Giurisprudenza della Corte dei Conti sul beneficio di cui all’art. 25 D.lsl. n. 151/2001
Le disposizioni dell’articolo 25 del TU sulla tutela della maternità e della paternità di cui al DLgs 26 marzo 2001, n. 151, che prevedono la possibilità di ottenere la copertura contributiva figurativa dei periodi corrispondenti al congedo di maternità verificatasi al di fuori del rapporto di lavoro, sono applicabili anche alle ex dipendenti pubbliche che, alla data del 27 aprile 2001 di entrata in vigore del TU, erano già cessate dal servizio e titolari di pensione a carico dell’INPDAP.
Sentenza n. 768/2005
CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE TOSCANA
Nel giudizio iscritto al n. 54671 P.C. del registro di segreteria, promosso da B. G., domiciliata come in atti, contro l’INPDAP sede di Lucca.
FATTO E DIRITTO
La sig.ra B., già dipendente dell’Amministrazione della Pubblica Istruzione, cessata dal servizio dal 1° settembre 1991 e titolare di trattamento pensionistico, impugna il provvedimento INPDAP in data 7 ottobre 2003, con il quale è stata respinta la domanda di riconoscimento, ai fini pensionistici, dei periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, verificatisi fuori dal rapporto di lavoro, ai sensi dell’articolo 25 del DLgs 26.3.2001, n. 151, in relazione a quanto disposto dagli articoli 16 e 17 dello stesso DLgs.
L’INPDAP ha respinto la suddetta istanza, presentata in data 29 gennaio 2003, ritenendo che la sig.ra B. non avesse diritto a tale beneficio, in quanto all’atto della domanda era già a riposo e titolare di trattamento di pensione.
Nella memoria di costituzione e risposta, l’Amministrazione convenuta, sul punto sostiene che l’articolo 25 del DLgs 151/2001 prevede che tale beneficio possa essere validamente riconosciuto, a domanda, a soggetti iscritti al fondo pensioni, vale a dire, secondo l’interpretazione resa dalla Direzione centrale, esclusivamente a soggetti in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 151/2001, come, peraltro, interpretato da talune pronunce giurisprudenziali: Sez. Piemonte, n. 66/05 del 17.3.2005; Sez. Lombardia, n. 1289/04, del 2.11.2004.
L’INPDAP chiede, quindi, il rigetto del ricorso; in subordine, in caso di accoglimento, tenuto conto che il beneficio in argomento viene riconosciuto a domanda, chiede che la riliquidazione debba essere operata a decorrere dalla data di presentazione della domanda, in ulteriore subordine, eccepisce la prescrizione quinquennale dei ratei arretrati anteriori al quinquennio antecedente la prima richiesta in via amministrativa: 29 gennaio 2003.
La ricorrente non argomenta le proprie ragioni, tuttavia indica con sufficiente precisione, ai fini di una completa cognizione della domanda i suoi elementi costitutivi di “petitum” e “causa pretendi” ed infatti, conclude chiedendo il beneficio dell’accredito figurativo dei ripetuti periodi di astensione obbligatoria per maternità e la riliquidazione della pensione con effetti economici fin dalla data di decorrenza della pensione: 1.9.1991, oltre interessi e rivalutazione.
Sulla questione dedotta nel presente giudizio, la giurisprudenza non è uniforme oscillando tra due indirizzi: l’uno, (Sez. Piemonte e Lombardia già ricordate) che privilegia il significato letterale del termine “iscritto”, inteso come la individuazione dello status di chi è iscritto al fondo pensione in quanto ancora in servizio, per cui il beneficio di cui all’articolo 25 può essere riconosciuto solo concorrendo i due requisiti e cioè dell’iscrizione, appena ricordato e della minima anzianità contributiva.
L’altro indirizzo, (Sez Giur. Sicilia, 11.4.2005, n. 877; Sez. Giur. Piemonte, n. 133/2005 e n. 134/2005) invece, ritenendo che il legislatore con la suddetta norma abbia voluto tutelare la condizione della maternità “tout court”, ritiene che a nulla rilevi la situazione di servizio o di quiescenza di chi chiede il beneficio, nel momento in cui lo chiede, anche perché con il termine “iscritto” può intendersi sia la c.d. iscrizione attiva, cioè di colui che è ancora in servizio, sia l’iscrizione passiva, ossia di colui che in quiescenza usufruisce delle prestazioni previdenziali.
Ed invero in tali casi si considera che la condizione di “iscritto” di cui all’articolo 25 del DLgs 151, non riflette la condizione di chi sia in servizio, (Cass. 6.4.1992, n. 4203 e Sez. Giur. Corte Conti Campania, 20.5.1999, n. 92) e che, nello stesso contesto della norma, il suddetto termine non ha la funzione di contrapporre il personale in servizio ai soggetti in quiescenza, ma solo di individuare le gestioni pensionistiche interessate dalla medesima norma, da individuarsi in quelle che gestiscono le posizioni previdenziali dei lavoratori dipendenti, distinte da quelle dei lavoratori autonomi.
Si considera ancora che della norma va colta la portata teleologica per capirne la sostanza dispositiva; tale portata è quella della tutela ed il sostegno alla maternità ed alla paternità, che si realizza consentendo la valorizzazione dei periodi di astensione obbligatoria per maternità vissuti fuori da un rapporto di lavoro e quindi, senza alcun rapporto assicurativo, quale che sia il momento in cui si sia, o si siano, verificati gli eventi considerati dalla legge e cioè prima o dopo l’acquisto della qualità di lavoratore dipendente.
In tal senso vengono richiamati gli argomenti svolti nell’Ordinanza193/2001 della Corte Costituzionale.
Questo giudice aderisce alla seconda soluzione, per cui ritiene che il ricorso sia fondato e debba essere accolto.
Innanzitutto, va considerato che da un’analisi della norma e da una riflessione sulla natura del beneficio, si evince che nessuna relazione funzionale esiste tra il beneficio e la condizione di servizio.
Infatti, il ripetuto beneficio consiste nel riconoscere la contribuzione figurativa per un periodo – quello di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità – durante il quale nessun rapporto di lavoro legava, chi intende avvalersi del beneficio, nei confronti di alcun datore di lavoro.
In pratica, volendo individuare la “ratio” specifica della norma, si potrebbe sostenere che essa risiede nell’esigenza, avvertita dal legislatore, di elidere nei fatti l’obiettiva penalizzazione che l’astratta capacità di lavorare e di procurarsi tutti i vantaggi ad essa connessi, compresi quelli con effetto sul trattamento di quiescenza, subisce durante un periodo, quello dell’astensione obbligatoria, che non ammette altra scelta.
Una finalità, questa, che non può non avere efficacia erga omnes, ossia a vantaggio di tutti coloro che posseggono i requisiti minimi previsti dalla legge, prospettandosi ogni limitazione, svincolata da un criterio giustificativo.
Peraltro, nella medesima direzione argomentativa si pone anche la riflessione che, in ordine ai vari e numerosi benefici codificati dalle leggi in materia pensionistica, si potrebbe operare una sorta di distinzione tra quelli per i quali è possibile leggere una relazione genetica tra miglioramento del trattamento pensionistico e servizio, si pensi alle pensioni privilegiate, oppure alle riliquidazione in funzione di miglioramenti contrattuali, e quelli per i quali il legislatore ha inteso compensare situazioni di disagio necessariamente vissute in funzioni di interessi rilevanti che trascendono i bisogni individuali, si pensi ai benefici combattentistici, dove il titolo ai benefici risiede nell’aver realizzato la difesa nazionale, oppure la condizione di inabilità non dipendente dal servizio che ai sensi dell’articolo 12 della legge 335/1995, dà titolo a pensione a prescindere, entro certi limiti, dal servizio, dove il titolo del beneficio risiede nel generale interesse a garantire un livello minimo di dignitosa libertà dal bisogno.
In quest’ultimi casi, ai quali ben può assimilarsi l’ipotesi contemplata dall’articolo 25 del DLgs 151/2001, dove, come si è appena scritto, il titolo del beneficio risiede nell’esigenza sociale di garantire condizioni di sicurezza alla complessiva vicenda della maternità in fasi particolarmente delicate, il servizio o l’attività lavorativa, che consentono di maturare il diritto a pensione, non hanno nessun legame funzionale con la finalità ricordata.
Ma a parte queste considerazioni che lasciano ancora margini di opinabilità rispetto ad una rigorosa interpretazione delle norme che regolano la materia, la fondatezza del ricorso emerge anche da una specifica analisi dell’evoluzione normativa nella materia che ne occupa.
1) L’articolo 25, comma 2 del DLgs 26 marzo 2001, n. 151, prevede che “in favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti al congedo di maternità di cui agli articoli 16 e 17, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro. …”.
La disposizione, la cui rubrica recita “trattamento previdenziale”, è contenuta nel “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53” che è stato emanato “al fine di conferire organicità e sistematicità alle norme in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, già presenti nell’ordinamento, come stabilisce la legge di delega (il citato articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città).
Dalla natura e dalla portata del DLgs n. 151 del 2001 si evince che il diritto all’utilizzo a fini pensionistici dei periodi corrispondenti al congedo per maternità verificatosi al di fuori di un rapporto di lavoro è stato originariamente previsto da altra disposizione di legge e, al fine di stabilire natura e limiti del beneficio rivendicato dalla ricorrente, si rende necessario analizzare il testo della norma originaria, il contesto nel quale è stata introdotta e le modifiche successivamente intervenute.
2) La tutela della maternità nell’ambito del rapporto lavorativo è piuttosto recente ed è stata attuata con alcuni interventi legislativi disorganici che, col tempo, sono stati coordinati in modo omogeneo.
In particolare, con riferimento all’oggetto del presente giudizio, occorre richiamare il DLgs 30 dicembre 1992, n. 503 che, disciplinando il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori pubblici e privati, all’articolo 14 (la cui rubrica recita riscatto di periodi non coperti da assicurazione) prevedeva al primo comma, in linea generale, che “I lavoratori dipendenti che possono far valere complessivamente almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di effettiva attività lavorativa nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti o nelle forme di previdenza sostitutive od esclusive della medesima hanno facoltà di riscattare, a domanda, con le norme e le modalità di cui all’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, e successive modificazioni ed integrazioni, nella misura massima complessiva di cinque anni, periodi corrispondenti a quelli di assenza facoltativa dal lavoro per gravidanza e puerperio e periodi di congedo per motivi familiari concernenti l’assistenza e cura di disabili in misura non inferiore all’80% per cento, purché in ogni caso si tratti di periodi non coperti da assicurazione e successivi al 1 gennaio 1994”. Inoltre, con specifico riferimento alle maternità avvenute in assenza di rapporto di lavoro stabiliva al terzo comma che “I periodi successivi al 1^ gennaio 1994 per i quali sia prevista l’astensione obbligatoria dai lavoro per gravidanza e puerperio, ancorché intervenuti al di fuori del rapporto di lavoro, danno luogo, sempreché il lavoratore possa far valere l’anzianità lavorativa di cui al comma 1, a contribuzione figurativa da accreditare secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155.”
