La Corte Costituzionale, con la sentenza 399/2008, afferma che l’art. 86 del d.lgs. n. 276 del 2003 è intrinsecamente irragionevole e costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 3, primo comma, della Costituzione. Conseguentemente, le collaborazioni coordinate e continuative già stipulate alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003 mantengono efficacia fino alla scadenza pattuita dalle parti.
La Corte Costituzionale, infatti, soggiunge che una normativa che lo stesso legislatore definisce come finalizzata «ad aumentare […] i tassi di occupazione e a promuovere la qualità e la stabilità del lavoro» (art. 1, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003) non può ragionevolmente determinare l’effetto esattamente contrario (perdita del lavoro) a danno di soggetti che, per aver instaurato rapporti di lavoro autonomo prima della sua entrata in vigore nel pieno rispetto della disciplina all’epoca vigente, si trovano penalizzati senza un motivo plausibile.
Nel caso concreto, la parte datoriale aveva comunicato al lavoratore la cessazione del rapporto con lui intercorrente in virtù del contratto di collaborazione coordinata e continuativa stipulato il 1° gennaio 2003, «per sopraggiunta impossibilità dell’oggetto», richiamando l’art. 86, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, il quale disponeva che «Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente, che non possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento. Termini diversi, anche superiori all’anno, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente potranno essere stabiliti nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime di cui al presente decreto, stipulati in sede aziendale con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale».
L’art. 86, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, dunque, dettava la disciplina transitoria, disponendo in ordine alle collaborazioni coordinate e continuative che risultavano già stipulate il 24 ottobre 2003, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003.
Il d.lgs. n. 276 del 2003 ha introdotto una disciplina restrittiva per il particolare tipo di lavoro autonomo costituito dalle collaborazioni coordinate e continuative. Al di fuori delle eccezioni previste dall’art. 1, comma 2, e dall’art. 61, commi 1, 2 e 3, questo tipo di contratto poteva essere stipulato solamente se riconducibile ad uno o più progetti specifici o a programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore (art. 61, comma 1). Conseguentemente, la novità così introdotta a regime dal d.lgs. n. 276 del 2003 è quella di vietare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che, pur avendo ad oggetto genuine prestazioni di lavoro autonomo, non siano però riconducibili ad un progetto. Ciò contraddice la ratio espressamente perseguita dalla normativa.
Invero, le finalità del d.lgs. n. 276 del 2003 sono quelle di agevolare la creazione di nuova occupazione e di porre fine agli abusi perpetrati a danno dei lavoratori con le vecchie forme di parasubordinazione. Ed allora, se lo spirito evidente della legge è quello per cui è meglio un lavoro incerto e flessibile piuttosto che nessun lavoro, è assurdo e contraddittorio che la stessa legge determini l’estinzione dei vecchi rapporti di collaborazione, operando retroattivamente su contratti legittimamente stipulati in base alla disciplina normativa previgente.
Emiliana Matrone
Corte Costituzionale
Sentenza 5 dicembre 2008, n. 399
RITENUTO IN FATTO
1. – Nel corso di un giudizio civile promosso da Pietro Borraccini contro la F.lli Simonetti S.p.A., il Tribunale di Ascoli Piceno ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 86, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), nel testo in vigore prima della modifica apportata dall’art. 20 del decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 (Disposizioni correttive del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in materia di occupazione e mercato del lavoro), «quantomeno per la parte in cui la disposizione non prevede che le collaborazioni coordinate e continuative mantengano, nel caso in cui il collaboratore lo richieda, la loro efficacia anche oltre la scadenza di legge e fino alla scadenza contrattuale originariamente prevista».
Il rimettente deduce che, con lettera del 26 ottobre 2004, la F.lli S. S.p.A. aveva comunicato al Borraccini la cessazione del rapporto con lui intercorrente in virtù del contratto di collaborazione coordinata e continuativa stipulato il 1° gennaio 2003, «per sopraggiunta impossibilità dell’oggetto», richiamando l’art. 86, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, il quale dispone che «Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente, che non possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento. Termini diversi, anche superiori all’anno, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente potranno essere stabiliti nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime di cui al presente decreto, stipulati in sede aziendale con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale».
