La Corte di Cassazione, con le pronunce 11.12.2001, n. 15617 e 03.08.2001, n. 10750, ha affermato che l’infortunio occorso al lavoratore durante il normale percorso di andata e di ritorno dal luogo di lavoro sia indennizzabile anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato purchè necessitato.
Sul punto, la Suprema Corte, nella pronuncia 17 gennaio 2007 n° 997, soggiunge che l’utilizzo del mezzo proprio, in presenza di un servizio di mezzi pubblici che non comporti un ritardo “abnorme” rispetto all’orario di lavoro, non è giustifcato quando l’utilizzo del proprio automezzo si configuri quale comodità personale.
In particolare, si osserva che “in una siffatta situazione non era consentito ritenere che l’uso del mezzo proprio fosse necessitato dall’assenza dei mezzi pubblici di trasporto utili o dall’abnorme aumento dei tempi di percorrenza che il ricorso a questi ultimi avrebbe imposto. Il risparmio del tempo si configurava come una mera comodità personale, per cui ne conseguiva l’infondatezza della domanda attrice perché solamente differenze di orari di percorrenza, che assumano una significativa rilevanza, possono giustificare l’indennizzabilità di sinistri, nei quali l’assicurato rimane vittima, mentre è alla guida del proprio autoveicolo”.
Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 17.1.2007 n° 997
Corte di cassazione
Sezione lavoro
Sentenza 17 gennaio 2007, n. 995
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 9 gennaio 2004, A.M.D. proponeva appello avverso la sentenza con la quale era tata respinta la sua domanda diretta ad ottenere la condanna dell’Inail alla corresponsione della rendita per infortunio sul lavoro.
Costituitosi il contraddittorio, la Corte d’appello di L’Aquila rigettava l’appello e dichiarava irripetibili le spese. Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale osservava che, come aveva dichiarato la stessa assicurata, il tempo di percorrenza del tragitto che separava il suo posto di lavoro dalla sua abitazione era pari a 20 minuti utilizzando il mezzo proprio ed ad un’ora facendo ricorso ai mezzi pubblici, con una differenza per i due distinti tragitti pari a 40 minuti. In una siffatta situazione non era consentito ritenere che l’uso del mezzo proprio fosse necessitato dall’assenza dei mezzi pubblici di trasporto utili o dall’abnorme aumento dei tempi di percorrenza che il ricorso a questi ultimi avrebbe imposto. Il risparmio del tempo si configurava come una mera comodità personale, per cui ne conseguiva l’infondatezza della domanda attrice perché solamente differenze di orari di percorrenza, che assumano una significativa rilevanza, possono giustificare l’indennizzabilità di sinistri, nei quali l’assicurato rimane vittima, mentre è alla guida del proprio autoveicolo.
Avverso tale sentenza A.M.D. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso l’Inail.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i due motivi di ricorso l’assicurata denunzia violazione e falsa applicazione del d.P.R. 1124/1965 e dell’art. 12 del d.lgs. 38/2000 nonché vizio di motivazione dell’impugnata sentenza.
Più specificamente l’assicurata lamenta che il giudice d’appello non ha tenuto conto che l’utilizzazione dei mezzi pubblici – per l’orario in cui doveva ogni giorno intraprendere il lavoro (ore 6.50 del mattino) e per la lunghezza del tragitto da percorrere – risultava incompatibile con le proprie esigenze familiari, importando per essa ricorrente numerosi e gravi disagi. Per di più gli stessi giudici avevano trascurato di considerare anche che la malattia pregressa all’infortunio da cui era afflitta rendeva ancora più inconciliabile l’uso dei mezzi pubblici con le sue esigenze familiari.
Il ricorso è infondato e, pertanto, va rigettato.
Questa Corte ha affermato che in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ai fini della indennizzabilità dell’infortunio in itinere, anche in caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, deve aversi riguardo ai criteri che individuano la legittimità o meno dell’uso del mezzo in questione secondo lo standard comportamentale esistente nella società civile e rispondente ad esigenze tutelate dall’ordinamento, quali un più intenso legame con la comunità familiare ed un rapporto con l’attività lavorativa diretto ad una maggiore efficienza delle prestazioni non in contrasto con una riduzione del conflitto fra lavoro e tempo libero (cfr. in tali sensi Cass. 10750/2001); ed ha più volte ribadito, sempre in tema di infortunio in itinere, che l’indennizzabilità di detti infortuni è condizionata, in caso di uso di mezzo proprio, all’esistenza della necessità, per l’assenza di soluzioni alternative, di detto uso, tenuto conto che il mezzo di trasporto pubblico rappresenta lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio della strada (cfr. al riguardo: Cass. 19940/2004; 7717/2004).
Orbene, questa Corte – confermando la sentenza del giudice d’appello che aveva rigettato la richiesta di una lavoratrice a part-time del riconoscimento dell’infortunio in itinere fondata su esigenze familiari – ha statuito che allorquando il lavoratore utilizzi il mezzo di trasporto privato, non possono farsi rientrare nel rischio coperto dalle garanzie previste dalla normativa sugli infortuni sul lavoro situazioni che, senza rivestire carattere di necessità – perché volte a conciliare in un’ottica di bilanciamento di interessi le esigenze del lavoro con quelle familiari proprie del lavoratore – rispondano, invece, ad aspettative che, seppure legittime per accreditare condotte di vita quotidiana improntate a maggiore comodità o a minori disagi, non assumano uno spessore sociale tale da giustificare un intervento a carattere solidaristico a carico della collettività (cfr. in tali precisi termini, Cass. 17167/2006).
L’indicato indirizzo giurisprudenziale nel parametrare il riconoscimento dell’infortunio sul criterio del bilanciamento degli interessi – con una valutazione che, devoluta al giudice di merito, si presenta insuscettibile di ricorso in sede di legittimità se sorretta da motivazione congrua – rispetta la ratio dell’art. 38 Cost. Ed invero, stante l’esigenza di conciliabilità del bilancio con i compiti di tutela sociale dello Stato, non può gravarsi la collettività di spese ricollegabili a cause comportamentali che, non improntate alla necessaria prudenza, non siano funzionalizzate a ridurre – attraverso la percorrenza di itinerari più brevi e sicuri, la utilizzabilità di mezzi di trasporto di maggiore affidabilità e la praticabilità delle più opportune ed adeguate cautele – i margini di rischio che il lavoratore incontra nel percorso (di andata e ritorno) dal luogo di abitazione a quello di lavoro.
Alla stregua delle argomentazioni sinora svolte non merita alcuna censura la sentenza impugnata per avere la stessa evidenziato come nel caso di specie – in presenza di mezzi di trasporto pubblici utili – il risparmio di quaranta minuti che il lavoratore conseguiva con l’uso del mezzo proprio configurasse, come si è detto, una “mera comodità personale, trattandosi di differenza di tempo di entità modesta e sicuramente tollerabile”.
Per concludere, il ricorso va rigettato.
In ragione della natura della controversia nessuna statuizione può essere emessa sulle spese del presente giudizio di cassazione (art. 152 disp. att. c.p.c.).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese del presente giudizio di cassazione.