In materia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale di Torre Annunziata, riunito in camera di Consiglio nelle persone del Presidente Marianna Lopiano, del Giudice relatore Francesco Coppola e del Giudice Angelo Scarpati, con la Sentenza n. 1939 del 20.09.2021 e pubblicata il 06.10.2021, illustra con inedita chiarezza i principi giurisprudenziali relativi all’assegno di divorzio che – come è noto – hanno registrato di recente un significativo cambio di rotta. La suddetta pronuncia risulta particolarmente interessante anche perchè offre un approfondimento puntuale sulla questione relativa al riconoscimento dell’assegno post-matrimoniale in caso di formazione di una nuova famiglia di fatto.
Secondo la consolidata giurisprudenza, seguita ampiamente dallo stesso Tribunale di Torre Annunziata, l’accertamento del diritto all’assegno divorzile (di carattere esclusivamente assistenziale) andava effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente (comprensivi di redditi, cespiti matrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre) a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, in base al criterio, secondo cui, mentre non è necessario uno stato di bisogno dell’avente diritto (il quale può essere anche economicamente autosufficiente), rileva invece l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche (cfr. Cass. 4021/2006).
In base al precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità, i “mezzi adeguati”, cui si riferisce l’art. 5, comma 6, della Legge 898 del 1970, coincidevano con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (cfr. Cass. 11021/2003).
Ciò comportava che la verifica della inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente si effettuava raffrontandoli ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. Ecco che il tenore di vita precedente doveva desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi ovvero dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali (cfr. Cass. 11686/2013).
Insomma, quello che rilevava non era l’esistenza di uno stato di bisogno, ma la verifica della sussistenza, in conseguenza della cessazione del vincolo e della convivenza matrimoniale, di un apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche, le quali dovevano essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio tra i coniugi (cfr. Cass. 4764/2007; Cass. 10210/2005; Cass. 4021/2006).
Di recente, la Suprema Corte di Cassazione, dapprima con la pronuncia n. 11504/2017 e successivamente con la sentenza a Sezioni Unite n. 18287/2018, ha determinato una significativa inversione di tendenza.
Il Tribunale di Torre Annunziata in sentenza ricorda che, con la prima delle indicate pronunce, se il diritto all’assegno di divorzio deve essere riconosciuto alla “persona” dell’ex coniuge nella fase dell’an debeatur, l’entità del predetto assegno va poi “determinato” esclusivamente nella successiva fase del quantum debeatur, non già “in ragione” del rapporto matrimoniale, ormai definitivamente estinto, bensì “in considerazione” del periodo più o meno lungo della vita in comune (la c.d. «comunione spirituale e materiale» degli ex coniugi).
In forza di tali innovativi presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile, appare evidente come in presenza di «mezzi adeguati» dell’ex coniuge richiedente o delle effettive possibilità «di procurarseli» – vale a dire della “indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso – e, dunque, in assenza di ragioni di «solidarietà economica», l’eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in una locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della “mera preesistenza” di un rapporto matrimoniale ormai estinto, peraltro di durata tendenzialmente sine die: il discrimine tra «solidarietà economica» ed illegittima locupletazione sta, perciò, proprio nel giudizio sull’esistenza, o no, delle condizioni del diritto all’assegno, nella fase dell’an debeatur.
L’utilizzo del parametro del «tenore di vita» inducendo inevitabilmente – ma inammissibilmente – ad una indebita commistione tra la fase dell’accertamento dell’an debeatur e quella, solo successiva ed eventuale, del quantum debeatur, non può essere utilizzato non essendo un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale: l’interesse tutelato con l’attribuzione dell’assegno divorzile non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento della indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione – esclusivamente – assistenziale dell’assegno divorzile.
La rigida interpretazione fornita dall’innovativa pronuncia del 2017 è stata mitigata dalla Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18287/2018, secondo la quale il fondamento dell’attribuzione dell’assegno divorzile è la mancanza di autosufficienza economica dell’avente diritto. In pratica le Sezioni Unite hanno precisato che all’assegno di divorzio deve attribuirsi una funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa.
La sentenza afferma che il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale.
