Il Tribunale Amministrativo Regionale – CAMPANIA – Napoli, Sezione 2, con la Sentenza del 02.12.2009 n. 8326, afferma chel’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, nell’imporre la distanza di dieci metri tra costruzioni, rende illegittima ogni eventuale previsione regolamentare in contrasto con l’anzidetto limite minimo, mentre è indubbiamente consentito alle amministrazioni comunali fissare distanze superiori.
L’art. 9 del Decreto ministeriale 02.04.1968, n. 1444, prevede che :
“Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee vengono stabilite come segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.
Le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”.
Tali disposizioni, dunque, risultanti da fonte normativa statuale, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanisici locali, sono tassativi ed inderogabili.
I medesimi giudici amministrativi, per altro verso, osservano che, ai fini dell’applicazione della normativa in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione deve intendersi non solo la realizzazione ex novo d’un fabbricato ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria d’un fabbricato preesistente, che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, in tal guisa direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti, e ciò anche indipendentemente dalla realizzazione o meno d’una maggior volumetria e/o dall’utilizzabilità della stessa a fini abitativi; per il che la sopraelevazione costituisce, a tutti gli effetti, nuova costruzione.
Infine, la sentenza del Tar Napoli in esame ribadisce che, ai fini dell’osservanza delle disposizioni in materia di distanze fra immobili, non rileva l’eventuale carattere abusivo dei fabbricati preesistenti. Le disposizioni sulle distanze tra le costruzioni sono infatti preordinate non solo alla tutela degli interessi dei frontisti ma, in una più ampia visione, anche alla salvaguardia di esigenze generali, tra cui la salubrità e la sicurezza pubblica. Pertanto, l’interesse pubblico primario tutelato dalle norme urbanistiche sulle distanze impone di prendere in considerazione la situazione di fatto quale si presenta in concreto in sede di rilascio di un nuovo titolo edilizio, a nulla rilevando che taluno dei fabbricati preesistenti, in relazione al quale va calcolata la distanza, sia abusivo, ferma restando l’attività repressiva rimessa allo stesso ente.