Il giudice a quo prosegue affermando che l’attore aveva sostenuto, in primo luogo, che il contratto di collaborazione era riconducibile ad un progetto; in secondo luogo, che l’art. 86 del d.lgs. n. 276 del 2003 non può essere interpretato nel senso di aver disposto una cessazione automatica ed incondizionata dell’efficacia dei contratti di collaborazione alla scadenza di un anno dalla data di entrata in vigore del predetto decreto legislativo (ossia al 24 ottobre 2004); infine che, se invece il citato art. 86 dovesse essere interpretato in tal senso, allora esso contrasterebbe con gli art. 1, 3, 4, 24, 35, 36 e 101 della Costituzione.
Il Borraccini aveva quindi chiesto l’accertamento dell’illegittimità del recesso della F.lli S. S.p.A. dal contratto di collaborazione coordinata e continuativa e la condanna della convenuta all’adempimento di tale contratto ed a corrispondergli i compensi previsti dal contratto, eventualmente a titolo di risarcimento dei danni o, in subordine, a titolo di indennizzo per arricchimento senza causa.
Quanto alla rilevanza della questione, il Tribunale di Ascoli Piceno deduce che l’affermazione dell’attore circa la riconducibilità del contratto stipulato dalle parti del giudizio a quo ad un progetto non trova rispondenza negli atti di causa e, dunque, ai fini della decisione della controversia è determinante stabilire se il rapporto di collaborazione sia o meno cessato ex lege alla data del 24 ottobre 2004.
Al riguardo, il rimettente sostiene che l’art. 86 del d.lgs. n. 276 del 2003, nel disciplinare il regime transitorio del passaggio dai tradizionali contratti di collaborazione coordinata e continuativa ai nuovi contratti a progetto, prevede il mantenimento dell’efficacia dei primi, se stipulati prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo, per la durata massima di un anno, salvo il termine ulteriore eventualmente consentito da accordi sindacali aziendali. Conseguentemente, in difetto – come nella fattispecie oggetto del giudizio a quo – di accordi sindacali, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa in essere alla data del 24 ottobre 2004, dovevano cessare inesorabilmente a quella stessa data, anche se i contraenti avessero stabilito termini di scadenza ad essa successivi.
Ad avviso del Tribunale, l’art. 86, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003 – quantomeno nella parte in cui non prevede che le collaborazioni coordinate e continuative mantengano, nel caso in cui il collaboratore lo richieda, la loro efficacia anche oltre la scadenza di legge e fino alla scadenza contrattuale originariamente prevista – si porrebbe in contrasto con il canone di ragionevolezza affermato dall’art. 3, primo comma, della Costituzione. Esso, inoltre, violerebbe gli artt. 4, primo comma, e 35, primo comma, Cost., i quali si riferiscono, non solo al lavoro subordinato, ma anche al lavoro autonomo ed in particolare al lavoro parasubordinato, caratterizzato dalla personalità e continuità di una prestazione collegata funzionalmente con l’organizzazione del committente.
Difatti, le finalità espressamente dichiarate dall’art. 1 del d.lgs. n. 276 del 2003 sono quelle di agevolare la creazione di nuova occupazione e di porre fine agli abusi perpetrati a danno dei lavoratori con le vecchie forme di parasubordinazione. Ed allora, se lo spirito evidente della legge è quello per cui è meglio un lavoro incerto e flessibile piuttosto che nessun lavoro, è assurdo e contraddittorio che la stessa legge determini l’estinzione dei vecchi rapporti di collaborazione, operando retroattivamente su contratti legittimamente stipulati in base alla disciplina normativa previgente.
Il giudice a quo aggiunge che la specifica ratio dell’art. 86, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003 è da rinvenire nell’esigenza di favorire, con il rapido esaurimento di tutti i tradizionali rapporti di collaborazione continuativa e coordinata pendenti al momento di entrata in vigore del decreto legislativo, l’instaurazione di forme contrattuali maggiormente idonee a tutelare il lavoratore. Tuttavia, per perseguire tale finalità, la norma censurata ha adottato una disciplina che, in concreto, danneggia, invece di tutelare, il lavoratore parasubordinato. Né l’aver consentito agli accordi sindacali stipulati in sede aziendale di stabilire termini maggiori dell’anno per la scadenza delle collaborazioni coordinate e continuative può escludere il dubbio di incostituzionalità della norma, poiché anche tale correttivo conserva il difetto di poter danneggiare il lavoratore se l’accordo sindacale aziendale non intervenga affatto (come nel caso oggetto del giudizio principale) oppure intervenga abbreviando il termine convenzionale senza prevedere garanzie di ulteriore occupazione.