La norma conteneva un esplicito riconoscimento del diritto ad ottenere la contribuzione figurativa per le maternità avvenute in epoca nella quale non era in corso alcun rapporto di lavoro ponendo quali unici limiti che tali maternità fossero successive al 1° gennaio 1994 e che la richiedente avesse versato almeno 5 anni di contribuzione in costanza di un rapporto di lavoro. Successivamente interveniva il DLgs 16 maggio 1996, n. 564 che attuando la delega prevista dall’articolo 1, comma 39 della legge 8 agosto 1995, n. 335 di riforma del sistema pensionistico, all’articolo 2 (rubricato periodi per maternità), stabiliva che “In favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria dal lavoro di cui agli articoli 4 e 5 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 e successive modificazioni e integrazioni, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro. La contribuzione figurativa viene accreditata secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155, con effetto dal periodo in cui si colloca l’evento”. La norma richiamava quella contenuta nell’articolo 14, eliminando, però, la limitazione del diritto, ivi contenuta, alle maternità verificatesi successivamente al 1° gennaio 1994.
Da ultimo è intervenuto il già citato “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”, emanato con il DLgs 26 marzo 2001, n. 151, il cui articolo 25 ha ripreso testualmente l’articolo 2, del DLgs n. 564 del 1996, ad eccezione del riferimento agli articoli 4 e 5 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (la prima legge organica di tutela della maternità in ambito lavorativo) che è stato sostituito con il riferimento agli articoli 16 e 17 dello stesso testo unico che regolamentano diritti e doveri in occasione delle maternità in ambito lavotrativo.
Così ricostruito il quadro normativo, risulta che fino al 31 dicembre 1993 il beneficio dell’accredito figurativo per “maternità” era limitato agli eventi verificatesi nel corso di un rapporto di lavoro; con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 si è provveduto ad estendere la contribuzione figurativa (da accreditare secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155) ai periodi successivi al 1° gennaio 1994 per i quali fosse prevista l’astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio, che intervenissero al di fuori del rapporto di lavoro. Con il successivo articolo 2 del DLgs n. 564 del 1996 la norma che disciplinava il riconoscimento della contribuzione figurativa è stata modificata, senza alcun richiamo al testo contenuto nel DLgs n. 503 del 1992 e, segnatamente, al limite temporale del 1° gennaio 1994, ivi previsto. La disposizione contenuta nell’articolo 25 del successivo Testo Unico, di cui al DLgs n. 151 del 2001 riprende la norma da ultimo citata e pone quale unico limite alla fruizione del beneficio la condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro.
Detto decreto legislativo ha recepito sostanzialmente il contenuto dell’articolo 2 del DLgs n. 564 del 1996, che è stato contestualmente abrogato, in forza del successivo articolo 86, il quale ha abrogato anche i commi 1 e 3 dell’articolo 14 del DLgs 30 dicembre 1992 n. 503. In conclusione: è venuto meno il limite in ordine alla collocazione temporale dell’evento da riconoscere, con estensione della copertura previdenziale anche agli eventi antecedenti il 1° gennaio 1994, consentendosi così il riconoscimento figurativo, in favore delle richiedenti che siano già in pensione (sul punto, ampiamente: Cass. civ., Sez. Lav., 25 novembre 2004, n. 22244).
3) L’interpretazione della normativa vigente nei termini sopra prospettati risulta accolta dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale – INPS, che, con la Circolare n. 102 del 31 maggio 2002, ha chiarito che, in seguito all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 151/2001, i periodi corrispondenti a quello dell’astensione obbligatoria relativi ad eventi verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, fermo restando il requisito contributivo minimo di 5 anni, già previsto dall’articolo 14 del decreto n. 503, sono riconoscibili a domanda indipendentemente dalla loro collocazione temporale e dalla circostanza che il richiedente sia ancora in servizio o meno.
Ha, altresì, precisato che l’articolo 25 di detto decreto, “non ponendo più alcun limite in merito alla collocazione temporale dell’evento da riconoscere, ha pertanto esteso la copertura previdenziale anche agli eventi antecedenti il 1° gennaio 1994, consentendo il riconoscimento figurativo dei relativi periodi nella durata corrispondente a quella dell’astensione obbligatoria fruita in costanza di rapporto di lavoro”.
L’INPS ha ribadito, in numerose occasioni, tale interpretazione della norma che è anche stata fatta propria dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. civ., Sez. Lav., 25 novembre 2004, n. 22244).
In particolare, con la Circolare n. 61 del 26 marzo 2003, l’INPS ha, testualmente, precisato che “la condizione di iscritto deve intendersi perfezionata anche nel caso l’iscrizione non sia più in atto alla data della domanda”.
Al contrario, l’INPDAP ha ritenuto che il riconoscimento della contribuzione di maternità figurativa riconosciuto dal citato articolo 25 del DLgs n. 151 del 2001 debba essere limitato alle sole lavoratrici in servizio al momento della presentazione dell’istanza poiché detta norma specificherebbe che la domanda può essere presentata all’ente previdenziale solo dagli “iscritti” e tale qualifica si perderebbe, perlomeno in relazione alla normativa che disciplina l’INPDAP, con il collocamento a riposo .
La ricostruzione operata dall’INPDAP contrasta con tutte le disposizioni legislative introdotte a partire dal 1992, e in particolare con l’articolo 25 del DLgs n. 151 del 2001, che hanno lo scopo di riconoscere alle donne lavoratrici una contribuzione figurativa per le maternità svoltesi al di fuori del rapporto di lavoro.
Infatti, l’accredito figurativo, sia pure limitato ai periodi successivi al 1° gennaio 1994, è stato introdotto dal citato articolo 14 del DLgs n. 503 del 1992 che ha avviato l’opera di riordino del sistema previdenziale pubblico e privato, senza porre alcuna distinzione in ordine alla tutela della maternità fra settore pubblico e privato.
Analogamente, il successivo articolo 2 del DLgs n. 564 del 1996, emanato, si ripete, in attuazione della legge n. 335 del 1995 di riforma del sistema pensionistico sia pubblico che privato, ha previsto l’eliminazione del discrimine temporale (1° gennaio 1994), anche qui senza distinguere fra lavoratrici dell’uno o dell’altro settore.
Da ultimo, il legislatore con il testo unico del 2001 ha inteso disciplinare “i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e alla paternità” (articolo 1), senza distinguere fra settore di appartenenza dei beneficiari delle singole disposizioni. Anzi, siccome al Capo X sono state dettate alcune disposizioni speciali per disciplinare alcune categorie di dipendenti pubblici, di dipendenti privati e di soggetti dotati di un particolare status quali sono i professionisti (articoli 57 e seguenti) è ancor più evidente che le altre norme, ivi compreso l’articolo 25, si applicano indifferentemente ai lavoratori del settore privato e a quelli del settore pubblico.
Alla luce della disciplina normativa vigente, il riconoscimento del beneficio di cui si sta trattando è subordinato, quindi, alla sussistenza del solo requisito della minima anzianità contributiva per attività lavorativa effettivamente svolta.
Per quanto fin qui considerato il ricorso è meritevole di accoglimento, considerato che i requisiti richiesti dall’articolo 25 del DLgs n. 151/2001 (contribuzione quinquennale e periodi di astensione obbligatoria per maternità fuori dal rapporto di lavoro) non sono stati oggetto di specifica contestazione da parte dell’Amministrazione convenuta.
Per l’effetto, deve essere riconosciuto il diritto della ricorrente alla rideterminazione della pensione in godimento, con l’accredito della contribuzione figurativa prevista dall’articolo 25 – comma 2 – del DLgs 151/2001, secondo quanto indicato nell’istanza del 28 ottobre 2002.
Tenuto conto, però, che il beneficio in questione è concesso a domanda e non d’ufficio, gli effetti della rideterminazione della pensione si producono dalla data di presentazione della istanza amministrativa: 28 ottobre 2002.
Sulle somme arretrate sono dovuti interessi legali e rivalutazione monetaria quest’ultima solo nella eventuale misura necessaria ad integrare il tasso percentuale degli interessi legali, fino a renderlo pari, ove dovesse essere inferiore, a quello dell’indice di svalutazione, da calcolarsi con riferimento all’indice annuale ISTAT, ai sensi dell’articolo 150 delle disposizioni perl’attuazione del c.p.c., ciò in applicazione dell’articolo 429, comma3, c.p.c., cui rinvia l’articolo 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205, conformemente ai principi di diritto affermati dalle Sezioni Riunitenella sentenza 10/QM del 18 ottobre 2002.
P.Q.M.
Il Giudice unico presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana della Corte dei Conti, definitivamente pronunciando
ACCOGLIE
Il ricorso proposto dalla sig.ra B. G.. Per l’effetto, riconosce il diritto della ricorrente alla rideterminazione della pensione in godimento, con l’accredito della contribuzione figurativa prevista dall’articolo 25, comma 2, del DLgs 151/2001, secondo quanto indicato nell’istanza del 29 gennaio 2003.
Gli effetti economici della rideterminazione della pensione si producono dalla data di presentazione della istanza amministrativa: 28 ottobre 2002.
Sulle somme dovute spettano interessi legali e rivalutazione monetaria come disposto in parte motiva.
Spese compensate.
Così deciso in Firenze, nell’udienza del 9 novembre 2005. Depositata in Segreteria il 12/12/2005.
IL GIUDICE – F.to Rinieri FERONE
Sentenza n. 877/2005
CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIA
FATTO
La ricorrente, pensionata regionale dall’01.09.2000, ha impugnato la nota prot. n. 576 del 27.01.2004 che ha respinto l’istanza, pervenuta in data 03.04.2003, volta ad ottenere il beneficio di cui all’art. 25 del D.lvo n. 151/2001, relativo all’accredito della contribuzione figurativa per i tre figli nati precedentemente all’assunzione in servizio, sostenendone l’applicazione retroattiva in ragione della formulazione letterale; in particolare la Sig.ra M.R. ha rappresentato che la citata disposizione normativa ha richiesto soltanto la contribuzione quinquennale in costanza di rapporto di lavoro.
La predetta domanda è stata rigettata con la motivazione che avrebbe dovuto essere presentata entro novanta giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, giusta il disposto dell’art. 147 del D.P.R. n. 1092/1973.
L’Amministrazione regionale, costituitasi in giudizio con memoria depositata in data 30.06.2004, ha precisato che il contenuto del provvedimento di rigetto dell’istanza amministrativa della ricorrente avrebbe dovuto intendersi nel senso dell’inapplicabilità dell’art. 25 del D.lvo n. 151/2001 alle lavoratrici già in quiescenza, non avendo la legge efficacia retroattiva.
Con ulteriore memoria, depositata in data 10.03.2005, parte convenuta ha ribadito le precedenti argomentazioni ed ha eccepito, in via subordinata, la prescrizione “di qualsiasi credito eventualmente vantato dalla ricorrente e dalla stessa maturato nel quinquennio antecedente la notifica del ricorso introduttivo del giudizio”.
Previa camera di consiglio il Giudicante ha dato lettura, al termine dell’udienza, del dispositivo della presente decisione.
Considerato in DIRITTO
Preliminarmente, occorre verificare l’applicabilità, nel caso di specie, dell’art. 25 del decreto legislativo n. 151/2001, norma statale, considerato che la ricorrente è una dipendente regionale.
La Regione Siciliana, infatti, ai sensi dell’art. 14 lett. q) dello Statuto ha potestà normativa esclusiva sullo “stato giuridico ed economico” dei propri impiegati e funzionari.