Per le Sezioni Unite la valutazione svolta nella sentenza n. 11504/2017 è rilevante ma incompleta, in quanto non radicata sui fattori oggettivi e interelazionali che determinano la condizione complessiva degli ex coniugi dopo lo scioglimento del vincolo: nella sentenza del 2017 lo scioglimento del vincolo coniugale, comporta una netta soluzione di continuità tra la fase di vita successiva e quella anteriore, con la conseguenza che l’autodeterminazione e l’autoresponsabilità costituiscono la giustificazione di questa radicale cesura e vengono assunti come principi informatori dei residui e limitati effetti della cessata relazione coniugale. In altre parole, la previsione legislativa relativa all’assegno di divorzio, alle condizioni previste dalla legge, viene ritenuta prescrizione di carattere eccezionale e derogatorio, in relazione al riacquisto dello stato libero realizzato con il divorzio; all’assegno viene, di conseguenza, riconosciuta una natura giuridica strettamente ed esclusivamente assistenziale, rigidamente ancorata ad una condizione di mancanza di autonomia economica, da valutare in considerazione della condizione soggettiva del richiedente, del tutto svincolata dalla relazione matrimoniale ed unicamente orientata, per il presente e per il futuro, dalle scelte e responsabilità individuali.
Le Sezioni Unite hanno, quindi, sottolineato che siffatta impostazione, pur condivisibile nella parte in cui coglie la potenzialità deresponsabilizzante del parametro del tenore di vita, omette, tuttavia, di considerare che i principi di autodeterminazione ed autoresponsabilità hanno orientato non solo la scelta degli ex coniugi di unirsi in matrimonio ma hanno, altresì, determinato il modello di relazione coniugale da realizzare, la definizione dei ruoli, il contributo di ciascun coniuge all’attuazione della rete di diritti e doveri fissati dall’art. 143 cod. civ..
La conduzione della vita familiare è il frutto di decisioni libere e condivise alle quali si collegano doveri ed obblighi che imprimono alle condizioni personali ed economiche dei coniugi un corso, soprattutto in relazione alla durata del vincolo.
Con la cessazione dell’unione matrimoniale si realizza, nella prevalenza delle situazioni concrete, un depauperamento di entrambi gli ex coniugi e si crea uno squilibrio economico-patrimoniale conseguente a tale determinazione: i ruoli all’interno della relazione matrimoniale costituiscono un fattore, molto di frequente, decisivo nella definizione dei singoli profili economico-patrimoniali post matrimoniali e sono frutto di scelte comuni fondate sull’autodeterminazione e sull’autoresponsabilità di entrambi i coniugi, all’inizio e nella continuazione della relazione matrimoniale.
Le Sezioni Unite concludono nel senso che, ai fini del riconoscimento o meno dell’assegno divorzile, è dunque necessario l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi, o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, L. 898/1970 (così come modificata dalla L. 74/1987) al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata del rapporto di coniugio: durata che è un fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro.
I Giudici del Tribunale di Torre Annunziata, con la sentenza in commento, si ispirano pienamente a tali principi.
Nel caso specifico, nel pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Collegio ritiene di non poter accogliere la domanda di assegno divorzile risultando ostativa al riconoscimento di tale assegno la circostanza della convivenza more uxorio che la parte richiedente l’assegno ha instaurato dopo la separazione.
In particolare, il resistente si opponeva con fermezza al riconoscimento dell’assegno post matrimoniale deducendo, tra l’altro, nelle propria memoria difensiva che la ex moglie, dopo la separazione, aveva costituito una nuova famiglia di fatto convivendo more uxorio, con carattere di serietà e stabilità, da oltre un anno con il nuovo compagno, vedovo e pensionato, che provvedeva al mantenimento del nuovo nucleo familiare.
Tale assunto, benché contestato dalla ricorrente, veniva provato attraverso le dichiarazioni testimoniali raccolte e i riscontri documentali versati in atti.
I testi escussi, entrambi non parenti ed indifferenti rispetto alle parti, riferivano che “da qualche anno la ricorrente, che vive in […] alla via […], coabitava con un signore con i capelli bianchi in parte stempiato, dell’età compresa tra i 65 e i 70 anni, il quale usa un’auto […] grigia che è parcheggiata a circa 10 metri dal portone di ingresso”.
Riscontro di tale legame affettivo emergeva, altresì, dalla numerosa documentazione fotografica estratta dal profilo Facebook della ricorrente e del suo compagno – prodotti dal resistente – che raffigurava la ricorrente in compagnia del compagno in atteggiamenti affettuosi nel 2016 e 2017, nonché, ex art. 116 comma 2 c.p.c., dalla mancanza di alcuna osservazione alle dichiarazioni resi dai testi e dal mancato deposito di alcuno scritto difensivo ex art. 190 c.p.c..
È possibile sintetizzare il percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del Collegio nei seguenti punti:
- “Gli elementi di prova forniti, in sostanza, dimostrano che la resistente, dopo la separazione, ha formato una convivenza di fatto secondo i canoni di cui all’art. 36 legge 76/2016, vivendo stabilmente con altra persona maggiorenne con la quale era unita stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale e che tra di loro non sussistevano vincoli da rapporti di parentela o altro”.
