Corte di Cassazione – Sezione lavoro
Sentenza del 21 aprile 2009, n. 9474
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Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato in data 4.12.2002, F. Giuseppe Maria conveniva dinanzi al Tribunale di Napoli la spa C. Center ed esponeva di avere lavorato per la convenuta quale aiuto medico specialista in geriatria dal febbraio 1981, con rapporto di lavoro a tempo parziale di trenta ore settimanali; nel contempo, rivestiva la carica di direttore sanitario del Centro F. srl., fino al 28.4.2002, circostanza questa nota alla C. Center. Dopo un periodo di malattia (4.7.2000 – 2.1.2001) aveva ripreso servizio, ma in data 23.4.2002 aveva dovuto nuovamente assentarsi per l’insorgenza di coxoartrosi post-necrotica: pendente un ciclo riabilitativo consigliato in attesa di intervento chirurgico, la società gli contestava alcuni illeciti disciplinari; ricevuta la lettera di giustificazioni, lo licenziava per giusta causa. Egli impugnava il licenziamento e chiedeva la reintegra, in una col risarcimento del danno per avere riportato una crisi ansioso-depressiva a causa di tale licenziamento.
2. Previa costituzione ed opposizione della C. Center spa, il Tribunale respingeva la domanda attrice. Proponeva appello l’attore e la Corte di Appello, previa costituzione della convenuta, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, ordinando la reintegra del F. e la corresponsione delle retribuzioni medio tempore maturate; non riconosceva invece l’ulteriore danno richiesto dall’attore. Questa, in sintesi, la motivazione della sentenza di appello:
– altro giudizio tra le parti, inerente al riconoscimento di mansioni superiori, non ha rilevanza nella presente controversia;
– irrilevante è pure la mancata affissione del codice disciplinare, dato che le mancanze addebitate (simulazione dello stato di malattia, avere ritardato la guarigione, avere svolto attività concorrenziale) costituiscono mancanze inerenti ad ogni rapporto di lavoro e non tipiche dell’attività svolta dal datore di lavoro;
– lo stato invalidante è accertato dal giudice di primo grado e sul punto la sentenza è passata in giudicato;
– il F. è stato visto mentre, perdurante la malattia, guidava una motocicletta, si recava al mare e quindi si portava presso il Centro F. per prestare ivi la propria attività;
– viene addebitato all’attore di avere, con tali comportamenti, ritardato la guarigione, ma di ciò non vi è prova; la terapia in acqua era consigliata, non risulta che la guida della motocicletta sia incompatibile col processo di guarigione;
– l’attività presso il Centro F. era nota alla C. Center; essendo il F. assunto a tempo parziale; egli avrebbe potuto richiedere autorizzazione al riguardo, ma nella specie tale autorizzazione non era necessaria in ragione della consapevolezza della C. Center, dell’ampia tolleranza al riguardo esercitata ed infine al fatto che, se del caso, doveva essere contestata la mancata richiesta dell’autorizzazione e non la prestazione in sé;
– gli ulteriori danni non erano ricollegabili con nesso causale al licenziamento.
3. Ha proposto ricorso per Cassazione la C. Center spa, deducendo tre motivi. Resiste con controricorso F. Francesco Maria. La ricorrente ha presentato memoria integrativa.
Motivi della decisione
4. Col primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 n. 3 CPC., degli artt. 2697, 2730, 2909 Codice Civile, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 n. 5 CPC: erroneamente la Corte di Appello ha ritenuto che si sia formato il giudicato interno sul punto inerente alla (insussistente) dimostrazione dello stato di malattia; infatti la parte convenuta, totalmente vittoriosa in primo grado, non aveva l’onere di proporre appello incidentale, ma poteva limitarsi a riproporre in appello la questione ritenuta assorbita. In ogni caso, l’attività ludica e non, espletata dall’attore durante la presunta malattia, doveva essere ritenuta idonea a dimostrare che il F. ben avrebbe potuto prestare il proprio lavoro anche presso la C. Center. Il fatto di avere guidato in più occasioni una moto di grossa cilindrata, di essersi recato al mare a prendere bagni; di avere guidato l’autovettura, di essersi recato presso il Centro F., doveva far ritenere sussistente, quanto meno, un’attività dell’attore in contrasto con gli obblighi di cura e riposo, in modo da non compromettere ulteriormente la guarigione.
5. Il motivo è fondato nei limiti di cui infra. Si premette che la parte totalmente vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale, ma può limitarsi a riproporre una questione che il giudice di primo grado abbia ritenuto “assorbita”. Nella specie, il Tribunale ha respinto la tesi della simulazione dello stato di malattia, ma l’ha superata addebitando al lavoratore un comportamento comunque illegittimo. La questione non è stata specificamente riproposta in appello, tanto è vero che la ricorrente richiamava genericamente tutte le deduzioni svolte in primo grado. Devesi pertanto ritenere che lo stato di malattia sia coperto da giudicato.
