Il Giudice di Pace di Genova, con ordinanza del 12 novembre 2010, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 204-bis, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 39, comma 1, lettera a), della legge 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale), nella parte in cui non prevede, per la costituzione in giudizio dei soggetti legittimati passivi indicati nel successivo art. 4-bis, un termine minimo che dovrebbe necessariamente intercorrere tra la data di notifica del ricorso e quella fissata per l’udienza di comparizione delle parti.
Invero, l’art. 39, comma 1, lettera a), della legge n. 120 del 2010 ha novellato l’art. 204-bis del d.lgs. n. 285 del 1992, modificando il comma 3 nel senso che segue: «Il ricorso ed il decreto con cui il giudice fissa l’udienza di comparizione sono notificati, a cura della Cancelleria, all’opponente o, nel caso in cui sia stato indicato, al suo procuratore, e ai soggetti di cui al comma 4-bis» ed ha introdotto il comma 3-bis, il quale così prescrive: «tra il giorno della notificazione e l’udienza di comparizione devono intercorrere termini liberi non maggiori di trenta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia, o di sessanta giorni, se si trova all’estero. Se il ricorso contiene l’istanza di sospensione del provvedimento impugnato, l’udienza di comparizione deve essere fissata dal giudice entro venti giorni dal deposito dello stesso».
A parere del rimettente, la mancata previsione di un termine minimo per la costituzione in giudizio dei soggetti legittimati passivi, tra la data di notificazione del ricorso e quella dell’udienza di comparizione delle parti, indicati nel successivo art. 4-bis, incide su interessi di rango costituzionale;
Risulterebbe violato, in primo luogo, il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. perché la parte resistente potrebbe vedersi notificare il ricorso lo stesso giorno dell’udienza ovvero solo pochi giorni prima senza avere il tempo necessario per svolgere un’adeguata difesa consistente nell’esaminare i motivi del ricorso, predisporre scritti difensivi, indicare fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire a confutare gli argomenti del ricorrente.
Secondo il rimettente, la norma censurata violerebbe anche il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., determinando una palese disparità di trattamento tra il ricorrente, al quale, ai sensi dell’art. 204-bis, comma 1, è riconosciuto il termine di sessanta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione per proporre ricorso in opposizione e la parte opposta che potrebbe vedere ridotto ad un solo giorno il termine per costituirsi in giudizio.
La norma censurata opererebbe una ingiustificata discriminazione tra ricorrente in opposizione e parte opposta, ponendosi in contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost. il quale prevede che ogni processo deve svolgersi nel contraddittorio delle parti in condizioni di parità.
La Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 05/2012, ha dichiarato la questione de qua manifestamente inammissibile perché il Giudice di Pace rimettente, pur affermando di ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, non ha sospeso il processo e ne ha disposto la prosecuzione con la seguente motivazione: «atteso che il giudizio può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di costituzionalità».
Sul punto, i Giudici Constituzionali argomentano come segue:
– che l’art. 23 della legge n. 87 del 1953 dispone che l’autorità giurisdizionale, «qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale […] dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte e sospende il giudizio in corso»;
– che, nel caso di specie, si concretizza una duplice violazione del citato art. 23 perché il Giudice di pace solleva una questione dalla quale, come lui stesso afferma, non dipende la definizione del giudizio e, al contempo, non sospende il processo;
– che la Corte Costituzionale ha più volte affermato che «l’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, nel prevedere che la questione di legittimità ostituzionale può essere “rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio”, non ha conferito al giudice la facoltà di sollevare una questione di legittimità costituzionale dalla cui risoluzione non dipenda la decisione del giudizio di cui è investito» e che «l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nel richiedere il requisito della rilevanza, si uniforma alla predetta norma costituzionale» (ordinanze n. 130 del 1998, n. 225 del 1982 e n. 130 del 1971);
– che, pertanto, la questione è manifestamente inammissibile.
Avv. Emiliana Matrone