Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 9 gennaio 2007, n.149 sul tema della condivisione di file musicali in rete. La Corte è stata chiamata a pronunciarsi su ricorso avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Torino, che confermava la colpevolezza di due studenti, in ordine ai reati di cui agli artt. 171 bis e 171 ter della legge sul diritto d’autore (n. 633/41), già pronunciata dal giudice di prime cure.
Orbene, l’art. 171 bis prevede la punibilità da sei mesi a tre anni, di chiunque abusivamente duplichi, al fine di trarne profitto, programmi per elaboratore o, per i medesimi fini, importi, distribuisca, venda, detenga, a scopo commerciale o imprenditoriale, o conceda in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE).
L’art. 171 ter, invece, commina la reclusione da sei mesi a tre anni, per chi, per uso non personale ed a fini di lucro, abusivamente duplichi, riproduca, trasmetta o diffonda in pubblico con qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, un’opera dell’ingegno destinata al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi, nastri o supporti analoghi ovvero ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o sequenze di immagini in movimento; per chi abusivamente riproduca, trasmetta o diffonde in pubblico, con qualsiasi procedimento, opere o parti di opere letterarie, drammatiche, scientifiche o didattiche, musicali o drammatico-musicali, ovvero multimediali, anche se inserite in opere collettive o composite o banche dati.
Ecco, in breve, i fatti ricostruiti nel giudizio. Due studenti avevano “creato, gestito, e curato la manutenzione di un sito FTP sul quale venivano copiati (rectius scaricati – download) e dal quale potevano esser prelevati file contenenti tutto il materiale già descritto”
Tale condotta veniva perpetrata, senza alcuna finalità di lucro, mediante un pc esistente presso l’associazione studentesca del Politecnico di Torino, sul quale venivano sostanzialmente effettuati download di programmi ed opere cinematografiche tutelate dalla legge sul diritto d’autore.
I files scaricati potevano essere prelevati poi da utenti che avevano un accesso al server, e che, a loro volta, conferivano altro materiale informatico sul server stesso.
Tali condotte per i giudicanti di primo e secondo grado integravano i reati di cui agli artt. 171 bis e 171 ter.
Alla base delle argomentazioni dei giudici di merito vi era l’osservazione che l’attività posta in essere dagli imputati implicasse necessariamente la duplicazione dei programmi ed altri file relativi ad opere musicali o cinematografiche protetti dal diritto d’autore e che lo scambio del materiale informatico integrasse l’ipotesi della duplicazione del predetto materiale a fine di lucro richiesta per la configurabilità delle fattispecie criminose di cui alla contestazione, in quanto il fatto era commesso per uso non personale (disponibilità a favore di terzi).
A differenti conclusioni perviene l’iter argomentativo della Suprema Corte.
Il punto di diritto su cui si fonda l’assoluzione è il principio di tipicità e tassatività delle fattispecie criminose.
Innanzitutto, si è esclusa l’ascrivibilità ai due imputati del reato di cui all’art. 171 bis.
Il giudice di legittimità ha sottolineato, infatti, l’erronea attribuzione, agli imputati dell’attività di duplicazione dei programmi e delle opere di ingegno protette dalla legge sul diritto d’autore, effettuata dalle corti di merito.
Nel ragionamento della Cassazione, il download è operazione concettualmente differente dalla duplicazione. Quest’ultima, nel caso concreto, avveniva ad opera dei soggetti che si collegavano al sito ftp e dal quale, in piena autonomia, prelevavano i file e nello stesso ne scaricavano altri.
Per quanto riguarda il reato di cui all’art. 171 ter, osserva la Corte che “le differenze terminologiche adoperate dal legislatore nelle varie formulazioni degli articoli 171bis e 171ter della legge 633/41 non sono esclusivamente finalizzate ad assicurare una sempre più adeguata tutela del diritto d’autore, dettata dalla necessità di determinare la rispondenza del quadro normativo al progresso tecnologico, bensì anche dalla finalità di contemperare le predette esigenze di tutela con quella di garantire la circolazione delle opere dell’ingegno, quale strumento di progresso sociale e culturale.”
Le differenti espressioni adoperate nel testo legislativo -“scopo di lucro” e “scopo di profitto”- sono, dunque, conseguenza del diverso approccio del legislatore alla indicata esigenza di bilanciamento di contrapposti interessi, di cui costituiscono evidente espressione le modificazioni subite in breve arco di tempo dall’articolo 171ter della legge 633/41 con riferimento all’elemento soggettivo del reato, la cui soglia di punibilità è stata, da ultimo, nuovamente innalzata al perseguimento di un fine di lucro da parte dell’autore della violazione.
Il legislatore alternando nella legge a tutela del diritto d’autore nei vari reati il fine di lucro a quello di profitto ha sottolineato, perciò, la netta distinzione tra i due concetti. Lo scopo di lucro sussiste laddove vi sia un vantaggio economicamente apprezzabile o un incremento patrimoniale da parte dell’autore del fatto, non identificabile in un mero risparmio di spesa, laddove lo scopo di profitto include ogni mero vantaggio morale.
Nel caso in esame, la messa a disposizione dei programmi mediante attività di download non configura alcun lucro, trattandosi di attività che sono state effettuate gratuitamente.
Sulla scorta di queste considerazioni “mancanza di tipicità del fatto” e “mancanza dell’elemento costitutivo del reato” la Corte di Cassazione ha annullato le precedenti sentenze di condanna degli imputati.
L. Massimo