Si osserva, tuttavia, che in materia di trattamento di quiescenza dei dipendenti regionali, ai sensi dell’art. 36 della legge regionale n. 2/1962 e dell’art. 18 della legge regionale n. 73/1973, sono applicabili le disposizioni normative dettate per i dipendenti civili dello Stato, in quanto più favorevoli.
E’ indubbio che il beneficio chiesto dalla ricorrente è stato introdotto da una norma statale di favore, che non abbisogna di alcun atto di recepimento per dispiegare i suoi effetti nell’ambito dell’ordinamento regionale, in virtù proprio del rinvio dinamico disposto nelle succitate norme.
Inoltre, l’art. 36 della legge regionale 23 febbraio 1962 n. 2, stabilisce che “per tutto quanto non è previsto nella presente legge, si applicano, in quanto compatibili, le norme relative al personale civile dell’Amministrazione dello Stato”; sul punto nessuna incompatibilità può sussistere tra l’applicazione dell’art. 25 del decreto legislativo n. 51/2001, teso alla tutela della maternità, e la normativa regionale che ne regola la materia.
Ciò premesso, l’art. 14 co. 3° del decreto legislativo n. 503/1992 stabiliva che i periodi successivi al 01.01.1994, per i quali era prevista l’astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza, davano luogo, anche se intervenuti al di fuori del rapporto di lavoro, a contribuzione figurativa, purché la lavoratrice dipendente, al momento della domanda, avesse potuto far valere almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di effettiva attività lavorativa nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, o nelle forme di previdenza sostitutive od esclusive della medesima.
La citata disposizione normativa è stata, sostanzialmente, ripresa dall’art. 2 co. 4° del decreto legislativo n. 564/1996.
Con l’entrata in vigore (27.01.2001) del decreto legislativo n. 151/2001, i periodi fuori dal rapporto di lavoro, corrispondenti a quelli di astensione obbligatoria per maternità, sono divenuti risconoscibili a domanda, mediante accredito di contribuzione figurativa, indipendentemente dal fatto che si siano verificati prima o dopo il 1° gennaio 1994, alla sola condizione che il dipendente interessato possa vantare almeno cinque anni di contribuzione versata per effettiva attività lavorativa (art. 25); ciò anche per l’effetto abrogativo dall’art. 86, lett. j) ed n), del citato decreto legislativo, nei confronti dell’art. 14 co. 1° e 3° del d.lgs n. 503/1992, nonché dell’art. 2 del d.lgs n. 564/1997.
In conseguenza della suddetta novella legislativa, la Corte Costituzionale, in un giudizio instaurato contro l’I.N.P.S. in cui si discuteva del riconoscimento della contribuzione figurativa per eventi avvenuti precedentemente all’01.01.1994, ha rimesso gli atti al giudice a quo al fine di “valutare la permanente rilevanza della prospettata questione” (ordinanza n. 193/2001).
Alla luce di quanto argomentato, il beneficio di cui all’art. 25 co. 2° del decreto legislativo n. 151/2001 è subordinato alla sola circostanza che la richiedente abbia “almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro”.
In altre parole, il legislatore ha inteso tutelare la maternità tout court, prescindendone dalla collocazione temporale, nonché dai requisiti soggettivi della richiedente, non rilevando se in servizio oppure in quiescenza.
Nessuna lettura restrittiva della citata norma, del resto, potrebbe essere giustificata in base ad un diversa opzione ermeneutica tesa a privilegiare il lessico utilizzato: “soggetti iscritti” al fondo pensioni lavoratori dipendenti o alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive, sono sia coloro che, ancora in attività di servizio, versano i relativi contributi (c.d. iscrizione attiva), sia coloro che, in quiescenza, usufruiscono delle relative prestazioni (c.d. iscrizione passiva); anzi è proprio il lessico volutamente generico che deve condurre anche in quest’ultima direzione.
Se il legislatore avesse voluto riferirsi ad una particolare platea di soggetti, come le lavoratrici ancora in servizio, ne avrebbe dovuto fare espressa menzione nel testo normativo, come in effetti è avvenuto nell’abrogato art. 14 co. 3° del d.lgs n. 503/1992.
A suffragare tale conclusione non è di alcun ostacolo neanche l’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile che sancisce l’irretroattività della legge, in quanto tale norma non ha rango costituzionale e può essere derogata da fonte di pari grado.
In ultimo, non si può non tacere delle opposte conclusioni cui sono giunti i maggiori istituti previdenziali operanti nell’ambito dell’ordinamento statale: l’I.N.P.S., nella circolare n. 102 del 31.05.2002, ha previsto espressamente che ove l’accredito figurativo sia richiesto da soggetti già titolari di prestazioni pensionistiche “deve procedersi alla ricostituzione delle stesse”; invece l’I.N.P.D.A.P., nell’informativa n. 8 del 28.02.2003, ha stabilito che l’istanza amministrativa di cui all’art. 25 del d.lgs n. 151/2001, può essere presentata solo da coloro che sono “in servizio alla data di entrata in vigore” del citato testo normativo.
Per quanto argomentato, il ricorso in epigrafe è meritevole di accoglimento, considerato che i requisiti richiesti dall’art. 25 del d.lgs n. 151/2001 (contribuzione quinquennale e gravidanze avvenute al di fuori del rapporto di lavoro) non sono stati oggetto di specifica contestazione da parte dell’Amministrazione che, nella memoria di costituzione, si è limitata a sostenere l’inefficacia retroattiva della citata norma (si veda istanza dell’interessata prot. n. 2873 ricevuta il 03.04.2003).
In ogni caso, dalla documentazione agli atti si desume che la Sig.ra M.R. è stata inquadrata nel ruolo delle “insegnati di scuola materna regionale con decorrenza giuridica 01.09.1994 ed economica 01.09.1991”, giusta il D.D.R. n. 151/III^ del 18.01.2001, con un servizio di ruolo di anni 9 e non di ruolo riconosciuto di anni 9 e giorni 8 (totale anni 18 e giorni 8) e che ha partorito tre figli in data 20.01.1955, 23.05.1959 e 04.06.1965.
Alla luce di quanto argomentato, deve essere riconosciuto il diritto della ricorrente alla rideterminazione della pensione in godimento, con l’accredito della contribuzione figurativa prevista dall’art. 25 co. 2° del d.lgs n. 501/2001, secondo quanto indicato nell’istanza prot. n. 2873 ricevuta in data 03.04.2003.
Occorre, sul punto, precisare che il beneficio in questione non è attribuito d’ufficio dall’Amministrazione, ma su esplicita domanda di parte e, pertanto, la rideterminazione del trattamento di quiescenza non può che avvenire dalla data di presentazione dell’istanza amministrativa, nel caso di specie dal 03.04.2003.
Sui ratei pensionistici arretrati, trattandosi di crediti di natura previdenziale, deve essere riconosciuto, dalle singole scadenze al saldo, il diritto della ricorrente agli interessi legali rilevati anno per anno, integrati per gli anni in cui l’indice di svalutazione monetaria ne avesse ecceduto la misura dall’importo differenziale di detta svalutazione, calcolata secondo l’indice i.s.t.a.t. relativo all’anno di riferimento (ex art. 150 disp. att. cod. proc. civ.), giusta l’orientamento giurisprudenziale costante della Corte dei Conti (Sezioni Riunite n. 10/2002/QM; Sezione I^ Centrale d’Appello n. 110/2003 e n. 70/2003; Sezione III^ Centrale d’Appello n. 182/2003), le cui argomentazioni sono condivise da questo Giudice.
In ultimo, questo Giudice non ritiene che possa trovare applicazione l’art. 147 del D.P.R. n. 1092/1973, come ritenuto dall’Amministrazione regionale nella memoria in atti, stante l’evidente incompatibilità.
Il citato articolo stabilisce, infatti, che la domanda relativa al computo di determinati periodi, con o senza riscatto, deve essere presentata “all’atto dell’assunzione del servizio”, o “due anni prima del raggiungimento del limite di età previsto per la cessazione dal servizio, pena la decadenza” o, in ultimo, “a pena di decadenza, entro novanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di cessazione”.
E’ ovvio che il beneficio dell’accredito dei contributi figurativi, esteso anche agli eventi accaduti precedentemente all’01.01.1994, non può essere assoggettato, nel caso di lavoratrici già in quiescenza, ad alcun termine di decadenza, sia perché non espressamente previsto dall’art. 25 del d.lgs. n. 501/2001, sia perché la peculiarità della fattispecie ne rende impossibile il collocamento tra le ipotesi descritte dall’art. 147 D.P.R. n. 1092/1973.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.
P. Q. M.
La Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana – in composizione monocratica del Giudice Unico per le pensioni, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e per l’effetto:
– riconosce il diritto della ricorrente alla rideterminazione della pensione in godimento con l’accredito della contribuzione figurativa prevista dall’art. 25 co. 2° del d.lgs n. 501/2001, secondo quanto indicato nell’istanza prot. n. 2873 ricevuta in data 03.04.2003, con decorrenza da quest’ultima data;
– sui ratei pensionistici arretrati, deve essere riconosciuto, dalle singole scadenze al saldo, il diritto della ricorrente agli interessi legali rilevati anno per anno, integrati per gli anni in cui l’indice di svalutazione monetaria ne avesse ecceduto la misura dall’importo differenziale di detta svalutazione, calcolata secondo l’indice i.s.t.a.t. relativo all’anno di riferimento (ex art. 150 disp. att. cod. proc. civ.);
– compensa le spese del giudizio.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio dell’11 marzo 2005.
Depositata oggi in segreteria nei modi di legge.
Palermo, 11 aprile 2005
Sentenza n. 133/2005
CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PIEMONTE
Svolgimento del processo
La Direzione della sede provinciale di Vercelli dell’INPDAP, con provvedimento in data 19 dicembre 2003, prot. n. 26911 comunicava alla signora F.B. la reiezione della domanda, da quest’ultima presentata, diretta ad ottenere la rideterminazione della pensione diretta n. 14022746 mediante l’accredito dei periodi di maternità relativi alla nascita della figlia T.G. avvenuta il 1° maggio 1971.
La signora F.B. ha proposto, quindi, azione giudiziale con il ricorso introduttivo del presente giudizio, che è stato notificato all’Ente previdenziale in data 10 giugno 2004 e depositato nella Segreteria di questa Sezione il successivo 7 luglio.
La ricorrente, già dipendente pubblica, ha contestato la legittimità del provvedimento dell’Ente previdenziale che aveva rigettato l’istanza con la motivazione che al momento della presentazione della domanda (5 – 8 febbraio 2003) la richiedente era già in quiescenza; ha rilevato che il riconoscimento del beneficio previsto dall’articolo 25, comma 2 del d. lgs. n. 151 del 2001 spetterebbe a tutti i soggetti che possano far valere cinque anni di contribuzione, versata in costanza del rapporto di lavoro, indipendentemente dal momento in cui la domanda è stata presentata.
Ha evidenziato, altresì, che l’interpretazione della norma fornita dall’ente previdenziale, secondo il quale nel settore pubblico il beneficio dell’accredito figurativo sarebbe riservato alle donne che al momento della presentazione dell’istanza stanno svolgendo ancora attività lavorativa, mentre nel settore privato potrebbe essere richiesto da tutte, indipendentemente dalla circostanza che al momento della richiesta siano in attività o pensionate, sarebbe illegittima e contrastante con lo
spirito delle norme che nell’ordinamento tutelano la maternità e, più in generale, con il principio di eguaglianza.
