L’Amministratore del condominio convenuto in una causa è autonomamente legittimato a resistere in giudizio per il condominio o ad impugnare la sentenza a questo sfavorevole, senza previa autorizzazione a tanto dell’assemblea dei condomini (Cass. 8309/2015).
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario, nella rappresentanza attiva, i poteri dell’amministratore coincidono con i limiti delle sue attribuzioni; invece, nelle liti c.d. passive, cioè quelle in cui il condominio è convenuto in una causa, la rappresentanza dell’amministratore è a spettro totale non inoltrando alcun limite, con conseguente esclusione, per resistere in giudizio e per proporre le impugnazioni, della necessità di alcuna autorizzazione dell’assemblea, verso la quale vi è il solo obbligo di informativa dell’esistenza del procedimento contro il condomino, informativa avente, tuttavia, rilevanza puramente interna, senza incidere sui poteri di rappresentanza processuale dell’amministratore (Cass., II, 22886/2010; Cass., II, 8286/2005; Cass. II, 7958/2003; Cass., II, 3773/2005; Cass., II, 1337/1983; Cass., II, 5698/1979).
In altre parole, i sostenitori del summenzionato orientamento maggioritario attraverso un’interpretazione ampia dell’art. 1131, co 2, cc affermano che l’amministratore è deputato ex lege, non solo a ricevere l’atto di citazione, ma anche a costituirsi tempestivamente e a proporre validamente tutte le eventuali impugnazioni, senza la necessità di alcuna preventiva deliberazione autorizzativa, limitatamente alle azioni concernenti le parti comuni dell’edificio promosse nei confronti del condominio, con il solo onere di darne senza indugio notizia all’assemblea.
Secondo un differente indirizzo minoritario, invece, l’assemblea è l’unico soggetto deputato a nominare il difensore per resistere in giudizio (Cass., II, 22294/2004).
Detto contrasto giurisprudenziale veniva risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione, con la Sentenza 18331/2010, stabilendo che l’amministratore di condominio, nelle situazioni litigiose su questioni esulanti dalle sue attribuzioni, ai sensi dell’art. 1131, co II e II, cc, può costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma deve, in tale ipotesi, ottenerne la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea stessa, per evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione.
Con la medesima sentenza, le SS. UU. soggiungevano che l’amministratore del condominio convenuto, qualora si sia costituito in giudizio o abbia proposto l’impugnazione senza la detta autorizzazione, il suo operato deve essere sanato con efficacia ex tunc dalla ratifica dell’assemblea, per rendere possibile la quale deve essere assegnato all’amministratore, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., un termine per provvedere.
Se, dunque, la fattispecie rientra tra i casi in cui l’amministratore, nell’esercizio dei suoi poteri di rappresentanza processuale ad agire e a resistere, non ha bisogno di alcuna autorizzazione dell’assemblea, senza compromettere l’ammissibilità della costituzione in giudizio, cosa che peraltro è perfettamente rispondente alla ratio della recente riforma condominiale (Legge 11 dicembre 2012, n. 220) che ha ampliato la sfera delle competenze e delle responsabilità dell’amministratore stesso.