2. – E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità della questione e, nel merito, ha chiesto che essa sia dichiarata manifestamente infondata.
La questione sarebbe inammissibile per irrilevanza, sia perché il rimettente non ha sufficientemente descritto la fattispecie oggetto del giudizio a quo, sia perché la domanda dell’attore dovrebbe comunque essere rigettata per difetto di uno dei suoi presupposti (cioè la riconducibilità del contratto da lui stipulato ad un progetto).
Nel merito, la difesa erariale deduce che l’art. 86, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003 detta una disciplina per il passaggio dal vecchio al nuovo regime delle collaborazioni coordinate e continuative, perseguendo adeguatamente l’esigenza di evitare forme di stabilizzazione di situazioni transitorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Il Tribunale di Ascoli Piceno dubita, in riferimento agli articoli 3, primo comma, 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 86, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), nel testo in vigore prima della modifica apportata dall’art. 20 del decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 (Disposizioni correttive del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in materia di occupazione e mercato del lavoro), «quantomeno per la parte in cui la disposizione non prevede che le collaborazioni coordinate e continuative mantengano, nel caso in cui il collaboratore lo richieda, la loro efficacia anche oltre la scadenza di legge e fino alla scadenza contrattuale originariamente prevista».
1.1 – Il d.lgs. n. 276 del 2003 ha introdotto una articolata disciplina dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Tra l’altro, esso stabilisce che, a differenza che nel passato, essi debbono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore (art. 61, comma 1) e che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data della loro costituzione (art. 69, comma 1).
Sono esclusi dal campo di applicazione di tali disposizioni, oltre alle collaborazioni coordinate e continuative stipulate delle pubbliche amministrazioni (a queste ultime, infatti, il d.lgs. n. 276 del 2003 non si applica: art. 1, comma 2), alcuni particolari rapporti di collaborazione specificamente indicati dall’art. 61 del d.lgs. n. 276 del 2003: agenzia e rappresentanza commerciale (comma 1), prestazioni occasionali (comma 2), professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in albi professionali, rapporti ed attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano, componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società, partecipanti a collegi e commissioni, coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia (comma 3).
1.2. – L’art. 86, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003 detta la disciplina transitoria, disponendo in ordine alle collaborazioni coordinate e continuative che risultavano già stipulate il 24 ottobre 2003, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003. Esso, nella versione originaria (che è quella censurata dal rimettente) stabilisce che «Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente, che non possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento. Termini diversi, anche superiori all’anno, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente potranno essere stabiliti nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime di cui al presente decreto, stipulati in sede aziendale con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale».
Il successivo art. 20 del d.lgs. n. 251 del 2004 ha modificato il secondo periodo del comma 1 dell’art. 86 del d.lgs. n. 276 del 2003, inserendovi una limitazione alla possibilità per i contratti collettivi aziendali di stabilire termini di efficacia delle collaborazioni stipulate ai sensi della disciplina previgente diversi da quello contemplato dal primo periodo dello stesso comma 1 dell’art. 86: è ora previsto, infatti, che i contratti collettivi in questione non possono stabilire un termine di efficacia superiore al 24 ottobre 2005.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità della questione per irrilevanza, perché il rimettente non avrebbe sufficientemente descritto la fattispecie oggetto del giudizio a quo e perché la domanda dell’attore dovrebbe comunque essere rigettata per difetto di uno dei suoi presupposti (cioè la riconducibilità del contratto da lui stipulato ad un progetto).
2.1. – Tale eccezione non è fondata.
Infatti, il rimettente ha indicato le date di stipulazione (antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003) e di scadenza (successiva al 24 ottobre 2004) del contratto ed ha espresso chiaramente la propria convinzione circa il fatto che il rapporto di collaborazione intercorrente tra le parti difettava dei requisiti richiesti dall’art. 61, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003. Si può quindi concludere agevolmente nel senso dell’applicabilità della norma censurata alla fattispecie e, dunque, di ritenere rilevante la questione.
