Il comune è obbligato a custodire le strade, con la conseguenza che è responsabile dei danni cagionati alle persone e cose, nei limiti in cui non vi sia l’impossibilità di governo del territorio.
L’obbligo di custodia sussiste se vi è:
il potere di controllare la cosa;
il potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa o che in essa si è determinata;
il potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno.
Se anche il danneggiato ha avuto un ruolo causale nella determinazione dell’evento dannoso troverà applicazione l’art. 1227 c.c..
Emiliana Matrone
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 27 marzo 2007, n. 7403
Svolgimento del processo
1. – R.V. ha convenuto in giudizio davanti al tribunale di Frosinone il comune di K..
Ha agito di persona e come rappresentante legale dei figli minori A. e F.C.
Insieme a lei hanno agito Q.C., A.C., S.C., R.C., F.C. e T.C., tutti anche nella qualità di eredi di A.C..
Gli attori hanno proposto una domanda di risarcimento del danno, loro derivato dalla morte del prossimo congiunto A.C., avvenuta il giorno xx dicembre 1980 alle ore xxx in via xxxxx del territorio comunale: causa della morte l’essere l’automobile alla cui guida si trovava A.C. precipitata in una scarpata dopo essere fuoriuscita dalla strada.
2. – Il Comune di K. si è costituito in giudizio ed ha chiesto che la domanda fosse rigettata.
3. – Il tribunale di Frosinone l’ha accolta parzialmente.
Ha dichiarato che il sinistro era avvenuto in eguale misura per il concorso di colpa della vittima e del Comune.
4. – La sentenza è stata impugnata in via principale dal Comune ed in via incidentale dagli attori.
5. – La corte d’appello di Roma ha riformato la decisione ed ha rigettato la domanda.
La sentenza è stata pubblicata il 9 gennaio 2003.
R.V., A. e F. C., A.C., S., R., A., F. e T.C., tutti anche nella qualità di eredi di Q.C. e quali eredi di A.C. ne hanno chiesto la cassazione ed il Comune di K. ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. – La corte d’appello ha premesso che l’incidente in cui A.C. aveva perso la vita – secondo il tribunale – era avvenuto per la fatale disattenzione della vittima, che era a conoscenza della situazione della sede stradale (siccome abitava ad un centinaio di metri) ed alla concorrente responsabilità del Comune proprietario della strada, per avere consentito la normale circolazione su una strada resa estremamente pericolosa senza le opportune cautele e segnalazioni.
Ha però considerato che i dati obiettivi emersi in grado di appello, sia quanto alla situazione dei luoghi che alle concrete modalità dell’incidente, non giustificavano le conclusioni cui era pervenuto il tribunale.
Ed ha osservato:
il tratto di strada interessato dall’incidente era in forte discesa, in stretta curva volgente a destra (rispetto al senso di marcia del guidatore) a fondo cementato in cattive condizioni di esercizio. Però, la curva non costeggiava la scarpata, ma un terreno privato, che costituiva una sorta di riparo naturale per la sede stradale ed avrebbe consentito una manovra di fortuna, perché si estendeva per una superficie di mt. 15 di lunghezza e di mt 8 di larghezza dal margine esterno della carreggiata sino al muro di contenimento da cui l’autovettura era precipitata;
sul luogo in cui s’era verificato l’incidente non vi erano lavori in corso, sicché la ipotizzata presenza di grandi quantitativi di ghiaia trasportata dalle piogge, in quanto lasciata in cumuli sulla sede sovrastante, già predisposta per i lavori, seppure non scartata a priori era stata ritenuta inattendibile in sede di indagine tecnica;
la vettura aveva lasciato sulla strada e poi sul terreno tracce che delineavano un andamento rettilineo, tali da far presumere che il veicolo non tanto avesse sbandato nel percorrere la curva, quanto avesse per cosi dire tirato dritto.
La corte d’appello ne ha tratto queste conclusioni.
Anche in presenza di insidia o trabocchetto, in relazione alla quale è ipotizzabile la responsabilità della P.A. verso l’utente della strada in base alla regola della responsabilità per colpa, perché la situazione di pericolo possa costituire fonte di responsabilità è necessario che abbia avuto efficienza causale nella determinazione dell’evento dannoso.
Ma di ciò non era emersa prova, essendo piuttosto da presumere che il conducente avesse avuto un malore e che, sia pure tentante in extremis una manovra di frenata, avesse attraversato il terreno che separava la strada dalla scarpata in stato di semi – conoscenza.
Anche la presunzione di colpa di cui all’articolo 2051 c.c. – cui gli appellanti avevano fatto riferimento e che peraltro era ritenuta inapplicabile dalla giurisprudenza costante nei riguardi della P.A. proprietaria della strada trattandosi di beni la cui estensione non consente una vigilanza e un controllo continui – presuppone la dimostrazione della esistenza del nesso causale tra custodia e fatto dannoso.