Ha concluso chiedendo il riconoscimento del diritto ad ottenere la ricostituzione della pensione n. 14022746 mediante l’accredito del periodo di maternità afferente la nascita della figlia.
L’INPDAP si è costituito in giudizio depositando il 16 marzo 2005 una memoria difensiva, datata 14 marzo 2005, ed alcuni documenti; l’ente previdenziale ha contestato la pretesa della ricorrente e giustificato l’operato dell’Ufficio che aveva respinto la domanda di rideterminazione del trattamento pensionistico rilevando che la norma dell’art. 25 del d. lgs. n. 151 del 2001 prevederebbe quale condizione essenziale per il riconoscimento del beneficio ai soggetti che dipendono dall’INPDAP, che la domanda sia presentata da dipendenti in servizio.
In conseguenza ha chiesto che il ricorso venisse respinto.
All’udienza di discussione del 14 aprile 2004, il G.U., rilevato che l’INPDAP aveva prodotto in giudizio un documento denominato “informativa n. 8 del 28 febbraio 2003” e che l’ente previdenziale asseriva che le conclusioni ivi contenute erano tratte da un parere del Ministero del Welfare, ha ordinato all’INPDAP di provvedere al deposito di detto parere e fissato nuova udienza di discussione per il giorno 22 aprile 2004.
All’odierna udienza di discussione, in via preliminare il dott. Prato, rappresentante dell’INPDAP, ha dichiarato di non essere in grado di provvedere al deposito del parere ministeriale perché le informative dell’ente previdenziale sarebbero emanate a seguito di consultazione con gli uffici ministeriali, anche in assenza di formale parere scritto.
L’avv. Gu., per la ricorrente, ha illustrato le ragioni poste a base del ricorso introduttivo e, a sostegno della domanda, ha prodotto la circolare n. 61, in data 26 marzo 2003 dell’I.N.P.S. e il “Messaggio n. 24070” dell’I.N.P.S. del 29 luglio 2004.
A seguire, il dott. Prato ha illustrato le ragioni dell’ente previdenziale chiedendo che la domanda venisse respinta ed a sostegno delle sue tesi ha richiamato alcune pronunce di questa Sezione che, nel recente passato, hanno respinto alcuni ricorsi aventi oggetto analogo a quello proposto dalla signora F.B..
La causa, quindi, è stata trattenuta a decisione.
Motivi della decisione
La domanda proposta dalla ricorrente riguarda la legittimità del provvedimento con il quale l’ente previdenziale ha respinto l’istanza diretta ad ottenere la rideterminazione del trattamento pensionistico conteggiando il periodo di contribuzione figurativa relativo a due maternità svoltesi al di fuori del rapporto di lavoro, così come previsto dall’art. 25, comma 2° del d. lgs. 26 marzo 2001, n. 151.
La ricorrente contesta il provvedimento ritenendo che la disciplina posta dal citato comma 2° dell’art. 25 del d. lgs. n. 151 si applichi sia ai pensionati del settore privato che a quelli del settore pubblico e che, contrariamente a quanto ritenuto dall’ente previdenziale, la domanda di rideterminazione possa essere presentata anche dalla pensionata dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
La questione è stata affrontata già da questa Sezione che, sinora, ha respinto la richiesta di rideterminazione del trattamento pensionistico, qualora la richiedente al momento della presentazione dell’istanza risultasse già in pensione.
La rimeditazione della soluzione accolta da altri Giudici di questa Sezione impone un’approfondita analisi della normativa in questione.
1) L’art. 25, comma 2 del d. lgs. 26 marzo 2001, n. 151 prevede che “in favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti al congedo di maternità di cui agli artt. 16 e 17, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versta in costanza di rapporto di lavoro. …”.
La disposizione, la cui rubrica recita “trattamento previdenziale”, è contenuta nel “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53” che è stato emanato “al fine di conferire organicità e sistematicità alle norme in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, già presenti nell’ordinamento, come stabilisce la legge di delega (il citato art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città).
Dalla natura e dalla portata del d. lgs. n. 151 del 2001 si evince che il diritto all’utilizzo a fini pensionistici dei periodi corrispondenti al congedo per maternità verificatosi al di fuori di un rapporto di lavoro è stato originariamente previsto da altra disposizione di legge e, al fine di stabilire natura e limiti del beneficio rivendicato dalla ricorrente, si rende necessario analizzare il testo della norma originaria, il contesto nel quale è stata introdotta e le modifiche successivamente intervenute.
2) La tutela della maternità nell’ambito del rapporto lavorativo è piuttosto recente ed è stata attuata con alcuni interventi legislativi disorganici che, col tempo, sono stati coordinati in modo omogeneo.
In particolare, con riferimento all’oggetto del presente giudizio, occorre richiamare il d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 che, disciplinando il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori pubblici e privati, all’art. 14 (la cui rubrica recita riscatto di periodi non coperti da assicurazione) prevedeva al primo comma, in linea generale, che ” I lavoratori dipendenti che possono far valere complessivamente almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di effettiva attività lavorativa nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti o nelle forme di previdenza sostitutive od esclusive della medesima hanno facoltà di riscattare, a domanda, con le norme e le modalità di cui all’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, e successive modificazioni ed integrazioni, nella misura massima complessiva di cinque anni, periodi corrispondenti a quelli di assenza facoltativa dal lavoro per gravidanza e puerperio e periodi di congedo per motivi familiari concernenti l’assistenza e cura di disabili in misura non inferiore all’80% per cento, purché in ogni caso si tratti di periodi non coperti da assicurazione e successivi al 1 gennaio 1994”. Inoltre, con specifico riferimento alle maternità avvenute in assenza di rapporto di lavoro stabiliva al terzo comma che “I periodi successivi al 1^ gennaio 1994 per i quali sia prevista l’astensione obbligatoria dai lavoro per gravidanza e puerperio, ancorché intervenuti al di fuori del rapporto di lavoro, danno luogo, sempreché il lavoratore possa far valere l’anzianità lavorativa di cui al comma 1, a contribuzione figurativa da accreditare secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155.”
La norma conteneva un esplicito riconoscimento del diritto ad ottenere la contribuzione figurativa per le maternità avvenute in epoca nella quale non era in corso alcun rapporto di lavoro ponendo quali unici limiti che tali maternità fossero successive al 1° gennaio 1994 e che la richiedente avesse versato almeno 5 anni di contribuzione in costanza di un rapporto di lavoro. Successivamente interveniva il d. lgs. 16 maggio 1996, n. 564 che attuando la delega prevista dall’art. 1, comma 39 della legge 8 agosto 1995, n. 335 di riforma del sistema pensionistico, all’art. 2 (rubricato periodi per maternità), stabiliva che “In favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria dal lavoro di cui agli articoli 4 e 5 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 e successive modificazioni e integrazioni, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro. La contribuzione figurativa viene accreditata secondo le disposizioni di cui all’art. 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155, con effetto dal periodo in cui si colloca l’evento”. La norma richiamava quella contenuta nell’articolo 14, eliminando, però, la limitazione del diritto, ivi contenuta, alle maternità verificatesi successivamente al 1° gennaio 1994.
Da ultimo è intervenuto il già citato “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”, emanato con il d. lgs 26 marzo 2001, n. 151, il cui art. 25 ha ripreso testualmente l’art. 2, del d. lgs. n. 564 del 1996, ad eccezione del riferimento agli artt. 4 e 5 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (la prima legge organica di tutela della maternità in ambito lavorativo) che è stato sostituito con il riferimento agli artt. 16 e 17 dello stesso testo unico che regolamentano diritti e doveri in occasione delle maternità in ambito lavotrativo.
Così ricostruito il quadro normativo, risulta che fino al 31 dicembre 1993 il beneficio dell’accredito figurativo per “maternità” era limitato agli eventi verificatesi nel corso di un rapporto di lavoro; con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 si è provveduto ad estendere la contribuzione figurativa (da accreditare secondo le disposizioni di cui all’art. 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155) ai periodi successivi al 1° gennaio 1994 per i quali fosse prevista l’astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio, che intervenissero al di fuori del rapporto di lavoro. Con il successivo art. 2 del d. lgs n. 564 del 1996 la norma che disciplinava il riconoscimento della contribuzione figurativa è stata modificata, senza alcun richiamo al testo contenuto nel d. lgs. n. 503 del 1992 e, segnatamente, al limite temporale del 1° gennaio 1994, ivi previsto. La disposizione contenuta nell’art. 25 del successivo Testo Unico, di cui al d. lgs n. 151 del 2001 riprende la norma da ultimo citata e pone quale unico limite alla fruizione del beneficio la condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro.
Detto decreto legislativo ha recepito sostanzialmente il contenuto dell’art. 2 del d. lgs. n. 564 del 1996, che è stato contestualmente abrogato, in forza del successivo art. 86, il quale ha abrogato anche i commi 1 e 3 dell’art. 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 503. In conclusione: è venuto meno il limite in ordine alla collocazione temporale dell’evento da riconoscere, con estensione della copertura previdenziale anche agli eventi antecedenti il 1° gennaio 1994, consentendosi così il riconoscimento figurativo, in favore delle richiedenti che siano già in pensione (sul punto, ampiamente: Cass. civ., Sez. Lav., 25 novembre 2004, n. 22244).
3) L’interpretazione della normativa vigente nei termini sopra prospettati risulta accolta dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale – INPS, che, con la circolare n. 102 del 31 maggio 2002, ha chiarito che, in seguito all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 151/2001, i periodi corrispondenti a quello dell’astensione obbligatoria relativi ad eventi verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, fermo restando il requisito contributivo minimo di 5 anni, già previsto dall’art. 14 del decreto n. 503, sono riconoscibili a domanda indipendentemente dalla loro collocazione temporale e dalla circostanza che il richiedente sia ancora in servizio o meno.
Ha, altresì, precisato che l’art. 25 di detto decreto, “non ponendo più alcun limite in merito alla collocazione temporale dell’evento da riconoscere, ha pertanto esteso la copertura previdenziale anche agli eventi antecedenti il 1° gennaio 1994, consentendo il riconoscimento figurativo dei relativi periodi nella durata corrispondente a quella dell’astensione obbligatoria fruita in costanza di rapporto di lavoro”.
L’INPS ha ribadito, in numerose occasioni, tale interpretazione della norma che è anche stata fatta propria dalla giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass. civ., Sez. Lav., 25 novembre 2004, n. 22244 cit.).
In particolare, con la circolare n. 61 del 26 marzo 2003, prodotta in giudizio dal legale della ricorrente, ha, testualmente, precisato che “la condizione di iscritto deve intendersi perfezionata anche nel caso l’iscrizione non sia più in atto alla data della domanda”.
Al contrario, l’INPDAP ha ritenuto che il riconoscimento della contribuzione di maternità figurativa riconosciuto dal citato art. 25 del d. lgs. n. 151 del 2001 debba essere limitato alle sole lavoratrici in servizio al momento della presentazione dell’istanza poichè detta norma specificherebbe che la domanda può essere presentata all’ente previdenziale solo dagli “iscritti” e tale qualifica si perderebbe, perlomeno in relazione alla normativa che disciplina l’INPDAP, con il collocamento a riposo (Informativa n. 8 del 28 febbraio 2003). Attenendosi a tale interpretazione della norma ha negato e nega la rideterminazione del trattamento pensionistico alle donne che hanno presentato la domanda successivamente al collocamento in quiescenza.
