La Corte di Cassazione, nella Sentenza 12 settembre 2008 n. 23569, ribadisce che quando un lavoratore autonomo muoia senza avere versato i contributi, si hanno due conseguenze per i superstiti: gli stessi, se eredi, sono tenuti a pagare i contributi omessi secondo le norme del diritto successorio; il loro diritto alla rendita, costituendo un diritto iure proprio e non iure hereditatis, non può essere subordinato all’inadempimento da parte del de cuius dell’obbligazione contributiva: se i contributi non sono prescritti rientra nella facoltà dei superstiti versare anche spontaneamente gli stessi.
La Corte precisa che lo stesso principio vale per le prestazioni ai superstiti di lavoratori autonomi a carico dell’INPS.
Da un lato l’Istituto può ottenere dai superstiti, se eredi, il pagamento dei contributi omessi dal dante causa, dall’altro i superstiti, per far valere il loro autonomo diritto alla pensione indiretta, possono far accertare l’espletamento di attività soggetta ad assicurazione obbligatoria da parte del dante causa e provvedere, in caso di accertamento positivo, al pagamento dei contributi non prescritti.
Emiliana Matron
Cassazione, Sentenza 12 settembre 2008 n. 23569
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 9 novembre-2 dicembre 2004 la Corte di appello di Bari, rigettando l’appello proposto da Concetta F. e Serena Incoronata Lucia R., confermava la sentenza del Tribunale di Foggia che aveva respinto la domanda delle appellanti, rispettivamente moglie e figlia di Giovanni Leonardo R., deceduto il 24 dicembre 1998, diretta ad ottenere dall’INPS la pensione indiretta a seguito della morte del congiunto.
I giudici di secondo grado osservavano che il principio di automaticità delle prestazioni, stabilito dall’art. 2116 c.c., opera solo per i lavoratori subordinati. Nella fattispecie in esame l’attività che si assumeva svolta dal defunto R. era di natura autonoma; di conseguenza, poiché i contributi per gli anni dal 1995 al 1998 per la dedotta attività agricola (coltivatore diretto o imprenditore agricolo) o commerciale svolta in tali anni non risultavano versati al momento della morte del lavoratore, moglie e figlia non potevano ottenere la richiesta pensione indiretta né potevano versare, con effetto sanante, i contributi omessi dal congiunto.
La Corte territoriale riteneva quindi assorbiti i motivi di appello con i quali si chiedeva l’accertamento della attività lavorativa espletata da Giovanni Leonardo R., l’affermazione del correlato obbligo contributivo e del diritto delle appellanti a versare i contributi omessi avvalendosi dei condoni previsti al momento della presentazione della domanda amministrativa del 26 febbraio 1999.
Per la cassazione di tale decisione ricorrono, formulando due motivi di censura, Concetta F. e Serena Incoronata Lucia R.
L’INPS non si è costituito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la difesa delle ricorrenti denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della l. 2 agosto 1990, n. 233, dell’art. 1 della l. 26 ottobre 1957, n. 1047 e degli artt. 2 e 10 della l. 9 gennaio 1963, n. 9; nonché vizio di motivazione su punto decisivo.
Deduce che scopo dell’art. 13 della l. 233/1990 è stato quello di garantire la tutela previdenziale per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti a tutti i soggetti che svolgono attività agricola autonoma, compresi quindi gli “imprenditori agricoli a titolo principale”, ed ai loro superstiti.
Assume che anche quando è richiesta l’iscrizione ad un albo o ad un elenco, tale iscrizione ha natura di provvedimento dichiarativo o, al più, di accertamento costitutivo; il relativo provvedimento costituisce quindi un atto vincolato. Per il lavoro autonomo sarebbe rilevante, ai fini della costituzione del rapporto previdenziale, solo l’inizio effettivo della attività, tranne ipotesi eccezionali in cui viene riconosciuto al soggetto la libertà di determinare o meno la nascita del rapporto.
Osserva che per i soggetti contemplati dalla l. n. 1047 del 26 gennaio 1957 (coltivatori diretti, mezzadri, coloni, soccidari ecc.) non vige il principio della libertà di adesione; tanto è vero che spesso l’INPS provvede ad iscrivere di ufficio come coltivatori diretti lavoratori che hanno una posizione assicurativa diversa. Cita al riguardo la circolare SCAU n. 30 del 19 marzo 1992.
Sostiene quindi che la sentenza impugnata ha violato i principi in materia di costituzione del rapporto previdenziale.
2. Con il secondo motivo la difesa delle ricorrenti denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2116 c.c., degli artt. 5 e 6 della l. 9 gennaio 1963, n. 9 e dell’art. 18 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488; nonché vizio di motivazione.
Deduce: a) che il diritto dei superstiti al trattamento pensionistico indiretto costituisce un diritto autonomo rispetto al diritto alla pensione spettante al congiunto deceduto; b) che gli eredi sono tenuti in solido nei confronti dell’ente previdenziale al pagamento dei contributi previdenziali omessi dal dante causa.
