La Corte di Cassazione, nella sentenza 22 giugno 2009 n. 14537, stabilisce che gli immobili adibiti a campeggio non possono essere equiparati agli alberghi per quanto concerne la durata minima dei relativi contratti di locazione, atteso che, dal combinato disposto delle norme di cui agli artt. 2 L. 326/1968, 1 ss. L. 326/1958, 6 L. 217/1983 e succ. mod., 11 L. 135/2001, 1 ss. L. reg. lig. 11/1982, emerge con chiarezza il tratto distintivo dell’attività alberghiera rispetto a qualsiasi altra attività diretta a fornire ospitalità, consistente nell’offrire un alloggio all’ospite in una struttura propria (v. per tutte Cass. 22.6.2004 n. 11600).
Ne consegue che non può essere definita come attività alberghiera quella di colui che offre all’ospite una porzione di terreno attrezzato dove sistemare una tenda, un caravan o una roulotte, come avviene nei campeggi e nei parchi-vacanze.
La pacifica ricorrenza quale oggetto della locazione, di un terreno, agricolo, per la sosta-campeggio di roulottes toglie, quindi, pregio alla censura secondo la quale, nella specie, troverebbe applicazione la disciplina del contratto alberghiero, con le conseguenti ricadute in termini di rinnovo della locazione.
Emiliana Matrone
Cassazione civile, sez. III, sentenza 22.06.2009 n. 14537
Motivi della decisione
Si tratta di ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006.
Ai ricorsi proposti contro sentenze o provvedimenti pubblicati, una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I.
Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, n. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Il ricorso contiene quattro motivi.
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 27, 28, 29 e 19 l. 392/78, artt. 115 – 116 c.p.c., artt. 1414, 1415, 1417, 1418, 1419 c.c., art. 1 n. 9 septies D.L. 7 febbraio 1985 n. 12 convertito in legge 5 aprile 1985 n. 118, nonché motivazione insufficiente, superficiale e contraddittoria in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..
Il motivo è inammissibile.
Con il quesito posto in relazione a tale motivo la ricorrente censura la violazione di un numero svariato di norme di legge ed il difetto di motivazione.
Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, infatti, deve essere formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta.
Nella specie, il quesito posto, con il motivo in esame, pecca per la mancata individuazione del caso concreto – pur riferito nella illustrazione del motivo – in relazione al quale la Corte di merito avrebbe compiuto le violazioni addebitatele – in tal modo – con la sua genericità – non superando la declaratoria di inammissibilità (S.U. 5.1.2007 n. 36).
La Corte di legittimità, infatti, non è messa in grado di enunciare un corrispondente principio di diritto che dia risposta al caso sottoposto al suo esame (S.U. 30.10.2008 n. 26020; Cass. 25.3.2009 n. 7197).
Né come già detto, la illustrazione dei vizi può essere contenuta soltanto nel motivo che precede il quesito (S.U.11.3.2008 n. 6420; S.U. 26.3.2007 n. 7258; Cass. 7.11.2007 n. 23157).
In tal modo, infatti, verrebbe frustrata la ratio dell’art. 366 bis c.p.c..
Pur essendo assorbenti le precedenti considerazioni, anche a volere affrontare il merito del motivo, questo non sarebbe fondato.
A tal fine, deve premettersi che la locazione stagionale non può configurarsi, alla stregua del dato letterale della disposizione dell’art. 27, sesto comma, della legge n. 392 del 1978, come un rapporto unitario (che, perfezionatosi al momento dell’originaria stipulazione, ha durata identica a quella degli altri tipi di contratto concernenti immobili non abitativi previsti dallo stesso art. 27, restando sottoposto alla condizione risolutiva della mancata richiesta del conduttore) ma – per l’obbligo di locare posto a carico del locatore – realizza una serie di rapporti, distinti, anche se collegati, avendo il legislatore assunto come presupposto la normale scadenza del contratto al termine della stagione e la sua annuale rinnovabilità, “ad nutum” del conduttore, per un arco di tempo prestabilito nella misura massima.
Pertanto, costituisce regola di diritto conseguente che, alla scadenza stagionale, sorge l’obbligo per il conduttore di rilasciare il bene locato (Cass. 21.2.2006 n. 3684; Cass. 16.7.2003 n. 11148).
La locazione di immobile stagionale, d’altra parte, é caratterizzata dalla durata iniziale limitata al tempo in cui l’attività, che il conduttore può esercitare nell’immobile, é economicamente vantaggiosa e, quindi, dal collegamento funzionale del bene locato con l’esercizio di tale attività e dalla mancanza di interesse del conduttore alla utilizzazione del bene per il tempo residuo alla stagione, nonché dalla rinnovabilità del contratto, “ad nutum” del conduttore, per il medesimo periodo in cui ricorrono le dette condizioni, per un massimo di sei anni, con la facoltà del locatore di richiedere annualmente l’aggiornamento del canone (Cass. 21.3.2008 n. 7687).