La ricostruzione operata dall’INPDAP contrasta con tutte le disposizioni legislative introdotte a partire dal 1992, e in particolare con l’art. 25 del d. lgs. n. 151 del 2001, che hanno lo scopo di riconoscere alle donne lavoratrici una contribuzione figurativa per le maternità svoltesi al di fuori del rapporto di lavoro.
Infatti, l’accredito figurativo, sia pure limitato ai periodi successivi al 1° gennaio 1994, è stato introdotto dal citato art. 14 del d. lgs. n. 503 del 1992 che ha avviato l’opera di riordino del sistema previdenziale pubblico e privato, senza porre alcuna distinzione in ordine alla tutela della maternità fra settore pubblico e privato.
Analogamente, il successivo art. 2 del d. lgs. n. 564 del 1996, emanato, si ripete, in attuazione della legge n. 335 del 1995 di riforma del sistema pensionistico sia pubblico che privato, ha previsto l’eliminazione del discrimine temporale (1° gennaio 1994), anche qui senza distinguere fra lavoratrici dell’uno o dell’altro settore.
Da ultimo, il legislatore con il testo unico del 2001ha inteso disciplinare “i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e alla paternità” (art. 1), senza distinguere fra settore di appartenenza dei beneficiari delle singole disposizioni. Anzi, siccome al Capo X sono state dettate alcune disposizioni speciali per disciplinare alcune categorie di dipendenti pubblici, di dipendenti privati e di soggetti dotati di un particolare status quali sono i professionisti (artt. 57 e segg.) è ancor più evidente che le altre norme, ivi compreso l’art. 25, si applicano indifferentemente ai lavoratori del settore privato e a quelli del settore pubblico.
Il legislatore ha voluto, con norme che estendono via via l’ambito di applicazione, tutelare e proteggere la maternità e le sue conseguenze sui diritti patrimoniali delle donne, prescindendo dalla collocazione temporale dei requisiti soggettivi delle richiedenti, senza attribuire alcun rilievo alla circostanza che le stesse fossero in servizio o meno.
Con la conseguenza che il diritto regolamentato dal già ampiamente citato articolo 25 deve essere riconosciuto in modo pieno a tutte le beneficiarie, indipendentemente dal settore di appartenenza. La norma pone quale unico esplicito limite che in favore della richiedente siano stati versati cinque anni di contribuzione in costanza del rapporto di lavoro e non pone alcun divieto di presentazione dell’istanza successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro.
Su questa conclusione si è attestata anche la giurisprudenza di altra Sezione di questa Corte (Corte dei conti, sez. giurisd. Sicilia, 11 aprile 2005, n. 877).
A questo proposito nessun rilievo, contrariamente a quanto ritenuto dall’INPDAP, può essere attribuito all’espressione “iscritti” contenuta nel citato comma 2 dell’art. 25 del d. lgs. n. 151 perché, considerata la finalità della norma ed il contesto in cui è inserita, si tratta di un’espressione atecnica e generica che serve a ricomprendere tutti quelli la cui posizione è gestita, in un modo o nell’altro, da un ente previdenziale.
In conclusione: il comportamento dell’INPDAP che non riconosce a coloro che sono già in pensione il diritto di ottenere il beneficio del riconoscimento della contribuzione figurativa per i periodi di maternità svolti al di fuori di un rapporto di lavoro si pone in contrasto con la previsione dell’art. 25, comma 2° del d. lgs. n. 151 del 2001 ed ogni provvedimento emanato al riguardo è da considerare illegittimo.
4) Come risulta dal tenore della norma che lo disciplina, il beneficio del riconoscimento della contribuzione figurativa non è attribuito d’ufficio dall’Amministrazione, ma l’ente previdenziale è tenuto ad effettuare la rideterminazione a seguito di specifica istanza dell’interessato, per cui la ricostituzione della posizione non può essere retroattiva ma deve decorrere dal momento della presentazione dell’istanza.
5) L’applicazione delle norme sopra richiamate al caso di specie comporta l’accoglimento della domanda proposta dalla signora F.B..
Risulta, infatti, che la ricorrente in data 5 – 8 febbraio 2003 ha chiesto all’INPDAP, sede di Vercelli, l’accreditamento del periodo di maternità previsto dal d. lgs. n. 151 del 2001.
Al momento della richiesta la ricorrente era in quiescenza e durante l’attività lavorativa precedentemente svolta era stata versata in suo favore una contribuzione pari ad almeno cinque anni. La circostanza risulta incontestata nel presente giudizio.
L’Ente previdenziale in data 19 dicembre 2003 ha respinto la domanda.
La decisione dell’INPDAP non è condivisibile, per le ragioni esposte ai numeri precedenti, tenuto conto che la signora F.B. ha regolarmente versato contribuzione per cinque anni durante lo svolgimento dell’attività lavorativa e, al di fuori di essa, ha avuto due maternità, l’una in data 3 marzo 1969 e l’altra in data 30 aprile 1971.
In conclusione deve essere riconosciuto il diritto della ricorrente a che l’Ente previdenziale provveda alla rideterminazione della posizione pensionistica n. 14022746, accreditando il periodo previsto dall’art. 25 comma 2° del d. lgs. 26 marzo 2001, n. 151, relativo alla nascita della figlia T.G. avvenuta in data 1° maggio 1971.
La decorrenza della ricostituzione della posizione deve essere effettuata, per le ragioni esposte sopra, a partire dall’8 febbraio 2003, giorno di presentazione dell’istanza da parte della ricorrente.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti – Sezione giurisdizionale Regionale per il Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, accoglie la domanda proposta con il ricorso n. 16785/C, presentato dalla signora F.B. e, per l’effetto riconosce il diritto della ricorrente ad ottenere la ricostituzione della posizione pensionistica n. 14022746, accreditando il periodo previsto dall’art. 25, comma 2° del d. lgs. 26 marzo 2001, n. 151, relativo alla nascita della figlia T.G. avvenuta in data 1° maggio 1971, con decorrenza dal giorno di presentazione dell’istanza all’ente previdenziale.
Ordina la restituzione degli atti all’autorità amministrativa per i provvedimenti di sua competenza.
Compensa le spese di giudizio
Così deciso in Torino, nella camera di consiglio del 22 aprile 2005.
Depositata in Segreteria il giorno 26 Aprile 2005
CORTE DEI CONTI – A Sezioni Riunite – in sede giurisdizionale
SENTENZA n. 7/2006
nei giudizi riuniti innanzi alle Sezioni Riunite della Corte dei conti su questione di massima di cui ai nn. 216/SR/QM e 217/R/QM del registro di segreteria, su deferimento della Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, in composizione monocratica, rispettivamente con ordinanze nn. 6 e 7 dei giorni 6 e 8 febbraio 2006 ,
Visti gli atti e i documenti tutti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 7 maggio 2006, con l’assistenza del segretario, sig. Carlo Selvaggio, il relatore, Cons. Leonardo Venturini, ed il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale Fiorenzo Santoro
Ritenuto in fatto
Con le ordinanze di cui in epigrafe, la Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte ha deferito alle Sezioni Riunite la questione di massima in ordine al “riconoscimento, ai fini pensionistici, dei periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, verificatasi al di fuori del rapporto di lavoro, ai sensi dell’articolo 25, comma 2, del DLgs 26 marzo 2001, n. 151, in relazione a quanto disposto dagli articoli 16 e 17 dello stesso testo normativo i quali disciplinano diritti e doveri in occasione della maternità in ambito lavorativo”.
La problematica è insorta all’evidenza del remittente a seguito di due ricorsi, depositati il 13 aprile ed il 17 maggio del 2005 presso la Sezione remittente ed iscritti ai nn. 17104/C e 17144/c del registro di segreteria, con i quali, rispettivamente, le sig.re Beccaria Silvana e Botta Maria, quest’ultima rappresentata e difesa dall’avv.to Paola Guglielmina, (e nella presente fase giudiziale, con memoria prodotta in data 6 maggio 2006, dall’avv.to Pasquale Nappi, presso il cui studio in Roma, via Agri n. 1 elegge domicilio) hanno chiesto il riconoscimento del diritto ad ottenere la rideterminazione del trattamento pensionistico mediante l’accredito dei periodi di maternità afferenti la nascita del proprio figlio, beneficio previsto dall’articolo 25, comma 2 del DLgs n. 151 del 26 marzo 2001; mediatamente hanno censurato il diniego di detto riconoscimento, frapposto dall’INPDAP e ancorato all’interpretazione della predetta norma, secondo la quale nel settore pubblico il beneficio dell’accredito figurativo sarebbe riservato alle donne che al momento della presentazione dell’istanza stanno svolgendo ancora attività lavorativa, mentre nel settore privato potrebbe essere richiesto da tutte, indipendentemente dalla circostanza che al momento della richiesta siano in attività o pensionate. L’interpretazione, secondo tesi oggetto del ricorso, sarebbe illegittima e contrastante con lo spirito delle norme che nell’ordinamento tutelano la maternità e, più in generale, con il principio di eguaglianza.
Il Giudice “a quo” si premura di precisare che la questione posta ora al vaglio di queste Sezioni Riunite, risulta, allo stato, risolta, in modo conforme alla tesi sostenuta dalle ricorrenti, in alcune pronunce della medesima Sezione giurisdizionale regionale per il Piemonte nonché in alcune sentenze sempre emesse da Sezioni giurisdizionali regionali (si citano le sentenze n. 877/05, Sezione giurisdizionale Sicilia in data 11 aprile 2005 e sentenza n. 605/05, Sezione giurisdizionale Toscana in data 11 maggio 2005); all’opposto, è stata definita con decisioni di rigetto sia dalla Sezione giurisdizionale regionale per il Piemonte, in diversa composizione monocratica, sia da altre Sezioni territoriali della Corte dei conti (si richiamano le sentenze Sezione giurisdizionale Piemonte n. 66/05 e n. 339/05, Sezione giurisdizionale Lombardia in data 30 settembre 2004 e 28 aprile 2005).
Viene precisato che nessuna pronuncia d’appello sulla questione in esame risulta ad oggi emanata.
Prima di delineare i termini della problematica di cui alla questione di massima, a motivo del permanente contrasto giurisprudenziale menzionato, il remittente tratteggia il complesso e articolato regime normativo nel cui alveo interpretativo, diacronicamente, si colloca la questione che qui si deve affrontare, regime il cui esito cronologico è rappresentato dall’articolo 25, comma 2 del DLgs. 26 marzo 2001, n. 151, il quale prevede che “in favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti al congedo di maternità di cui agli articoli 16 e 17, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro …”.
