TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER IL VENETO – VENEZIA – 4 maggio 2009 n. 1361
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente
SENTENZA
nel giudizio introdotto con il ricorso n. 3437/95, proposto da E. C., rappresentata e difesa dagli avv. ti Russello e A. Perulli, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Venezia Lido, via Famagosta 12;
contro
il Comune di Megliadino San Vitale (Padova) in persona del sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per l’annullamento
dell’ordinanza 23 settembre 1995, n. 12/95, prot. 4551, con cui il sindaco di Megliadino San Vitale ordina la demolizione del fabbricato ivi descritto.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 marzo 2009 il cons. avv. A. Gabbricci e uditi per la parte i propri difensori come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1.1. Nel 1985, E. C. fu autorizzata dal sindaco di Megliadino San Vitale (concessione 650/85) a demolire un fabbricato ad uso abitazione di sua proprietà, insistente su area censita a fg. 7, mapp. 831, per ricostruirlo sull’adiacente mappale 832.
1.2. La nuova costruzione fu completata, tanto che, nell’ottobre 1987. fu rilasciato il relativo permesso d’abitabilità: ma il vecchio immobile non venne mai demolito e, nel marzo 1995, ne fu richiesta la sanatoria, ex art. 39 l. 23 dicembre 1994, n. 724.
1.3. Con l’ordinanza 23 settembre 1995, n. 12/95, il sindaco respinse la richiesta, perché:
a) la domanda di sanatoria sarebbe dovuta essere presentata per la nuova costruzione, e non per quella preesistente e non demolita;
b) il 7 agosto 1995, il proprietario dell’area confinante aveva dichiarato di non approvare il condono, ed aveva altresì affermato come, per ottenere la rammentata concessione edilizia, la C. avesse fatto dichiarazioni infedeli circa l’utilizzo del fabbricato e la sua distribuzione interna;
c) con atto notorio 10 settembre 1986 la stessa C. si era impegnata sia a demolire il fabbricato oggetto di condono, sia a cedere gratuitamente l’area risultante per l’allargamento della strada;
d) aveva poi ottenuto una proroga del termine per la demolizione ed aveva reiterato nel 1987 il proprio impegno a demolire il fabbricato;
e) “in data 27/09/94 chiedeva una revoca dell’ordinanza n. 9/94 per realizzare degli annessi rustici richiesti con pratica edilizia n. 856/89, decaduta per decorrenza di termini”.
1.4. Quest’ultima annotazione non è facilmente decifrabile, ma dall’esame del ricorso e della documentazione allegata, si desume come, nel 1989, la C. avesse richiesto un’autorizzazione per trasformare il vecchio fabbricato in un annesso rustico, ma non avesse poi dato seguito alla procedura.
Nel 1994 il sindaco ne aveva dapprima preso atto, ed aveva quindi ordinato la demolizione del fabbricato, con un provvedimento che non aveva avuto effetto, dopo che, nel dicembre 1994, l’interessata aveva inviato l’attestazione di pagamento dell’oblazione, preannunciando la propria intenzione di presentare domanda di condono, come aveva in effetti poi fatto.
1.5. L’ordinanza sindacale 12/95, respinta la richiesta di condono, ha poi anche disposto la demolizione del fabbricato, per il quale era stata chiesta la sanatoria.
1.6. Avverso il provvedimento è stato proposto il ricorso in esame; il Comune non si è costituito, sebbene ritualmente intimato.
2.1. Nel primo motivo si censura il diniego di condono, con riguardo al capo di motivazione sopra individuata sub b).
Oppone il ricorso come non spetti all’Ente pubblico di tutelare la posizione di terzi, i quali potranno eventualmente avvalersi dei comuni mezzi di tutela civile. Al Comune compete soltanto di verificare se l’immobile possa essere condonato, secondo la normativa che disciplina il beneficio: e questa, nel caso, non conterrebbe alcuna disposizione ostativa.