Nella specie, la Corte di merito, con motivazione corretta, puntuale ed approfondita – sulla base delle risultanze preminentemente documentali – ha raggiunto la conclusione che ricorresse un’ipotesi di locazione stagionale.
E ciò ha desunto in primo luogo dal contenuto del contratto, sulla base del suo contesto letterale.
Inoltre della volontà, in tal senso manifestata dalle parti, ha ritenuto trovare – come si ricava dalla sentenza impugnata – ulteriore riprova nella lettera del 27.4.2003 della Green Paradise srl, non disconosciuta, indirizzata agli attuali resistenti, il cui testo ha riportato in sentenza; motivando, ancora, che “A confermare – in modo oggettivamente inoppugnabile – il rilievo sta la comunicazione inviata dalla Green Paradise srl ai Tancredi ed alla De Fina il 27.04.2003 con cui i destinatari venivano informati del cambiamento della denominazione della società. In essa, la parte mittente, dopo avere sottolineato il fatto che il contratto intercorrente tra le parti era di antica origine, dava atto che dall’1.05.1998 il rapporto era stato ridisciplinato per volontà congiunta”.
Da ultimo, ha ritenuto che ulteriori prove documentali deponessero nel senso della ricorrenza di una locazione stagionale; in particolare i precedenti contratti i quali prevedevano, a partire dal 1979, l’uso stagionale.
Di tutto ciò, e dell’iter logico seguito, – in tal modo superando la tesi della simulazione prospettata – la Corte di merito – cui spetta la valutazione delle risultanze probatorie – ha dato esaustiva motivazione, come tale non censurabile in questa sede (v. per tutte Cass. 7.1.2009 n. 42).
Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 28, 29 e 19 L. 392/78, artt. 115 – 116 cpc, nonché motivazione insufficiente, superficiale e contraddittoria in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c..
Il motivo è per un profilo inammissibile e per l’altro non fondato.
Con riferimento alle violazioni contestate, infatti, la ricorrente non enuncia il o i prescritti quesiti di diritto da sottoporre alla Corte di legittimità.
Con riferimento, poi, al vizio di motivazione, la ricorrente sostanzialmente censura, sotto altro profilo – con riferimento cioè al materiale probatorio – le stesse argomentazioni che hanno costituito oggetto del precedente motivo, sulla cui base la Corte di merito ha ritenuto che ricorresse un’ipotesi di locazione stagionale, con le conseguenti ricadute in termini di rinnovo del rapporto locatizio.
Ma così facendo, da un lato ha introdotto una censura di vizio di motivazione relativa alla raccolta delle risultanze probatorie, il cui ulteriore esame non è consentito in questa sede a fronte di una corretta motivazione; dall’altro, ha richiesto una nuova valutazione dello stesso materiale probatorio già esaminato dalla Corte di merito – cui tale esame compete – inammissibile in questa sede (Cass. 26.1.2007 n., 1754; Cass. 20.4.2006 n. 9233; Cass. 22.2.2006 n. 3881).
Le censure proposte – inoltre – peccano anche di genericità, facendo riferimento a presunte “lacune argomentative” ed ad una “scarna motivazione” delle quali, però, non fornisce supporto con censure specifiche.
Peraltro, la puntuale e diffusa motivazione resa dalla Corte di merito non è attaccabile per la sua ampiezza e precisione.
La Corte, infatti, dopo avere esaminato le risultanze probatorie, fra le quali le prove orali e gli elementi desumibili dalla c.t.u. le quali non sono state considerate prevalenti, ha attribuito valore determinante alla comunicazione del 27.4.2003 così motivando sul punto “In effetti, tale comunicazione fornisce la prova compiuta ed affidante della effettività del rilascio annuale – al 15 ottobre di ciascun anno del periodo intercorso fra il 1998 ed il 2002 – dell’oggetto della locazione dalla società conduttrice alla locatrice e, dunque, comporta la conferma ermeneutica, anche alla stregua della valutazione del comportamento delle parti successivo alla stipulazione del contratto del, peraltro chiaro, contenuto negoziale, estrinsecante la volontà delle parti di concludere un contratto di locazione stagionale, come tale disciplinato dall’art. 27, sesto comma, L. n. 392/1978”.
Concludendo “Però, nel caso di specie, la linearità della fattispecie negoziale concordata tra le parti e la constatazione che il relativo contenuto, nel suo tratto tipizzante, è stato asseverato come effettivo in tempo non sospetto dalla stessa Green Paradise srl integrano dati probatori che smentiscono la tesi della intervenuta”.