La disposizione, contemplata nel capo dedicato al “trattamento previdenziale”, è contenuta nel “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53” che è stato emanato “al fine di conferire organicità e sistematicità alle norme in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, già presenti nell’ordinamento, come stabilisce la legge di delega (il citato articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città). Ciò premesso, osserva il Giudice “a quo” che le sentenze fino ad oggi emesse sia dalla stessa Sezione giurisdizionale per il Piemonte nonché da altre Sezioni giurisdizionali regionali interpretano l’applicanda normativa pervenendo in punto di diritto a conclusioni diametralmente opposte.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale (si fa riferimento a sentenza n. 150/03, Sezione giurisdizionale Piemonte in data 13 aprile 2005; sentenza n. 162/05, Sezione giurisdizionale Piemonte in diversa composizione monocratica, del 17 maggio 2005; sentenza n. 339/05, Sezione giurisdizionale Lombardia in data 28 aprile 2005) viene privilegiato il significato letterale del termine “iscritto”, interpretato come condizione riconoscibile e sussistente solo per coloro ancora in servizio al momento della presentazione dell’istanza. Si trae allora la conseguenza secondo la quale l’iscrizione al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui al citato articolo 25 si riferisce esclusivamente a coloro che versano i contributi in quanto prestano attività lavorativa. Il beneficio in questione opererebbe quindi solo nella ricorrenza di entrambi i requisiti, vale a dire, l’iscrizione al Fondo ed il possesso della minima anzianità contributiva.
Fa fronte a quello ora esposto altro orientamento giurisdizionale (sentenza n. 136/05, Sezione giurisdizionale Piemonte in data 22 aprile 2005; sentenza n. 877/05, Sezione giurisdizionale Sicilia in data 11 aprile 2005; sentenza n. 605/05, Sezione giurisdizionale Toscana in data 11 maggio 2005), teso a conferire massimo rilievo alla tutela della condizione di maternità, così che l’espressione “iscritto”, considerata quale espressione atecnica e generica diretta a ricomprendere tutti quelli la cui posizione è, comunque, gestita da un ente previdenziale, comporta che lo status di soggetto ancora in servizio o in quiescenza di chi invoca il beneficio non è decisivo, potendo l’iscrizione concernere chi è ancora in servizio – c.d. iscrizione attiva – ma anche chi, collocato in quiescenza, usufruisce delle prestazioni previdenziali, c.d. iscrizione passiva.
Nelle ordinanze di remissione si dà conto di altre due argomentazioni contrapposte.
Infatti, i sostenitori del primo indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’iscrizione al Fondo non si riferisce a chi è già collocato in pensione, ritengono che un’interpretazione differente, produrrebbe una generalizzata applicazione retroattiva della norma in questione in violazione del canone tendenzialmente generale dell’irretroattività della legge fissato nell’articolo 11, comma 1, delle preleggi. Va quindi esclusa la natura retroattiva della norma di cui al menzionato articolo25, anche in considerazione dell’orientamento tendenziale seguito dal Legislatore nella materia sociale assicurativa, ambito caratterizzato da esplicito ricorso alla retroattività in relazione alle risorse di bilancio apprestate per la copertura dei corrispondenti oneri finanziari.
All’opposto, si rileva, l’antagonista orientamento giurisprudenziale ha ritenuto inconferente alla soluzione del caso di specie la natura retroattiva o meno della norma in esame, la quale, invece, è esito risolutivo di un’evoluzione normativa della materia.
Il Giudice “a quo” non omette di manifestare la propria opzione in merito, ritenendo che i ricorsi in questione meriterebbero di trovare accoglimento, con conseguente declaratoria del diritto della ricorrente ad ottenere la ricostituzione della posizione pensionistica con l’accredito dei periodi di contribuzione figurativa previsti dall’articolo 25, comma2, del DLgs 26 marzo 2001, n. 151.
Infatti, si argomenta, in considerazione del contenuto della norma nonché della natura del beneficio, nessuna relazione sembrerebbe sussistere tra il beneficio e la condizione di servizio; non può disconoscersi che il beneficio in oggetto consiste nel riconoscere la contribuzione figurativa per un periodo – quello di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità – durante il quale chi intende avvalersi del beneficio non era legato al datore di lavoro da alcun rapporto di lavoro in atto. A tale conclusione è stata richiamata la “ratio” specifica della norma, diretta ad elidere nei fatti l’obiettiva penalizzazione che l’astratta capacità di lavorare e di procurarsi tutti i vantaggi ad essa connessi, compresi quelli con effetto sul trattamento di quiescenza, subisce durante un periodo, quello dell’astensione obbligatoria, che non ammette altra scelta.
Simile finalità – secondo i fautori di tale tesi non potrebbe non avere efficacia “erga omnes”, ossia costituire vantaggio di tutti coloro che posseggono i requisiti minimi previsti dalla legge, prospettandosi ogni limitazione come svincolata da un criterio giustificativo.
Risulterebbe poi fallace rinvenire un ostacolo all’optata interpretazione nella disposizione di cui all’articolo 11, comma 1, delle disposizionipreliminari al codice civile che prevede il principio della non retroattività della legge, poiché detto divieto – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento – non è stato, tuttavia, elevato a dignità costituzionale, ad eccezione della prescrizione dell’articolo 25 della Costituzione limitatamente alla legge penale, e può essere derogato da fonte di pari grado.
In ordine alla legittimazione a sollevare questione di massima innanzi a queste Sezioni Riunite, le ordinanze di remissione sottolineano la sussistenza di un contrasto cd. “orizzontale”, ovvero fra sezioni di pari grado; non può essere elemento inibitore la carenza di una pronuncia in grado di appello sulla questione, dato che la funzione deliberato di massima è al servizio della certezza del diritto e del buon operare di un Giudice in seno al proprio contesto giurisdizionale, in questo senso contribuendo ad una deflazione contenziosa, anche rispetto al secondo grado di giudizio.
L’INPDAP – con la memoria di costituzione ed in occasione del giudizio che ha dato luogo all’ordinanza richiedente la pronuncia di massima di cui al presente giudizio – ribadisce eccependo la legittimità del proprio operato, affermando la plausibilità di un diverso trattamento – quale si evincerebbe dall’interpretazione della norma citata, in relazione a diverso atteggiamento adottato dall’INPS, ed espresso con Circolare n. 102 del 2001 – fra regime pensionistico pubblico e regime privato. Per il primo, d’altronde, ove il legislatore abbia intenzione di estendere l’ambito dei destinatari di un istituto, creando così presupposti per una spesa pubblica, deve adempiere all’obbligo di trovare le risorse finanziarie con le quali far fronte a detta spesa.
La sig.ra Botta Maria, con il patrocinio dell’avv.to Nappi ha fatto pervenire, come detto, memoria difensiva, nella quale ripercorre l’”iter” normativo che ha travagliato la materia di cui trattasi e, traendo argomentazioni dal mutamento delle espressioni utilizzate dal Legislatore, dalla nozione di “iscritto” presente negli enunciati di legge, dall’interpretazione della giurisprudenza e dell’amministrazione previdenziale dell’INPS, ritiene pacifica la riconoscibilità dei periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria per maternità anche non in costanza di lavoro indipendentemente dalla loro collocazione temporale e dalla circostanza che il richiedente sia ancora in servizio o meno.
La Procura Generale – con memoria in data 5 maggio 2006 esponente valutazioni poi ribadite in udienza – si mostra favorevole sia alle tesi delle ordinanze di remissione, con ricchezza di argomentazioni, sia in punto di adesione alla ammissibilità del deferimento della questione di massima, permessa dalla normativa in materia anche in caso di contrasto – effettivamente sussistente, come nel caso di specie – fra Sezioni territoriali, qualora non sia intervenuta decisione in grado di appello, ammissibilità non collidente con le funzioni di quest’ultimo Giudice, ma anzi di guida interpretativa anche deterrente ai fini di ulteriore contenzioso.
Al termine della pubblica udienza del giorno 7 maggio 2006 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
In via preliminare va rilevato che le questioni di massima deferite all’esame delle Sezioni Riunite, di cui alle ordinanze epigrafe, per evidenti ragioni di economia processuale e di comune oggetto, ai sensi dell’articolo 274 Codicedi procedura civile sono riunite in rito per essere decise con unica sentenza.
II. Il primo punto che, per priorità logica giuridica, si pone all’esame del giudicante riguarda l’ammissibilità della questione di massima, tematica da considerare nella prospettiva che essa è stata sollevata in assenza di una pronuncia di appello ed invocando un’incertezza interpretativa espressasi concretamente in contrastanti pronunce delle Corti territoriali (numerose, su entrambi i contrapposti fronti: basti citare, ad “exempla”, in aggiunta alle decisioni menzionate nell’ordinanza della Sezione Piemonte, Corte conti, Sezione giurisdizionale Lombardia numeri 379/2005, 1289/2004; Corte conti Sezione giurisdizionale Piemonte numeri 149, 161, 163, 164/2005; Corte conti, Sezione giurisdizionale Umbria numero 179/2005, contrarie alle tesi del remittente; Corte conti, Sezione giurisdizionale Piemonte, numeri 133, 134, 135/2005; Corte conti, Sezione giurisdizionale Toscana numero 768/2005, favorevoli).
La questione, nel contesto in cui è stata formulata e rimessa a queste Sezioni Riunite è certamente ammissibile.
In primo luogo depone a favore della decisione di questa Corte l’espressa formulazione di legge, atteso che ai sensi dell’articolo 1 comma 7, dellalegge n. 19/1994 e successive modifiche le Sezioni riunite della Corte dei conti sono chiamate a decidere “sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite dalle Sezioni giurisdizionali centrali o Regionali ovvero a richiesta del Procuratore generale”; infatti, l’organizzazione della Corte dei conti si struttura su due gradi di giurisdizione e su di un ulteriore grado a cognizione limitata alla soluzione di questioni di massima e dei conflitti di competenza. Il nuovo ordinamento ha previsto la legittimazione all’accesso alle Sezioni Riunite anche per il giudice di primo grado e per il Procuratore generale, sia per prevenire il formarsi sia per dirimere con immediatezza contrasti giurisprudenziali su questioni di particolare rilevanza qualificabili come di massima. (Corte Conti, Sezioni riunite, 31 marzo 2004, n. 5/QM, ma anche si vedano, tra le altre, SS. RR.,17/2003/QM e 6/2004/QM, 22/QM/98). È stato poi ulteriormente precisato che per contrasto – oltre all’attualità e concretezza di un contrapposto indirizzo assunto a fronte di una medesima tematica giuridica- si intendono giudizi discordi di tipo “orizzontale”, cioè tra giudici di pari grado (con il limite, per il contrasto orizzontale fra giudici di primo grado, che non siano intervenute pronunce o pronunce uniformi di appello come pure affermato dal giudice remittente nell’attuale fattispecie, con richiamo alla citata sentenza delle SS.RR. n. 5/QM del 31 marzo 2004); è, invece, inammissibile il deferimento alle Sezioni riunite di questioni che abbiano ad oggetto un contrasto di giurisprudenza “verticale”, cioè tra giudici di grado diverso (sempre Corte Conti, Sezioni Riunite, 31 marzo 2004, n. 5; anche Corte Conti, Sezioni Riunite, 27 febbraio 2004, n. 3/Q). Il contrasto fra primo e secondo grado, infatti, è espressione ellittica in quanto altro non descrive che la fisiologica riforma da parte del giudice adito in secondo grado di quanto deciso in primo. Il sistema, dopo la seconda pronuncia che prevale e si sovrappone alla prima, non presenta più aporie e si assiste ad una “reductio ad unitatem” dell’interpretazione giuridica. Diversa è invece l’ipotesi di diversità di indirizzi giurisprudenziali in grado di appello poiché, in tal caso, è stato affermato, può escludersi l’avvenuta formazione di uno “ius receptum” consolidato, che possa costituire valido ausilio nell’interpretazione normativa (Corte conti, SS.RR., 11/2003/QM). La questione di massima è quindi rimessa nella correttezza dei suoi presupposti e va analizzata e decisa nel merito.
