Principio generale del regime internazionale della navigazione è che ogni nave è sottoposta esclusivamente al potere dello Stato di cui ha la nazionalità, il cd. Stato della bandiera.
In tempi più remoti, si sosteneva che la stessa nave doveva essere considerata come parte del territorio dello Stato (territorie flottant).
L’art. 92, paragrafo 1, della UNCLOS, sancisce che “le navi navigano sotto la bandiera di un solo Stato e sono sottoposte in alto mare, salvo i casi eccezionali espressamente previsti da trattati internazionali o dalle regole della presente Convenzione, alla sua giurisdizione esclusiva”.
Lo Stato nazionale esercita tale potere di governo attraverso il comandante della nave, che è da considerare, dal punto di vista del diritto internazionale, come organo dello Stato, dotato, pertanto, di poteri coercitivi limitatamente agli eventi che si verificano in navigazione.
Tutti gli Stati, anche quelli che non si affacciano sul mare, hanno il diritto di far navigare natanti che battono la propria bandiera.
All’art. 94, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare prescrive una serie di obblighi a carico dello Stato di bandiera, consistenti nella tenuta di un registro marittimo, ove raccogliere i dati relativi alle navi nazionali, e nell’adozione di tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza della navigazione.
La nazionalità della nave è, dunque, essenziale per individuare la disciplina ad essa applicabile e lo status che la caratterizza, evidenziando tale qualificazione sia l’appartenenza ad un determinato ordinamento giuridico e sia l’ambito di applicazione di quest’ultimo.
Si tratta, infatti, di una rappresentazione del rapporto che esiste tra Stato e nave.
La nazionalità costituisce il presupposto imprescindibile in presenza del quale il diritto internazionale attribuisce allo Stato che ha autorizzato una nave a battere la propria bandiera il diritto di pretendere che gli altri Stati si astengano dall’interferire con l’attività della medesima, soprattutto quando essa di trovi in spazi marittimi non sottoposti alla sovranità di alcuno Stato.
In questo senso, la nazionalità della nave rappresenta la condizione necessaria per lo stesso godimento da parte degli Stati della libertà dei mari e da parte delle navi della libertà di navigazione.
Normalmente ogni Stato è libero di concedere la propria nazionalità ad una nave. Ma la Convenzione aggiunge che deve esistere un legame sostanziale tra lo Stato e la nave ed il primo deve esercitare effettivamente la sua potestà di governo ed il suo controllo in campo amministrativo, tecnico e sociale sulla seconda.
Le norme sul legame sostanziale intendono limitare il fenomeno delle cd. “bandiere ombra” ossia dalle bandiere attribuite da uno stato senza che esista un effettivo legame tra di esso e una determinata nave.
Negli ultimi anni la pratica delle bandiere ombra ha assunto dimensioni sempre più vaste per realizzare diverse finalità, quali l’evasione fiscale, l’evasione delle norme sul lavoro marittimo, l’aggiramento delle norme sulla pesca, sulla sicurezza della navigazione e sulla protezione dell’ambiente.
Il Tribunale Internazionale per il diritto del mare ha affrontato, in due occasioni, la questione della nazionalità di una nave in circostanze per le quali si poteva dubitare dell’esistenza del legame sostanziale.
Con la Sentenza resa in data 1 luglio 1999, sul caso Saiga (Saint Vincent e Grenadines contro Guinea), il Tribunale del diritto del mare ha concluso nel senso che non si poteva disconoscere il diritto della nave Saiga di battere la bandiera di Saint Vincent e Grenadines. Nel caso concreto, si trattava di una nave di proprietà di una società cipriota, gestita da una società britannica, noleggiata da una società svizzera, che svolgeva servizio di rifornimento a pescherecci di carburante in mare. Il sospetto che la Saiga fosse priva di nazionalità derivava dal fatto che il natante, al momento del suo abbordaggio da parte di un’unità navale della Guinea, fosse titolare di un certificato provvisorio di immatricolazione nei registri di Saint Vincent e Grenadines scaduto da oltre un mese e, poi, sostituito da un certificato permanente soltanto alcuni mesi dopo.
Il Tribunale, invece, ha ritenuto che il fatto che Saint Vincent e Grenadines si fosse comportato come se la nave avesse sempre mantenuto la sua nazionalità costituisse un elemento idoneo insieme ad altri di minore importanza a determinare la nazionalità della nave.
Un diverso orientamento dello stesso Tribunale sembra emergere con la sentenza del 20 aprile 2001, sul caso Grand Prince (Belize contro Francia). Nell’occasione, il Tribunale ha escluso l’esistenza della propria giurisdizione in un procedimento intentato dal Belize a tutela di un peschereccio di incerta proprietà, condotto da un equipaggio di trentasette cittadini spagnoli, che al momento della domanda si avvaleva di una immatricolazione provvisoria scaduta da oltre due mesi. In questo caso, il Tribunale non ha dato rilievo al fatto che il Belize dichiarasse che di fatto la nave era ancora investita della propria nazionalità sulla base di motivi non molto chiari.
La nave priva di nazionalità (stateless) non gode della protezione di alcuno Stato ed è soggetta alla giurisdizione di tutti gli Stati. All’uopo, essa può esser oggetto di visite di controllo da parte delle navi di qualsiasi Stato.
Alla nave priva di nazionalità è assimilata la nave avente la bandiera di due o più Stati di cui faccia uso a seconda della convenienza (bandiere di convenienza o flag of convenience).
In genere, sono indizi della mancanza di nazionalità: la documentazione di bordo carente o contraddittoria; il cambio di bandiera (reflagging) attuato in corso di navigazione; l’esistenza di differenti scritte (nome della nave e porto di iscrizione) asportabili;
la mancanza di un comandante responsabile o di segni di identificazione (nome e bandiera).