La Corte D’Appello di Napoli, con la Sentenza n. 3237/2023 (n. 1497/2022 Rg) del 14.04.2023, pubblicata in data 06.07.2023, riunita in camera di consiglio, nelle persone dei magistrati dott. Antonio Di Marco (Presidente), dott.ssa Efisia Gaviano (Consigliere) e dott.ssa Ida D’Onofrio (Consigliere Relatore), in tema di assegno divorzile e di una nuova convivenza more uxorio intrapresa dall’ex coniuge, offre importanti delucidazioni ed interessanti spunti riflessivi.
Nello specifico, il Tribunale di Torre Annunziata, con la Sentenza n. 1939/2021, pubblicata il 06.10.2021, nel pronunciare la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra gli ex coniugi, rigettava la richiesta di assegno divorzile avanzata dalla ex moglie in quanto la medesima aveva instaurato una convivenza stabile e duratura con un’altra persona.
Nel motivare la decisione, il Tribunale richiamava i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione con la Sentenza n. 18287 del 2018, in tema di assegno divorzile, e dalla Sentenza n. 16982 del 2018, in tema di nuova convivenza intrapresa dall’ex coniuge.
In particolare, il Tribunale riteneva raggiunta la prova della convivenza della ex moglie sulla base della prova testimoniale e della documentazione in atti e cioè sulla base di documentazione fotografica estrapolata dal social network Facebook. Il Tribunale precisava che tale rapporto aveva assunto i caratteri della stabilità per cui, richiamando la giurisprudenza in materia, rigettava la richiesta di assegno divorzile avanzata dall’ex moglie.
Avverso la Sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, con ricorso depositato il 06.04.2022, la ex moglie proponeva appello, chiedendone la riforma.
La Corte D’Appello di Napoli, con la Sentenza in commento, ha confermato integralmente la sentenza di primo grado, condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite.
I Giudici della Corte di Appello di Napoli nella prefata pronuncia hanno preliminarmente affrontato la questione che concerne la possibilità di equiparare, ai fini dell’esclusione del diritto all’assegno divorzile, la nuova e stabile convivenza dell’ex coniuge economicamente più debole con un nuovo compagno/a alla celebrazione di nuove nozze (quest’ultima espressamente prevista all’indicato effetto dall’art. 5, co. 10, della L. n. 898/1970).
La Corte d’Appello ha evidenziato che in proposito sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. sentenza n. 32198 del 05.11.2021) al fine di risolvere il quesito imperniato sulla necessità di stabilire se, instaurata una convivenza di fatto tra una persona divorziata ed un terzo, eseguito un accertamento pieno sulla stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto all’assegno divorzile di chi abbia intrapreso una nuova relazione stabile – ove la sua posizione economica sia sperequata rispetto a quella del suo ex coniuge – si estingua comunque, per un meccanismo ispirato all’automatismo nella parte in cui prescinde dal vagliare le finalità proprie dell’assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dalla obiettiva valorizzazione del contributo dato dall’avente diritto al patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge, sostengano, dell’assegno divorzile negli effetti compensativi sui propri, la perdurante affermazione, anche – se del caso – per una rimodulazione da individuarsi nel diverso contesto sociale di riferimento.
Nella citata sentenza si ribadisce come costituisca dato generale acquisito che, in ragione della funzione composita dell’assegno divorzile, debba procedersi al riequilibrio della disparità delle posizioni economiche venutesi a creare a seguito dello scioglimento del matrimonio, ma non più nell’ottica ormai definitivamente superata di agganciare per sempre il tenore di vita dell’ex coniuge al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio – dando luogo, anziché alla valorizzazione dell’autonomia, alla costituzione di ingiustificate e rendite parassitarie – bensì allo scopo di attribuire all’ex coniuge, che non fruisca di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli autonomamente non per sua colpa, un assegno di divorzio che sia commisurato anche al contributo prestato alla formazione del patrimonio familiare e dell’ex coniuge.
La Suprema Corte, tuttavia, non condivide l’impostazione (su cui si fonda la sentenza appellata in oggetto) secondo la quale, con l’instaurarsi di una convivenza dotata dei connotati di stabilità e continuità, si rescinde ogni connessione con il modello di vita caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale e con ciò ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile (con la sola differenza che nel caso di nuove nozze il diritto viene meno ex lege mentre in questo caso è necessario un accertamento giudiziale); impostazione che non è persuasiva né nella sua assolutezza, né quanto all’automatica caducazione del diritto all’assegno, né nella conseguenza – che essa necessariamente reca con sé – della perdita automatica in caso di nuova convivenza anche della componente compensativa dell’assegno.
Rileva la Cassazione che l’affermazione in oggetto non è confortata dal disposto dell’art. 5 co. 10 della L. n. 898/1970 – il quale prevede la cessazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile solo se il beneficiato convoli a nuove nozze – né dal testo di regolamentazione organica delle famiglie di fatto (L. n. 76 del 2016), diversamente da quanto si contempla in altri ordinamenti europei.