III a). Come detto, questa si sostanzia nella possibilità o meno, di chiedere riconoscimento, ai fini pensionistici, dei periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, verificatasi al di fuori del rapporto di lavoro, ai sensi dell’articolo 25, comma 2, del DLgs 26 marzo 2001, n. 151, senza che sia requisito imprescindibile la sussistenza, al momento della domanda, di un rapporto di attività lavorativa.
La tematica richiede una esposizione dello svolgersi della normativa in materia; solo attraverso l’illustrazione di questa potrà darsi rilievo all’intenzione del legislatore sul punto.
Le disposizioni di legge che interessano la materia in oggetto sono le seguenti.
Inizialmente l’articolo 14 del DLgs n. 503/1992 (Riscatto di periodi non coperti da assicurazione) il quale testualmente recitava:
“1. I lavoratori dipendenti che possono far valere complessivamente almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di effettiva attività lavorativa nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti o nelle forme di previdenza sostitutive od esclusive della medesima hanno facoltà di riscattare, a domanda, con le norme e le modalità di cui all’articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, e successive modificazioni ed integrazioni, nella misura massima complessiva di cinque anni, periodi corrispondenti a quelli di assenza facoltativa dal lavoro per gravidanza e puerperio e periodi di congedo per motivi familiari concernenti l’assistenza e cura di disabili in misura non inferiore all’80% per cento, purché in ogni caso si tratti di periodi non coperti da assicurazione e successivi al 1° gennaio 1994. …omissis
3. I periodi successivi al 1° gennaio 1994 per i quali sia prevista l’astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio, ancorché intervenuti al di fuori del rapporto di lavoro, danno luogo, sempreché il lavoratore possa far valere l’anzianità lavorativa di cui al comma 1, a contribuzione figurativa da accreditare secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155.”
Esplicita, quindi, risultava l’intenzione del legislatore nel limitare la facoltà di richiesta dell’accredito figurativo dei periodi, in astratto, di astensione obbligatoria dal lavoro, anche in assenza, nel concreto, di un rapporto lavorativo, a decorrere solo dal 1994; successivamente è intervenuto l’articolo 2 del DLgs 16 maggio 1996, n. 564 (rubricato: Periodi per maternità), che al comma 4 dispone:
“4. In favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria dal lavoro di cui agli articoli 4 e 5 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 e successive modificazioni e integrazioni, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro. La contribuzione figurativa viene accreditata secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155, con effetto dal periodo in cui si colloca l’evento”.
Da ultimo, è stato emanato il “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53”, emanato con DLgs 26 marzo 2001, n. 151, il cui articolo 25, disciplinando il “trattamento previdenziale” (con riferimento proprio al DLgs 16.09.96, n. 564, articolo 2) che così ha disposto al comma 2: “In favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti al congedo di maternità di cui agli articoli 16 e 17, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro. La contribuzione figurativa viene accreditata secondo le disposizioni di cui all’articolo 8della legge 23 aprile 1981, n. 155, con effetto dal periodo in cui si colloca l’evento”.
È convinzione di questo Collegio essere significativa l’assenza nella disposizione contenuta nell’intervento legislativo del 1996, della limitazione temporale presente nella precedente norma del 1992; conferire alla stessa un significato meramente confermativo di quanto già normativamente sussistente, a fronte di prescrizione (si rammenta, il citato articolo 14 DLgs 30 dicembre 1992, n. 503) chiara nella sua letteralità e nella sua “ratio” appare peraltro contrario a principio di ermeneutica giuridica; le disposizioni cd. “sinonime” o “iterative” (per cui a due o più enunciati corrisponde una sola norma), sono evento eccezionale, in quanto contrario al principio di innovatività delle fonti normative e di quello di economia dei mezzi giuridici e sono caratterizzate da una chiara sovrapponibilità di formulazione letterale e da un’altrettanto palese intenzione del legislatore di conferire ad una prescrizione normativa (ritenuta di particolar rilievo, quindi) particolare enfasi. Non pare questo il caso di specie, ove potrebbe forse discutersi di disposizione “ambigua”, ma, osserva il Giudicante, poco spazio è lasciato all’ambiguità poiché l’unico elemento di rilievo, e di diversificazione, è l’assenza di un riferimento temporale dal tenore discriminatorio. Inoltre non risulta fuori luogo invocare il broccardo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, volendo dar risalto ad un significativo silenzio del legislatore relativo alla determinazione del momento in cui possa essere esercitata dal soggetto legittimato la facoltà di beneficiare dell’accredito figurativo dei periodi di astensione obbligatoria. Ma, da ultimo, dirimente appare la decisione del legislatore di dissipare ogni dubbio (che permaneva, comunque, per vari aspetti, nelle valutazioni degli interpreti, tanto da indurre la richiesta di vaglio della Consulta, la cui pronuncia ha dato luogo all’ordinanza n. 198 del 2001, significativa nel rinviare a nuova valutazione del giudice “a quo” la questione, alla luce dell’intervento legislativo del 2001, cui implicitamente ma con evidenza la Corte ha conferito una valenza dirimente i dubbi creatisi) intervenendo con il citato articolo 2 del DLgs n. 151/2001, che ha significativamente omesso di porre riferimenti temporali all’avvalimento del beneficio in questione.
Si deve trarre la conseguenza giuridica che il diritto all’accreditamento figurativo “de quo” è per volontà del legislatore senza le precedenti limitazioni temporali e, ancora, per ulteriore conseguenza e per palmare interpretazione letterale, esercitabile prescindendo dalla sussistenza di una costanza di servizio.
III b). Su questo convincimento, espresso finora nei suoi fondamenti per tratti generali, è necessario, in questo contesto di formulazione di massima, fornire gli ulteriori approfondimenti legati alla problematica.
Dato incontestabile, per espressa formulazione di legge, è che fino al 31 dicembre 1993 il beneficio dell’accredito figurativo per “maternità” era limitato agli eventi verificatesi nel corso di un rapporto di lavoro. Con il menzionato decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 – recante norme, si badi bene, per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici – è stata estesa la contribuzione figurativa (da accreditare secondo le disposizioni di cui all’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155) ai periodi successivi al 1° gennaio 1994 per i quali fosse prevista l’astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio, che intervenissero al di fuori del rapporto di lavoro (il più volte citato articolo 14, comma 3, del DLgs n. 503/1992).
Con l’articolo 2 del decreto legislativo n. 564/1996, si è provveduto a dare attuazione alla delega conferita dall’articolo 1, comma 39, della legge n. 335/1995, intesa ad armonizzare anche in materia di tutela della maternità il regime previdenziale vigente nel FPLD e negli altri Fondi sostitutivi ed esclusivi dell’AGO, con disposizione posta nei termini di cui sopra si è accennato, come pure preme al Collegio sottolineare il dato della carenza di richiamo al testo contenuto nel DLgs n. 503/92, a voler sottolineare l’intento, “non confermativo” dello stesso ma l’espunzione implicita dall’ordinamento della disposizione e, segnatamente, con essa del dato del limite temporale del 1 gennaio 1994, in quella sede, invece, previsto.
La disposizione contenuta nell’articolo 25 del successivo TU, di cui al DLgs n. 151/2001, con la riserva del riferimento alle nuove norme (articoli 16 e 17, congedo di maternità), reca la medesima formulazione di quella rinvenibile nel quarto comma dell’articolo 2 del DLgs n. 564/96. Peraltro, attualmente questa è sicuramente l’unica norma in vigore, poiché, nella sostanziale ricezione (articolo 25) del testo dei commi 1, 4 e 6 del sopra menzionato articolo 2 del decreto legislativo n. 564/1996, detti commi sono stati contestualmente ed espressamente abrogati, al fine di far venir meno ogni ombra interpretativa, a mente dell’articolo 86 del medesimo DLgs 151/2001. Detto articolo 86 ha pure provveduto all’abrogazione dei commi 1 e 3 dell’articolo 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 503. La ragione di detto successivo intervento, è da ravvisarsi, quindi, secondo il Collegio, nei dubbi che il precedente citato DLgs n. 564/1996 suscitava sul piano operativo nei Giudici che ebbero ad adire la Corte Costituzionale, dubbi compendiati nella menzionata ordinanza del 16 giugno 2001 del 1993 della Consulta, n. 198, la quale ha rinviato, per una soluzione della problematica proposta alla luce dello “ius superveniens” di cui al DLgs n. 151 del 2001. Nella vicenda che ha dato luogo al vaglio di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 4, del DLgs 16 settembre 1996, n. 564, il Giudice di primo grado aveva ritenuto, infatti, (indice dei citati permanenti dubbi sul punto) che la norma in esame non potesse far considerare superato il limite temporale fissato dall’articolo 14 del DLgs 503/1992; il Giudice di secondo grado remittente invece, citando il Giudice delle leggi, “prende le mosse da un diverso presupposto interpretativo, già fatto proprio dalla ricorrente nell’atto di appello, secondo cui l’articolo 2, comma 4, del DLgs n. 564 del 1996, nonostante la mancanza di un’esplicitazione in tal senso, avrebbe eliminato il requisito temporale di cui all’articolo 14 del DLgs n. 503 del 1992, con la conseguenza che le domande finalizzate al riconoscimento dell’accredito figurativo dovrebbero essere accolte anche nel caso della ricorrente;
che tuttavia è proprio l’adozione di siffatta opzione interpretativa a rendere non manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale, poiché l’eliminazione del citato limite di tempo renderebbe evidente che il legislatore delegato ha travalicato i limiti a lui posti dalla legge di delegazione;
che l’articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, infatti, nel fissare la delega che ha poi dato luogo al DLgs n. 564 del 1996, nulla dice circa il limite temporale per il riconoscimento dell’accredito figurativo per maternità, il che palesa la violazione dell’articolo 77 della Costituzione”. Ma, conclude la Corte Costituzionale “successivamente alla discussione avvenuta alla pubblica udienza del 6 marzo 2001, è stato promulgato e pubblicato nella Gazzetta ufficiale il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), entrato in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione;
che detto decreto legislativo (n. 151 del 2001) ha sostanzialmente recepito (articolo 25) il testo dei commi 1, 4 e 6 dell’articolo 2 del DLgs 16 settembre 1996, n. 564, che è stato contestualmente abrogato (articolo 86);
che il menzionato articolo 86 ha pure provveduto all’abrogazione dei commi 1 e 3 dell’articolo 14 del DLgs 30 dicembre 1992, n. 503, dal quale il Tribunale di Firenze ricavava l’esistenza del termine che la norma denunciata avrebbe, a suo avviso, illegittimamente abrogato;
che alla luce di siffatte modifiche normative, pertanto, appare opportuno restituire gli atti al giudice rimettente, affinché provveda a valutare la permanente rilevanza della prospettata questione”.
Appare allora l’intento del legislatore del 2001 inteso a dissipare ogni incertezza interpretativa sia superando la questione della legittimazione del legislatore delegato, sia con riferimento al discrimine temporale del 1.1.1994.