Non è vero, poi, che, come afferma la difesa erariale, accertata l’impossibilità di ricondurre la collaborazione ad un progetto, ne dovrebbe conseguire comunque il rigetto delle domande proposte dall’attore (condanna della convenuta all’adempimento del contratto ed al pagamento degli emolumenti da questo previsti). Infatti, l’accoglimento dell’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 86, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003 determinerebbe l’espunzione dall’ordinamento proprio della norma che priva di efficacia i contratti di collaborazione stipulati prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003 che, come quello oggetto del giudizio a quo, non sono riconducibili ad un progetto.
3. – Nel merito, la questione è fondata.
Il d.lgs. n. 276 del 2003 ha introdotto una disciplina restrittiva per il particolare tipo di lavoro autonomo costituito dalle collaborazioni coordinate e continuative. Al di fuori delle eccezioni previste dall’art. 1, comma 2, e dall’art. 61, commi 1, 2 e 3, questo tipo di contratto può ora essere stipulato solamente se sia riconducibile ad uno o più progetti specifici o a programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore (art. 61, comma 1). La novità così introdotta a regime dal d.lgs. n. 276 del 2003 è quella di vietare rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che, pur avendo ad oggetto genuine prestazioni di lavoro autonomo, non siano però riconducibili ad un progetto.
Il primo periodo dell’art. 86, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, stabilisce l’anticipata cessazione dell’efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative già instaurate alla data della sua entrata in vigore. Il predetto divieto è in tal modo esteso anche ai contratti di lavoro autonomo perfettamente leciti al momento della loro stipulazione.
Il conseguente sacrificio degli interessi che le parti avevano regolato nel rispetto della disciplina dell’epoca risulta, sotto questo profilo, irragionevole per contraddittorietà della norma con la sua ratio.
Una normativa che lo stesso legislatore definisce come finalizzata «ad aumentare […] i tassi di occupazione e a promuovere la qualità e la stabilità del lavoro» (art. 1, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003) non può ragionevolmente determinare l’effetto esattamente contrario (perdita del lavoro) a danno di soggetti che, per aver instaurato rapporti di lavoro autonomo prima della sua entrata in vigore nel pieno rispetto della disciplina all’epoca vigente, si trovano penalizzati senza un motivo plausibile.
Quest’ultimo non può essere individuato nella mera esigenza di evitare la prosecuzione nel tempo di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa difformi dalla nuova previsione legislativa, poiché l’intento del legislatore di adeguare rapidamente la realtà dei rapporti economici ai modelli contrattuali da esso introdotti non può giustificare, di per se stesso, il pregiudizio degli interessi di soggetti che avevano regolato i loro rapporti in conformità alla precedente disciplina giuridica.
Tanto più in un contesto in cui il contratto di collaborazione coordinata e continuativa non riconducibile ad un progetto può essere ancora validamente stipulato dalle pubbliche amministrazioni, dalle associazioni e società sportive dilettantistiche, dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società, dai partecipanti a collegi e commissioni, dai titolari di pensioni di vecchiaia, nonché per lo svolgimento di professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è richiesta l’iscrizione in albi professionali. Non si tratta, in altri termini, di una fattispecie contrattuale non più presente nell’ordinamento giuridico.
Neppure il secondo periodo del comma 1 dell’art. 86 del d.lgs. n. 276 del 2003, che consente agli accordi sindacali stipulati in sede aziendale di stabilire termini diversi per la cessazione degli effetti delle collaborazioni coordinate e continuative, è immune dall’indicato vizio di incostituzionalità. Tale disposizione, infatti, anche nella formulazione modificata dall’art. 20 del d.lgs. n. 251 del 2004, non esclude che un accordo sindacale non intervenga affatto, né che l’accordo sindacale eventualmente intervenuto preveda un termine di cessazione dell’efficacia della collaborazione inferiore rispetto alla scadenza pattuita dalle parti.
La norma censurata è pertanto intrinsecamente irragionevole e costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 3, primo comma, della Costituzione. Conseguentemente, le collaborazioni coordinate e continuative già stipulate alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003 mantengono efficacia fino alla scadenza pattuita dalle parti.
4. – Restano assorbiti gli altri profili di illegittimità costituzionale prospettati nell’ordinanza di rimessione.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 86, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30).