“Costituisce opinione prevalente quella secondo la quale, a seguito della formazione di una famiglia di fatto, riconosciuta dalla Costituzione nell’art. 2, il coniuge divorziato perde il diritto all’assegno divorzile, avendo la giurisprudenza interpretato estensivamente la causa di estinzione dell’assegno divorzile stabilita dall’art. 5 comma 10 l. 898/1970, prevista nel caso in cui il coniuge divorziato celebri un nuovo matrimonio”. - “L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo (Cass. 6855/2015; Cass. 2466/2016)”.
- “La Suprema Corte è giunta ad affermare che anche nel caso di separazione, la formazione di un nuovo nucleo familiare, determina la cessazione dell’assegno di mantenimento previsto dall’art. 156 c.c.”.
“Con sentenza 16982/2018, è stato affermato che in tema di separazione personale dei coniugi, la convivenza stabile e continuativa, intrapresa con altra persona, è suscettibile di comportare la cessazione o l’interruzione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento che grava sull’altro, dovendosi presumere che le disponibilità economiche di ciascuno dei conviventi “more uxorio” siano messe in comune nell’interesse del nuovo nucleo familiare; resta salva, peraltro, la facoltà del coniuge richiedente l’assegno di provare che la convivenza di fatto non influisce “in melius” sulle proprie condizioni economiche e che i propri redditi rimangono inadeguati”. - “La S. C. ha altresì aggiunto che la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica (Cass. civ., 32871/2018). In particolare, è stato affermato che, come nel caso di divorzio, la formazione di una nuova famiglia da parte del coniuge divorziato, comporti la rescissione di ogni connessione con il modello e il tenore di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale poiché con la nuova comunità familiare ha fatto venir meno definitivamente ogni presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, anche nel caso di separazione dei coniugi, e di formazione di un nuovo nucleo familiare da parte del coniuge beneficiario dell’assegno, indipendentemente dalla cessazione del vincolo coniugale, si opera una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale avente rilievo costituzionale, in quanto voluto e cercato dal coniuge beneficiario della solidarietà coniugale”.
- “Conseguentemente – ribadendo quanto affermato da questo tribunale con sentenza n. 1190 del 15-5-2019 – il collegio reputa che la formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge separato, beneficiario o meno di un assegno di mantenimento, escluda la possibilità di riconoscimento di un assegno divorzile”.
- “La volontaria ed autonoma scelta di formazione di un nuovo nucleo familiare, invero, determina la fine di ogni collegamento con il pregresso tenore e modello di vita coniugale e tale sopravvenienza fa venir meno il diritto all’assegno di mantenimento di cui all’art. 156 c.c. e di quello previsto dall’art. 5 comma 6l. 898/1970”.
- “Poiché, come prima evidenziato, all’assegno divorzile deve essere riconosciuta una funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa, ritenere che dopo la formazione di una stabile famiglia di fatto, da parte del coniuge separato, poi cessata, il coniuge successivamente divorziato conserva il diritto all’assegno divorzile, comporterebbe una riviviscenza del collegamento dei coniugi divorziati con il tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale nonostante questo sia stato definitivamente rescisso con la convivenza precedente”.
Solamente per completezza espositiva, si evidenzia che le Sezioni Unite, con la recentissima Sentenza n. 32198 pubblicata in data 05.11.2021, sono intervenute a definire la sorte dell’assegno di divorzio nell’ipotesi in cui il beneficiario instauri una stabile conoscenza con un nuovo compagno. Dal comunicato stampa del 05.11.2021 estratto dal sito www.cortedicassazione.it si evince quanto segue: “Esse hanno affermato in primo luogo che, allo stato attuale, l’instaurazione della nuova convivenza non comporta la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno. La scelta di intraprendere un nuovo percorso di vita insieme ad un’altra persona non è però irrilevante: le Sezioni Unite affermano che l’ex coniuge, in virtù del suo nuovo progetto di vita e del principio di autoresponsabilità, non può continuare a pretendere la corresponsione della componente assistenziale dell’assegno. Tuttavia, non perde il diritto alla liquidazione della componente compensativa dell’assegno, che verrà quantificata tenendo anche in conto la durata del matrimonio, purchè provi il suo apporto alla realizzazione del patrimonio familiare, o del patrimonio personale dell’ex coniuge, nonché le eventuali rinunce concordate ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio. La Corte segnala come modalità più idonee di liquidazione dell’assegno limitato alla componente compensativa l’erogazione di esso per un periodo circoscritto di tempo, o la sua capitalizzazione, allo stato attuale possibili soltanto previo accordo delle parti, e valorizza l’importanza dell’attività propositiva e collaborativa del giudice, degli avvocati e dei mediatori familiari per raggiungere la soluzione più rispondente agli interessi delle persone”.