Per la fruizione del beneficio della copertura previdenziale è necessaria, quindi, attualmente, la semplice condizione, siccome descritta dall’enunciazione legislativa, che il soggetto possa far valere, all’atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro anteriormente all’entrata in vigore del menzionato TU 151/2001, senza più il limite in ordine alla collocazione temporale dell’evento da riconoscere, con estensione della copertura previdenziale anche agli eventi antecedenti il 1 gennaio 1994.
È chiaro che il titolo del beneficio risiede nella socialmente percepita (con particolare intensità) istanza valoriale di garantire condizioni di sicurezza e protezione alla complessiva vicenda della maternità. Non è fuori luogo ricordare l’insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza 26 luglio 2000, n. 361) la quale ha rammentato che il fondamento costituzionale della tutela della maternità riposa sulle disposizioni contenute nell’articolo 37 dellaCostituzione, che riguardano specificamente il lavoro subordinato, ma si rinviene in via generale sul principio dell’articolo 31, che protegge la maternità in quanto tale, favorendo gli istituti necessari a tale scopo, e sul precetto dell’articolo 32, per lo specifico profilo della tutela della salute della madre e del bambino. Il legislatore ha dato attuazione in modo progressivo e sempre più esteso all’esigenza di tutela imposta dai citati precetti costituzionali, proteggendo il valore della maternità, anche indipendentemente dallo svolgimento di un’attività lavorativa da parte della donna, come è dimostrato dalle disposizioni contenute nell’articolo 66 dellalegge n. 448 del 1998, che prevedono l’erogazione di un assegno di maternità in caso di limitate risorse economiche del nucleo familiare di appartenenza della madre (V. ora l’articolo 74 del DLgs n. 151/2001, ndr). Sotto questo aspetto, la disposizione qui al vaglio va vista nella prospettiva di una tutela della maternità che non tollera discriminazioni né in relazione all’ordinamento pensionistico di riferimento, pubblico o privato, né di carattere temporale. Sotto il primo profilo basta ricordare che la disposizione in esame è dettata “omnibus”, prescindendo dalla natura della posizione previdenziale di riferimento, essendo indifferente presso quale sistema pensionistico siano stati versati i contributi quinquennali, né potendo, in un’interpretazione ” secundum costitutionem”, il regime pubblico creare indebite e sfavorevoli differenziazioni; d’altro canto il riferimento al presupposto del quinquennio di versamenti contributivi, uno dei requisiti necessari per accedere al trattamento pensionistico nel sistema di quiescenza a carattere cd. “contributivo”, che tende all’omogeneizzazione fra pubblico e privato (legge 8 agosto 1995, n. 335) induce a volgere lo sguardo verso l’esposto principio. Per quanto riguarda il secondo aspetto, l’elemento temporale, se in altre fattispecie può ben fungere da elemento diversificatore di disciplina (Corte costituzionale, sentenza n. 126/2000, e n. 162/2003) mostra invece qui l’opposta esigenza di una uniforme regolamentazione: la Corte Costituzionale (cit. sentenza 26 luglio 2000, n. 361) ha rilevato come la capitale importanza ed il valore della maternità non si conformi diversamente in relazione alla dimensione temporale, permanendo la necessità di una tutela anche al di fuori del rapporto lavorativo, con contenuto e modalità degli interventi legislativi variabili solo in relazione alla specificità delle singole situazioni.
A quanto finora detto conforta queste Sezioni Riunite anche l’analogo atteggiamento assunto, in materia di previdenza presso l’AGO dalla Corte di Cassazione (Cassazione Civile, Sezione lavoro, 24 novembre 2004, n. 22244; 15 settembre 2005, n. 18273).
Ed è di ausilio anche quanto pare possa potersi enucleare dall’evoluzione interpretativa del Giudice della Cassazione, seguendo i percorsi argomentativi nelle decisioni che hanno affrontato il tema che qui ne occupa in relazione alla problematica della retroattività del disposto dell’articolo 25 del DLgs 151 del 2001, argomentazione addotta a favore dei fautori dell’impossibilità di chiedere il beneficio dell’accredito figurativo, una volta cessato il rapporto lavorativo in assenza di costanza di lavoro. Com’è noto, è retroattiva la norma la quale riconnetta conseguenze od effetti giuridici a fattispecie realizzatesi in un momento antecedente la sua entrata in vigore, nozione differente da quella di applicabilità che indica il momento in cui ad una detta norma viene data esecuzione in sede giurisdizionale, dinamica che può avvenire, logicamente, solo dopo la vigenza della norma stessa. Nell’ordinamento vigente, l’ambito temporale di applicazione delle leggi è fissato in via generale da almeno tre disposizioni diverse: tutte e tre – con differenti articolati espressivi – enunciano il principio di irretroattività delle leggi, ossia escludono la possibilità di norme retroattive.
Queste sono:
A) l’articolo 11, comma 1, disp. prel. cod. civ., che stabilisce: “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”;
B) l’articolo 2, comma 1, cod. pen. Il quale dispone che “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”;
C) da ultimo l’articolo 25, comma 2, Cost. dispone che “nessuno può esser punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
Disposizioni dalle quali scaturiscono però norme diverse sia per il profilo contenutistico sia per l’ambito della efficacia.
L’articolo 11, comma 1, disp. prel. cod. civ., si riferisce alla legge in genere, ossia a tutte le leggi (termine inteso in senso ampio come fonte del diritto), senza specificazioni. L’articolo 2 cod. pen. e l’articolo 25, comma 2, Cost., si riferiscono esclusivamente alle leggi penali. In tal senso, mentre l’articolo 11, comma 1, disp. prel. cod. civ., enuncia il principio generale di irretroattività, l’articolo 2 cod. pen. e l’articolo 25 Cost. fanno riferimento solo alla legge penale. Per quanto riguarda l’ambito di efficacia: l’articolo 11, comma 1, disp. prel. C.C. e l’articolo 2 CP. sono disposizioni, entrambe, di rango legislativo ed hanno, perciò, mera forza di legge ordinaria mentre l’articolo 25, comma 2, Cost., è disposizione di rango costituzionale, come tale sovraordinata alle precedenti.
Si deve trarre la conseguenza interpretativa che il principio generale di irretroattività è un principio meramente legislativo e non costituzionale fatta eccezione per l’irretroattività delle disposizioni penalistiche. In conclusione, il più volte citato articolo 11, comma 1, disp. prel. cod. civ., si rivolge ai Giudici rappresentando loro nella attività interpretativa che, di regola, ogni atto o fatto ricade sotto la disciplina delle norme vigenti nel momento in cui si è realizzato (Corte cost. 49/1970). Ma, d’altro canto, nulla osta a che una legge ordinaria connetta ad una fattispecie realizzatasi anteriormente alla entrata in vigore degli effetti in particolare quando questi sono favorevoli (benefici pensionistici, sgravi fiscali) o comunque l’acquisizione di vantaggio (Corte cost. 108/1981). Una legge retroattiva è invece percepita come ingiusta e potrebbe infrangere precetti costituzionali allorché connette ad una fattispecie una conseguenza sfavorevole (una sanzione penale), o comunque uno svantaggio (un obbligo fiscale, “contra” articolo 53 Cost., la limitazione di un diritto).
Tuttavia, si ribadisce, al di fuori della materia penale, il principio di irretroattività, in quanto principio generale dell’ordinamento giuridico, pur riconosciuto come fondamento dello stato di diritto, elemento essenziale di civiltà giuridica e presupposto di certezza del diritto (Corte cost. 13/1977), ha rango non costituzionale, ma solo legislativo. Orbene, la natura di legge ordinaria della disposizione qui in esame siccome sopra interpretata – anche in carenza di un’espressa formulazione – ed il tenore favorevole ai destinatari fanno sì che l’argomento ostativo addotto, legato ad una prospettata retroattività sia privo di pregio.
Ma il Collegio ritiene di dover aggiungere altre considerazioni. Se di retroattività deve parlasi, questa, nel caso di specie, ha una conformazione assai debole in questo senso e assume connotazioni specifiche. L’evento maternità, infatti, non produce immediati effetti giuridici, ponendosi come momento naturalistico di una fattispecie complessa, in cui per il perfezionarsi dell’obbligo all’accredito figurativo occorre una specifica domanda. Per le situazioni antecedenti il DLgs n. 151 del 2001, poi, dispone l’azionabilità del diritto tramite domanda e trova logica e naturale applicabilità solo dopo l’entrata in vigore della specifica disposizione di cui all’articolo 25 del menzionato decreto. Pare al Collegio che anche la Cassazione ha inteso adombrare l’esposta peculiarità della fattispecie solo dimidiatamente qualificabile come retroattiva, laddove nella decisione n. 22244 del 2004 si esprime nei termini di un beneficio esteso a vicende antecedenti il 1994, mentre nella decisione n. 18723 del 2005 fa riferimento a privilegio concesso a domanda (effetti attuali) “in relazione ad eventi anteriori al 1994”. Vale poi la pena di aggiungere che si inscrive in questa dipendenza dalla domanda del beneficio dell’accredito, senza la necessità di altri requisiti, l’inconferenza della nozione di “iscritto” utilizzata dalla enunciazione legislativa per indicare un imprescindibile legame con l’attività lavorativa (vi è l’iscritto attivo, che versa o ha versato i contributi – si noti d’altronde l’ambivalenza del termine che ha valore sia presente che passato – e l’iscritto passivo, che beneficia del trattamento di quiescenza).
Da ultimo non si deve mancare di rilevare che l’accredito a domanda determina gli effetti sul trattamento pensionistico a decorrere dalla stessa e non dall’evento maternità, che, quindi, non è, con riferimento alle vicende anteriori al 2001, dato idoneo a dispiegare – come prima esposto – un effetto retroattivo in senso pieno. In conclusione alla questione di massima posta va data la risposta nel senso della sussistenza del diritto al riconoscimento, ai fini pensionistici, dei periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, verificatasi al di fuori del rapporto di lavoro, ai sensi dell’articolo 25, comma 2, del DLgs 26 marzo 2001, n. 151, in relazione a quanto disposto dagli articoli 16 e 17 dello stesso testo normativo i quali disciplinano diritti e doveri in occasione della maternità in ambito lavorativo, a domanda e con effetti a decorrere dalla stessa, prescindendo dalla circostanza che il richiedente sia in servizio o meno.
P Q M
La Corte dei conti a Sezioni riunite, previa riunione in rito delle questioni di massima proposte dalla Sezione Giurisdizionale Piemonte con le ordinanze in epigrafe così dispone:
“sussiste il diritto al riconoscimento, ai fini pensionistici, dei periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, verificatasi al di fuori del rapporto di lavoro, ai sensi dell’articolo 25, comma 2, del DLgs 26 marzo 2001, n. 151, in relazione a quanto disposto dagli articoli 16 e 17 dello stesso testo normativo i quali disciplinano diritti e doveri in occasione della maternità in ambito lavorativo, a domanda e con effetti a decorrere dalla stessa, ancorché la stessa sia avanzata non in costanza di attività lavorativa”.
Dispone la restituzione degli atti a cura della Segreteria della Sezione al giudice remittente.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 17 maggio 2006. Depositato in segreteria il 14 luglio 2006