Ciò posto, la Suprema Corte statuisce che, nell’ipotesi in cui il coniuge economicamente più debole intraprenda una nuova relazione con stabile convivenza, per stabilire se gli spetti l’assegno divorzile si debba innanzitutto operare un’indagine sui relativi presupposti che prescinda da automatismi non consentiti dalla legge, al contempo considerando che la nuova convivenza di fatto estingue di regola il diritto alla componente assistenziale dell’assegno di divorzio anche per il futuro, e ciò per la serietà che deve essere impressa al nuovo impegno in ossequio al principio di autoresponsabilità (anche se esso non sia formalizzato) e per la dignità da riconoscere alla nuova formazione sociale, non potendo valere altrettanto, invece, per la componente compensativa dell’assegno, che trova perdurante giustificazione nella circostanza – quando provata – che il coniuge più debole ha sacrificato la propria esistenza professionale a favore delle esigenze familiari e di quelle relative allo stesso arricchimento del coniuge, sicché ingiusto sarebbe che egli perdesse qualsiasi diritto ad una compensazione dei sacrifici fatti solo perché al momento del divorzio o prima di esso si è ricostruito una vita affettiva.
Fatta tale premessa, i Giudice della Corte di Appello di Napoli hanno ritenuto che “la sentenza impugnata si appalesa corretta ed immune da vizi, alla luce dei numerosi, univoci e concordanti elementi evidenziati nella impugnata sentenza per cui può ritenersi che l’appellato ha assolto pienamente all’onere probatorio sul medesimo incombente di dimostrare che l’appellante ha ormai formato una stabile famiglia di fatto con il suo nuovo compagno. Invero, si tratta di una relazione di lunga durata caratterizzata da una piena continuità, atteso che la donna non soltanto trascorre da anni le sue vacanze con il compagno, ma ne condivide i progetti di vita quotidiana, fermandosi, quest’ultimo, a pernottare nella sua abitazione con assoluta assiduità”.
Per la Corte “correttamente il Tribunale ha ritenuto particolarmente significative, con riguardo alla prova della convivenza stabile e duratura intrapresa dall’appellante, le dichiarazioni rese dai testi” che erano stati escussi in primo grado”.
In tal senso militano le concordi deposizioni rese dai testi, i quali hanno tutti dichiarato di aver visto la donna accompagnarsi con tal compagno, la cui auto è sempre parcheggiata, a qualsiasi ora del giorno e della notte, sotto casa della donna.
Peraltro, quanto dichiarato dai testi risulta confermato dalla documentazione fotografica prodotta in atti dal marito ed estrapolata dal social network Facebook, nella quale l’appellante è rappresentata, nel corso degli anni, in atteggiamenti affettuosi con tale compagno.
Sul punto, la Corte d’Appello ha confermato che i documenti estrapolati dai social network possono ritenersi acquisibili ed utilizzabili. Infatti, “è noto che il social network “Facebook” si caratterizza, tra l’altro, per il fatto che ciascuno degli iscritti, nel registrarsi, crea una propria pagina nella quale può inserire una serie di informazioni di carattere personale e professionale e può pubblicare, tra l’altro, immagini, filmati ed altri contenuti multimediali; sebbene l’accesso a questi contenuti sia limitato secondo le impostazioni della privacy scelte dal singolo utente, deve ritenersi che le informazioni non essendo assimilabili a forme di corrispondenza privata, ma pubblicate sul proprio profilo personale, proprio in quanto già dì per sé destinate ad essere conosciute da soggetti terzi, sebbene rientranti nell’ambito della cerchia delle c.d. “amicizie” del social network, non possono ritenersi assistite dalla protezione della privacy, dovendo, al contrario, essere considerate alla stregua di informazioni conoscibili da terzi. In altri termini, nel momento in cui si pubblicano informazioni e foto sulla pagina dedicata al proprio profilo personale, si accetta il rischio che le stesse possano essere portate a conoscenza anche di terze persone non rientranti nell’ambito delle c.d. “amicizie” accettate dall’utente, il che le rende, per il solo fatto della loro pubblicazione, conoscibili da terzi ed utilizzabile anche in sede giudiziaria”.
Orbene, la Corte ha reputato che il quadro probatorio quale delineato è stato, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa dell’appellante, correttamente valutato dal Tribunale che ha ritenuto che l’appellante abbia instaurato con tale compagno una stabile relazione affettiva.
La Corte, quindi, ha concluso per la conferma della sentenza appellata.
“Ne consegue che, in conformità ai principi espressi dal recente arresto della SSUU della Suprema Corte, il Tribunale ha correttamente ritenuto estinto, per l’ex moglie il diritto alla componente assistenziale dell’assegno di divorzio anche per il futuro, e ciò, va ribadito, per la serietà impressa dalla medesima al nuovo impegno sentimentale”.
L’appellante, altresì, lamentava che il Giudice di Primo Grado avrebbe collegato l’eliminazione dell’assegno divorzile alla desunta stabile relazione sentimentale intrapresa dalla moglie, omettendo di considerare l’apporto dalla medesima al crescita anche economica della famiglia ed ai sacrifici professionali effettuati in corso di matrimonio.