2. – La cassazione della sentenza è chiesta per tre motivi.
Col primo si denunziano vizi di violazione di norme di diritto e di difetto di motivazione (articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c., in relazione agli articoli 2043 e 2697 secondo comma c.c.); col secondo gli stessi vizi, ma in relazione a diverse norme (articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c., in relazione all’articolo 2051 c.c.); e cosi col terzo (articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c. in relazione all’articolo 2050 c.c.).
3. – Il secondo motivo è fondato.
Il tipo di vicenda, che è stato sottoposto all’esame della corte d’appello – secondo la più recente giurisprudenza della Corte, sulla via di stabilizzarsi (Cassazione 15324/06) – deve essere vagliato in primo luogo alla luce della figura della responsabilità da cosa in custodia (articolo 2051 c.c.).
E’ sulla base di questa figura di responsabilità che va decisa l’imputabilità delle conseguenze del fatto dannoso tutte le volte che per l’ente, cui è affidata la gestione del bene pubblico, non v’è l’oggettiva impossibilità di esercitare su di esso quel potere di governo, che in questo ambito si denomina custodia e che si sostanzia di tre elementi: il potere di controllare la cosa; il potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa o che in essa si è determinata; quello infine di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno.
Il giudice, dunque, non si può arrestare di fronte alla natura giuridica del bene od al regime od alle modalità del suo uso da parte del pubblico, ma è tenuto ad accertare in base agli elementi acquisiti al processo, se la situazione di fatto, che la cosa è venuta a presentare e nel cui ambito ha avuto origine l’evenienza che ha prodotto il danno, era nella custodia dell’ente pubblico.
Una volta che questo accertamento sia stato compiuto con esito positivo, la domanda di risarcimento deve essere giudicata in base all’applicazione della responsabilità da cosa in custodia.
Esclude la responsabilità del custode la prova che la cosa non ha svolto alcun ruolo causale nella determinazione dell’evento, o perché essa non presentava una situazione di pericolosità o perché su questa situazione pericolosa se ne è sovrapposta altra che ha da sola concretamente provocato il danno.
A tale riguardo, peraltro, non basta che nell’entrare in contatto con la situazione di fatto connotata da idoneità a produrre l’evento il danneggiato abbia tenuto un comportamento che ha svolto un ruolo causale, perché anche nel caso in cui la responsabilità derivi da cosa in custodia si applica la norma dettata dall’articolo 1227 c.c..
Orbene, la corte d’appello si è in primo luogo arrestata di fronte alla condizione giuridica del bene ed al tipo di uso che ne era fatto, quello di una strada aperta al traffico veicolare, si da non vagliare i presupposti di fatto della domanda alla stregua della responsabilità da cosa in custodia.
Nel negare poi che nel caso concreto la situazione della strada non avesse svolto un ruolo causale, la corte d’appello si è arrestata alla considerazione che il conducente dovesse essere uscito di strada piuttosto per un malore che per essere sbandato nell’affrontare la curva, ma, non avendo negato che «il tratto di strada interessato dall’incidente era in forte discesa, in stretta curva volgente a destra a fondo cementato in cattive condizioni di esercizio» non ha poi vagliato se questa condizione di oggettiva pericolosità, idonea a provocare la fuoriuscita dalla sede stradale, non avrebbe richiesto in corrispondenza di quel tratto apprestamenti capaci di evitare la stessa fuoriuscita dalla strada e così l’evento che un veicolo, di cui il conducente avesse perso il controllo, per sua colpa o per un malore, ma non per averlo deliberatamente voluto, anziché andare ad urtare contro il riparo, fosse stato esposto al pericolo di proseguire il suo cammino, precipitando nella scarpata.
4. – Il primo motivo resta assorbito.
Il terzo è inammissibile, perché a sua fondamento è posta la violazione dell’articolo 2050 c.c., figura di responsabilità di cui la sentenza non tratta, sicchè i ricorrenti avrebbero dovuto se mai lamentare d’aver riproposto alla Corte di Appello una domanda anche sotto questo aspetto formulata in primo grado e non esaminata; non senza osservare che la corte d’appello ha accertato in fatto che sul luogo al momento non erano in corso lavori.
5. – La sentenza va perciò cassata.
La causa è rimessa davanti al giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte di Appello di Roma.
Il giudice di rinvio rinnoverà l’esame della domanda, al fine di accertare la sussistenza delle condizioni di applicazione della responsabilità da cosa in custodia e condurre l’accertamento sulla responsabilità in base alle disposizioni dettate dagli articoli 2051 e 1227 c.c..
Al giudice di rinvio è rimesso di provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il primo ed inammissibile il terzo; cassa e rinvia anche per le spese ad altra sezione della corte d’appello di Roma.
Roma, 1 dicembre 2006.
Depositata in Cancelleria, 27 marzo 2007