Ricorre il mobbing atipico in quei casi di comportamenti illeciti secondo i principi generali, sebbene, non riconducibili a nessuna fattispecie tipicamente descritta da una legge; nonché nei casi in cui il comportamento, in sé e per sé considerato, è lecito, ma è la moltiplicazione, la reiterazione, lo scopo programmatico, l’obiettivo perseguito dal mobber che qualifica quel complesso di comportamenti come illegittimo.
Fra i casi di mobbing atipico bisogna ricordare il comportamento offensivo e mortificante al ritorno dal lungo periodo di malattia: il lavoratore si assenta per malattia per lungo tempo; quando ritorna sul luogo di lavoro, viene adibito a mansioni inferiori, subisce offese, etc.
Riguardo a questi comportamenti offensivi c’è un ulteriore dato positivo molto rilevante rappresentato dai D. Lgs. 215 e 216 del 2003, che prevedono, in chiave teleologica, una definizione di mobbing riferita alla molestia avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona o di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante ed offensivo.
Ancora si ricordano i casi di molestie morali sui luoghi di lavoro; ad esempio, i casi in cui il mobbing si realizza nelle forme del maltrattamento (art. 572 c.p.) o della violenza privata.
Ad esempio, il lavoratore viene costretto a fare delle prestazioni cui non gli spetterebbero sotto la minaccia di licenziamento.
Oppure il caso, venuto recentemente alla cronaca, di costringere con violenza morale il lavoratore ad accettare retribuzioni inferiori a quelle legali o contrattuali in mancanza di alternative di lavoro serie. Al riguardo, la Corte di Cassazione ha parlato di estorsione ex art. 629 c.p..
La giurisprudenza ha anche evocato interessanti casi di invito alle dimissioni esercitato in modo particolarmente pressante ai danni del prestatore di lavoro. Sul punto si è osservato che tale invito in sé e per sé non è illecito, tuttavia può diventare comportamento illecito per le modalità, per la forma, per la coazione che può indurre, anche psicologicamente, sulla parte debole del rapporto.
Qual è la possibile tutela del lavoratore indotto alle dimissioni da un pressante invito di parte datoriale?
Secondo la giurisprudenza, queste dimissioni potrebbero essere annullate, ma il lavoratore dovrebbe dimostrare l’incapacità (naturale) cui è stato ridotto, ai sensi dell’art. 428 c.c., oppure la violenza come causa di annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1434 c.c..
Ma quando non ricorrono questi presupposti, la tutela risarcitoria è comunque possibile attraverso il concetto di mobbing, che, per l’appunto, determina un allargamento della tutela della parte debole del rapporto.