Ma anche tale censura non ha trovato condivisone da parte della Corte di Appello di Napoli.
Al riguardo i Giudici hanno evidenziato che la richiamata pronuncia delle SSUU della Suprema Corte precisa, altresì, che se l’assegno di divorzio possa venire meno, in conseguenza dell’instaurarsi di una stabile convivenza di fatto non altrettanto può ritenersi quanto alla componente compensativa-perequativa dell’assegno, la quale costituisce la stima del contributo dato alla formazione del patrimonio familiare e dell’altro coniuge nell’arco di tempo definito del matrimonio, che diversamente andrebbe perduta per l’ex coniuge che pure ha contribuito a tali fini accettando di rinunciare ad occasioni di lavoro o dedicandosi alla famiglia per facilitare la progressione in carriera dell’altro coniuge e la formazione di un patrimonio negli intenti destinato ad essere comune ma rimasto – a cagione dello scioglimento del progetto di vita comune – appannaggio dell’altro coniuge, onde evitare “equivoci condizionamenti e commistioni rispetto alle successive opzioni esistenziali dell’interessato, assicurandogli, nel reale rispetto della sua dignità, il riconoscimento degli apporti e dei sacrifici personali profusi nello svolgimento della (ormai definitivamente conclusa) esperienza coniugale”.
Alla luce di tanto, è di tutta evidenza che ove, all’esito del divorzio, l’ex coniuge che ha instaurato una nuova convivenza stabile chieda l’attribuzione dell’assegno di divorzio, si dovrà accertare – con onere della prova a carico del richiedente – se la sua attuale mancanza di mezzi adeguati sia da ricondurre o meno alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari assunti di comune accordo e cioè se i coniugi abbiano di comune accordo pianificato che uno di essi sacrificasse le proprie realistiche prospettive professionali e reddituali agli impegni familiari e casalinghi, così da ritrovarsi, a matrimonio finito, fuori dal circuito lavorativo o comunque in una condizione diversa e deteriore rispetto a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse dovuto rinunciare ad opportunità favorevoli per scelte familiari concordemente adottate.
Il Giudice dovrà tenere conto della durata del rapporto matrimoniale – quale fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge – oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche alla luce del tempo trascorso dall’avvio della nuova convivenza di fatto, dell’età del coniuge richiedente e della conformazione del mercato del lavoro.
Ai medesimi fini di prova, il richiedente potrà avvalersi eventualmente del sistema delle presunzioni, nel rispetto dei paradigmi di gravità precisione e concordanza.
Se, all’esito dell’accertamento indicato, si accerti che alla mancanza di mezzi adeguati si associano rinunce o scelte – tra vita professionale e lavorativa – pregiudicanti la condizione del coniuge economicamente più debole e non compensate per scelta autonoma dei coniugi al momento dello scioglimento del matrimonio, il coniuge più debole, benché si sia ricostituito una diversa comunità familiare, avrà comunque diritto ad un assegno atto ad operare il riequilibrio fra le due posizioni in funzione perequativo-compensativa, parametrato al contributo dato ed alla durata del matrimonio.
Tuttavia, nel caso specifico, l’appellante nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, nulla aveva allegato e provato in merito ai dedotti sacrifici compiuti nell’interesse del nucleo familiare.
Invero, la pronuncia delle SSUU, richiamata, ha reso centrale il tema dell’onere della prova stante l’esigenza di un rigoroso accertamento del nesso causale tra il divario economico tra le parti, accertato o allegato, e le scelte operate dalla famiglia, e il sacrificio delle aspettative professionali o reddituali, tenuto conto della durata del matrimonio; i parametri richiamati non potranno che essere dimostrati dalla parte che ha interesse ad ottenere l’assegno.
Secondo la Corte d’Appello, alla luce di tali principi, nulla essendo stato provato, la incapacità reddituale attuale dell’appellante deve ritenersi il frutto di una libera scelta della medesima e, soprattutto, non giustificata da esigenze familiari.
I Giudici hanno osservato, in particolare, che l’appellante non ha dimostrato di essersi effettivamente adoperata per trovare lavoro, a seguito della separazione, malgrado l’inserimento nel mondo, all’epoca, non le era precluso anche in ragione dell’età non avanzata, della mancanza di impedimenti di tipo sanitario, né dalle esigenze familiari in ciò agevolata dal fatto che i figli, tutti maggiorenni, non avevano più bisogno di essere accuditi.
Infine, la Corte ha sottolineato che il divario patrimoniale tra gli ex coniugi non può attribuirsi al ruolo e al contributo fornito dalla moglie alla formazione del patrimonio comune e personale.
In conclusione la Corte di Appello di Napoli non ha ravvisato i presupposti per il riconoscimento di assegno divorzile in favore dell’appellante, puntualizzando che “l’impugnata sentenza, pur se pronunciata in epoca antecedente alla pronuncia della Suprema Corte richiamata, non si discosta da un ponderato esame dei valori in gioco conforme all’innovativa lettura compiuta dalla Sezioni Unite e deve ritenersi, pertanto, corretta”.