6. La Corte di Appello ha però ritenuto che i vari comportamenti ascritti al F. non fossero in contrasto coi doveri del dipendente durante il periodo di malattia. Ha perciò ritenuto che il fatto di avere guidato una motocicletta, nonostante la coxo-artrosi dell’anca, di avere preso bagni di mare e di avere comunque prestato una (limitata) attività presso il Centro F. non fossero idonei a compromettere l’interesse del datore di lavoro ad una pronta guarigione del lavoratore. Quanto affermato dalla Corte di Appello appare in contrasto coi principi più volte affermati da questa Corte di Cassazione in ordine ai doveri del lavoratore durante la malattia. Si veda al riguardo Cass. 7.6.1995 n. 6399: “Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolenta simulazione ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l’attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore.”.
7. Si veda ancora Cass. 1.7.2005 n. 14046: “Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una fraudolenta simulazione, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio, con conseguente irrilevanza della tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva riconosciuto legittimo il licenziamento di un dipendente che era stato sorpreso a lavorare con mansioni di carico e scarico merci e servizio ai tavoli nel circolo ricreativo gestito dalla moglie durante un periodo di assenza dal servizio per distorsione al ginocchio).
7. Applicando i suddetti principi alla fattispecie in esame si ha che l’espletamento di altra attività lavorativa ed extralavorativa da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idonea a violare i doveri contrattuali di correttezza e buonafede nell’adempimento dell’obbligazione, posto che il fatto di guidare una moto di grossa cilindrata, di recarsi in spiaggia e di prestare una seconda attività lavorativa sono di per sé indici di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltreché dimostrativi del fatto che lo stato di malattia non è assoluto e non impedisce comunque l’espletamento di una attività ludica o lavorativa.
8. Con il secondo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 n. 3 CPC., degli artt. 1362 ss. Codice Civile, 2105stesso codice in relazione agli artt. 14 e 30 del CCNL di settore; della Legge Regionale n. 377.1998 e vizio di motivazione: la Corte di Appello ha errato ritenendo che l’attività presso altro centro C.o fosse consentita, sulla base di una infondata interpretazione della norma contrattuale. La norma del CCNL, se intesa nel senso di autorizzare comunque un’attività in favore di terzi, è nulla per contrasto con l’art. 2105 citato; in ogni caso il F. doveva chiedere l’autorizzazione.
9. Il motivo è infondato. L’argomentazione secondo la quale la norma contrattuale sarebbe nulla per contrasto con norma imperativa è nuova ed inammissibile. In ogni caso, trattandosi di rapporto di lavoro part time, la prestazione di ulteriore attività part time presso altro centro medico non può essere ritenuta vietata tout court. Ma diversa è la ratio decidendi della Corte di Appello: muovendo dall’art. 30 del CCNL, essa ha ritenuto che non sussiste divieto di prestare la propria opera presso terzi in caso di lavoratori a tempo definito, essendo in tal caso sufficiente una richiesta di autorizzazione. Nella specie, come accerta la Corte di Appello, la C. Center era da tempo a conoscenza dell’ulteriore attività del F. – per circa dieci ore settimanali – e nulla aveva rilevato al proposito; circostanza questa tale da integrare gli estremi della tolleranza, ovvero da indurre a diversa e più tenue valutazione dell’infrazione nel giudizio di proporzionalità tra mancanza e sanzione. Il motivo si risolve quindi in una censura in fatto, inammissibile nel giudizio di legittimità, avendo la Corte di Appello giustificato il proprio convincimento sul punto con motivazione esauriente, immune da vizi logici o contraddizioni, talché essa si sottrae ad ogni censura in sede di legittimità
10. Col terzo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell’art. 360 n. 3 CPC, dell’art. 18 della Legge n. 300.1970 e vizio di motivazione, per avere la Corte di Appello condannato essa C. Center al versamento delle retribuzioni globali di fatto, senza tenere conto dell’aliunde perceptum in ragione del rapporto di lavoro presso il Centro F..
11. Il motivo è manifestamente infondato e va rigettato. Trattasi infatti di rapporto di lavoro part time, onde quanto percepito in conseguenza di una diversa attività lavorativa per un orario di lavoro ulteriore non costituisce aliunde perceptum rispetto all’orario praticato presso la C. Center. La ricorrente avrebbe dovuto allegare e dimostrare la sussistenza di una diversa fonte di guadagno, sostitutiva della retribuzione dovuta dalla convenuta.
12. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata limitatamente al primo motivo del ricorso, che viene accolto, ed il processo va rinviato alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, anche per le statuizioni circa le spese. Il principio di diritto è quello indicato al par. n. 7 che precede.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo e il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.