Di fronte alla perentorietà delle risultanze documentali, la Corte di merito ha ritenuto, correttamente motivando, di svalutare quelle testimoniali e gli elementi desumibili dalla c.t.u.; ciò che rientra nel suo potere.
Né alcun rilievo presenta il mancato ricorso alle presunzioni – censurato dalla ricorrente – al fine di provare il supposto accordo simulatorio.
In primis, deve rilevarsi che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità.
In secondo luogo, va sottolineato che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, dovendosi escludere che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (v. anche Cass. 2.4.2009 n. 8023); ciò che nella specie manca.
Peraltro, la Corte di merito, di fronte all’evidenza delle risultanze documentali citate, ha correttamente ritenuto di non dovere introdurre nel thema probandum il ricorso al ragionamento presuntivo (v. anche Cass. 26.11.2008 n. 28224).
Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 28, 29 e 19 e 80 l. 392/18, artt. 1417 – 1419 c.c. nonché motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Anche questo motivo è per più profili inammissibile e, peraltro, non fondato.
Il motivo ripercorre le medesime questioni in tema di stagionalità già trattate con l’esame dei precedenti motivi; ed alle quali, pertanto, si rinvia.
Il motivo è, anche, inammissibile sotto il profilo della violazione contestata con riferimento all’art. 80 l. n. 392 del 1978, prospettando, in questa sede, una questione nuova, non ricompresa nel thema decidendum del giudizio di appello; e ciò perché non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, né rilevabili d’ufficio (v. anche Cass.30.3.2007 n. 7981).
È inoltre inammissibile, sempre sotto il profilo delle violazioni contestate, perché il quesito, anche in questo caso pecca di genericità, difettando il collegamento con il caso concreto.
Valgono, al riguardo, le medesime osservazioni evidenziate nell’esame del primo motivo di ricorso.
Comunque, anche a volere superare il rilievo di inammissibilità, il motivo non sarebbe neanche fondato; né l’eventuale applicabilità del citato art. 80 della legge n. 392 del 1978 condurrebbe al risultato sperato dalla ricorrente.
Infatti, il principio desumibile dall’art. 80 della legge n. 392 del 1978, secondo il quale, in caso di difformità fra uso convenuto ed uso effettivo, il regime giuridico del contratto si adegua all’uso che il conduttore ne ha fatto in concreto, trova applicazione anche nel caso in cui produca effetti più sfavorevoli per il conduttore (v. anche Cass.2.9.1998 n. 8716; Cass. 17.1.2007 n. 969).
Nella specie, una volta accertata la natura stagionale della locazione in esame, al conduttore sarebbe applicabile proprio la disciplina di cui all’art. 27, sesto comma L. n. 392 del 1978, effettivamente praticata.
Pertanto, sulla base della norma richiamata dell’art. 80, il regime applicabile sarebbe proprio quello della locazione stagionale, anche nell’ipotesi di altro regime più favorevole per lo stesso conduttore.
Con il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, 28, 29 l. 392/78 nonché motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
Il motivo è inammissibile e, comunque, non fondato.
Valgono anche in questo caso, le medesime osservazioni in ordine all’inammissibilità del motivo per la genericità del quesito, come posto, che hanno caratterizzato l’esame dei precedenti motivi.
Peraltro, anche nell’ipotesi in cui si superasse tale rilievo il motivo dovrebbe ritenersi privo di consistenza.
Infatti, è principio consolidato che gli immobili adibiti a campeggio non possono essere equiparati agli alberghi per quanto concerne la durata minima dei relativi contratti di locazione, atteso che, dal combinato disposto delle norme di cui agli artt. 2 L. 326/1968, 1 ss. L. 326/1958, 6 L. 217/1983 e succ. mod., 11 L. 135/2001, 1 ss. L. reg. lig. 11/1982, emerge con chiarezza il tratto distintivo dell’attività alberghiera rispetto a qualsiasi altra attività diretta a fornire ospitalità, consistente nell’offrire un alloggio all’ospite in una struttura propria (v. per tutte Cass. 22.6.2004 n. 11600).
Ne consegue che non può essere definita come attività alberghiera quella di colui che offre all’ospite una porzione di terreno attrezzato dove sistemare una tenda, un caravan o una roulotte, come avviene nei campeggi e nei parchi-vacanze.
La pacifica ricorrenza quale oggetto della locazione, di un terreno, agricolo, per la sosta-campeggio di roulottes toglie, quindi, pregio alla censura secondo la quale, nella specie, troverebbe applicazione la disciplina del contratto alberghiero, con le conseguenti ricadute in termini di rinnovo della locazione.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 2.600,00, di cui 2.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
fonte: ricercagiuridica.com