2.2. Il secondo motivo, viceversa, riguarda il rilievo sub a) del provvedimento gravato.
Ora, oppone il ricorso, poiché il nuovo fabbricato è stato edificato in conformità alla concessione edilizia 650/85, potrebbe essere illegittima questa, ma è il Comune stesso ad escluderlo; ovvero – come ritiene il ricorrente, “abusivo ed oggetto di condono è solo il vecchio [fabbricato] di cui si chiede la demolizione”.
3.1. Il primo motivo di ricorso è fondato: va, infatti, condiviso l’insegnamento per cui “In una con quanto previsto in via generale dall’art. 11, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, secondo cui il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi”, l’amministrazione comunale “è tenuta a controllare la rilevanza giuridica del condono esclusivamente nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza estendersi ai rapporti tra privati, fermo restando che, in caso di violazione di diritti dei terzi, questi, assumendone la lesione possono ottenere tutela davanti al giudice civile non subendo alcun pregiudizio dal rilascio del titolo” (C.d.S., IV, 10 dicembre 2007, n. 6332).
3.2. Più complesso è dare una risposta alla questione sollevata con il secondo motivo di ricorso.
Ora, la concessione edilizia rilasciata nel 1985 prevede, quale obbligo unilaterale assunto dal concessionario, che questi avrebbe demolito il vecchio fabbricato “quanto prima e comunque prima del rilascio del certificato di abitabilità”.
In realtà, come si è detto, la preesistente costruzione non fu mai demolita; ciò nonostante, il certificato d’abitabilità per la nuova costruzione fu rilasciato dopo che la C. si era nuovamente impegnata a demolire la vecchia abitazione, e negli anni seguenti l’Amministrazione non si mostrò pregiudizialmente contraria a rilasciare un titolo che permettesse di conservare il vecchio edificio, anziché abbatterlo.
In altri termini, il Comune non ha mai messo in dubbio la legittimità del nuovo edificio; e lo stesso provvedimento impugnato, pur affermando che il condono andava richiesto per questo, ordinò poi la demolizione del vecchio, confermando così di ritenere questo l’abuso esistente.
3.3. Il comportamento dell’Ente, dunque, unitamente al contenuto ambiguo della concessione 650/85, conducono ad affermare che la demolizione del vecchio fabbricato non costituiva condizione sospensiva della concessione stessa (ciò che avrebbe reso abusivo il nuovo edificio) quanto l’effetto di un trasferimento, con il rilascio della concessione, della volumetria propria dell’area interessata dal vecchio al nuovo edificio, ciò comportando la sopravvenuta abusività del primo, ormai privo di conformità urbanistica ed edilizia.
Ha dunque ragione la ricorrente, quando afferma che il condono non poteva riguardare il nuovo edificio, la cui regolarità mai è stata revocata in dubbio.
4.1. E’ tuttavia da rilevare, a questo punto, che se il punto d) ed il punto e) della giustificazione espressa nel provvedimento gravato non forniscono motivazioni, ma espongono accadimenti, diverso è quanto si afferma alla lettera c).
E’ evidente che qui il condono viene negato perché impedirebbe la demolizione, e questa, a sua volta, precluderebbe di dare attuazione all’impegno unilateralmente assunto con atto notorio 10 settembre 1986 dalla C. di cedere gratuitamente l’area risultante dalla demolizione per l’allargamento della strada.
4.2. Ora, non possibile stabilire se tale capo di motivazione del provvedimento sia legittimo, poiché lo stesso non ha costituto oggetto di ricorso; è però evidente che esso è autonomo, e, nel caso “che più motivazioni sorreggano autonomamente un provvedimento amministrativo, il venir meno di una non determina l’illegittimità dell’atto se un’altra giustificazione sia in via autonoma idonea a sorreggerlo” (C.d.S., V, 29 agosto 2006, n. 5039).
4.3. Il ricorso è in conclusione inammissibile per carenza d’interesse, dato che l’accoglimento delle censure proposte non comporterebbe l’annullamento del provvedimento impugnato.
4.4. Non v’è luogo a pronuncia sulle spese di lite, non essendosi l’Amministrazione costituita in giudizio.
P. Q. M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara inammissibile per difetto d’interesse.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella Camera di consiglio, addì 19 marzo 2009