La separazione giudiziale può essere richiesta da uno dei coniugi, quando si verifichino fatti o situazioni tali, da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla prole.
La legge non indica, però, che cosa debba intendersi per intollerabilità. Tuttavia, l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza deve essere considerata oggettivamente, non avendo alcuna rilevanza l’intollerabilità soggettiva, con riguardo, cioè, alla persona del coniuge che la lamenta.
La separazione giudiziale , in passato, poteva essere domandata soltanto dal coniuge incolpevole, per i fatti imputabili a titolo di colpa all’atro coniuge. Ora il ricorso diretto ad ottenere la separazione può essere inoltrato da ciascun coniuge.
Il coniuge che propone la domanda di separazione o il coniuge convenuto, in riconvenzionale, può chiedere al Giudice che sia accertato nella controparte il comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio e che la separazione le sia addebitata per tale comportamento.
Nonostante le innumerevoli incertezze circa i fatti e gli episodi che in concreto costituiscono un comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, la giurisprudenza è ferma nell’affermare che il comportamento contrario deve essere cosciente e volontario, perché possa costituire addebito della separazione, anche se non è necessario l’animus iniurandi, l’intento di ingiuriare il coniuge (Cass. 19 giugno 1980, n. 3900).
In proposito, la Cassazione soggiunge che di fronte ad una grave ed irreversibile malattia psichica che abbia reso intollerabile la prosecuzione della convivenza, l’altro coniuge può chiedere la separazione giudiziale.
Allo stesso tempo, però, la Corte si preoccupa di riconoscere e garantire tutela al coniuge “sano”, al quale non potrà essere addebitata la separazione per violazione dell’obbligo di assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge malato psichicamente.
Ecco che, nella Sentenza del 20 dicembre 1995 n. 13021, si osserva che ”il grave stato di infermità di uno dei coniugi, perdurante nel tempo e non reversibile, può costituire, per le modalità in cui si manifesti e per le implicazioni nella vita degli altri componenti il nucleo familiare, specialmente se investa la sfera psichica della persona precludendo ogni possibilità di comunicazione o di intesa, un elemento di così grave alterazione dell’equilibrio coniugale, da determinare di per sè stesso un’oggettiva impossibilità di prosecuzione della convivenza”.
Nella medesima pronuncia si precisa che “ove l’altro coniuge non adempia ai doveri di assistenza morale e materiale, ai fini della eventuale pronuncia di addebito, la violazione di tale dovere non può essere riguardata di per sè stessa, ma occorre invece accertare in concreto – con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto ed alla successione temporale degli avvenimenti – se la condotta del coniuge rifletta un atteggiamento di mero rifiuto dell’impegno solidaristico assunto con il matrimonio, o non costituisca piuttosto una presa d’atto di una non superabile e già maturata situazione di impossibilità della convivenza”.