoglia vantaggio.
Art. 5.
(Ricorso alla giustizia ordinaria)
1. Ogni lavoratore che abbia subìto violenza o persecuzione psicologica nel luogo di lavoro e non ritenga di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, ma intenda adire in giudizio, può promuovere il tentativo di conciliazione contemplato dall’articolo 410 del codice di procedura civile, ove del caso, anche con l’ausilio delle rappresentanze aziendali, là dove esistenti. Il procedimento è regolato
dall’articolo 413 del codice di procedura civile.
2. Il giudice condanna il responsabile del comportamento sanzionato al risarcimento del danno, la cui liquidazione ha luogo in forma equitativa.
Art. 6.
(Provvedimento del giudice e pubblicità)
1. Il giudice, su istanza della parte interessata, può disporre idonea pubblicità al provvedimento di condanna, a cura e spese del datore di lavoro, ove del caso anche mediante lettera o, comunicato, da indirizzare ai dipendenti interessati, appartenenti al reparto o all’unità lavorativa dove la violenza o la persecuzione hanno trovato attuazione.
2. Il nome della persona o delle persone vittime della violenza o della persecuzione possono essere omessi.
Art. 7.
(Configurazione nell’ambito della vita dei partiti politici e delle associazioni)
1. La normativa di cui alla presente legge trova applicazione anche nel contesto della vita dei partiti politici, nonchè delle associazioni regolate dall’articolo 36 del codice civile.
2. Allorquando i soggetti passivi del mobbing non rivestano la qualifica di lavoratori dipendenti, ma siano semplici iscritti o soci, le attività di prevenzione e di informazione di cui all’articolo 3 si intendono demandate agli organismi di controllo regolarmente costituiti e operanti in conformità con quanto previsto dagli atti costitutivi, ovvero dagli statuti dei singoli organismi interessati.
3. Se il soggetto passivo del mobbing, non intende fare ricorso alla giustizia ordinaria, così come previsto dall’articolo 5, ogni eventuale controversia può essere composta mediante ricorso al collegio dei probiviri, ovvero agli altri organi di controllo previsti dallo statuto dell’organismo interessato.