Critica quindi la sentenza nella parte in cui intende il requisito della sussistenza della contribuzione non come oggettivo sorgere dell’obbligazione contributiva e correlato obbligo, ma come mero versamento dei contributi.
Denuncia la non pertinenza del principio della automaticità delle prestazioni di cui all’art. 2116 c.c., atteso che nel caso in esame i congiunti del lavoratore deceduto non hanno chiesto la prestazione in assenza della contribuzione, ma esclusivamente di esercitare il diritto di versare i contributi omessi dal R. e di ottenere la pensione indiretta.
3. I due motivi di ricorso, che si trattano congiuntamente per la evidente connessione, sono, nei limiti di seguito precisati, fondati.
I giudici di appello si sono arrestati di fronte al mancato versamento dei contributi, per gli anni dal 1995 al 1998, all’atto della morte di Giovanni Leonardo R.
Hanno ritenuto assorbente tale omesso versamento e quindi superfluo accertare se il defunto avesse esercitato in quegli anni una attività per la quale avrebbe dovuto versare i contributi per una assicurazione obbligatoria per la vecchiaia, l’invalidità ed i superstiti.
L’assunto è infondato.
L’obbligo per il lavoratore autonomo di versare la contribuzione previdenziale sorge dallo svolgimento di una determinata attività lavorativa soggetta a contribuzione; e non è sufficiente la mancanza di una spontanea iscrizione in un apposito albo od elenco, ove previsti dalla legge, per esonerare il soggetto obbligato dall’obbligo di versare la contribuzione.
Erroneamente i giudici di appello hanno ritenuto decisivo il mancato versamento dei contributi da parte del signor R. allorquando lo stesso era in vita.
È vero invece, ed il principio è stato già affermato da questa Corte con riferimento alla rivendicazione di una rendita Inail ai superstiti (Cass., 16 giugno 2006, n. 13938), che quando un lavoratore autonomo muoia senza avere versato i contributi, si hanno due conseguenze per i superstiti: gli stessi, se eredi, sono tenuti a pagare i contributi omessi secondo le norme del diritto successorio; il loro diritto alla rendita, costituendo un diritto iure proprio e non iure hereditatis, non può essere subordinato all’inadempimento da parte del de cuius dell’obbligazione contributiva: se i contributi non sono prescritti rientra nella facoltà dei superstiti versare anche spontaneamente gli stessi.
Lo stesso principio vale per le prestazioni ai superstiti di lavoratori autonomi a carico dell’INPS.
Da un lato l’Istituto può ottenere dai superstiti, se eredi, il pagamento dei contributi omessi dal dante causa, dall’altro i superstiti, per far valere il loro autonomo diritto alla pensione indiretta, possono far accertare l’espletamento di attività soggetta ad assicurazione obbligatoria da parte del dante causa e provvedere, in caso di accertamento positivo, al pagamento dei contributi non prescritti.
Il principio della automaticità delle prestazioni, dettato per i lavoratori subordinati dall’art. 2116 c.c. ed escluso per i lavoratori autonomi, risulta estraneo alla fattispecie in esame, atteso che, come sopra chiarito, non viene invocata una prestazione in assenza del versamento dei contributi da parte dei superstiti del lavoratore autonomo, ma si chiede di accertare che il dante causa svolgeva una attività soggetta a contribuzione e di versare i contributi non prescritti.
Il Collegio ritiene così di discostarsi definitivamente dall’opposto datato orientamento (Cass., 29 agosto 1980, n. 5019; 23 novembre 1990, n. 11283), che escludeva il versamento spontaneo dei contributi dopo la morte dell’assicurato in favore del quale non operava il principio dell’automatismo; non tenendo conto del fatto che gli eredi erano comunque tenuti a rispondere dei debiti del dante causa secondo le norme del diritto delle successioni.
I giudici del merito non si sono attenuti a tale principio di diritto, ritenendo il diritto dovere del lavoratore autonomo di versare i contributi previdenziali come un diritto personalissimo, suscettibile di condizionare negativamente l’autonomo diritto dei superstiti alla pensione indiretta.
Per tutto quanto esposto la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata ad altro giudice di pari grado, che si indica nella Corte di appello di Lecce, che accerterà se il dante causa delle ricorrenti abbia svolto o meno attività autonoma agricola o commerciale, soggetta a contribuzione previdenziale, negli anni dal 1995 al 1998; ammettendo, in caso affermativo, le ricorrenti al versamento dei contributi non prescritti, avendo riguardo (non alla domanda di pensione indiretta, ma) alla domanda con la quale è stata espressamente manifestata la volontà di versare i contributi omessi dal dante causa.
Al giudice di rinvio si rimette anche la regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.T.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di appello di Lecce.