La Suprema Corte, con la sentenza n. 33624/2007, afferma che “la condotta di mobbing suppone non tanto un singolo atto lesivo, ma una mirata reiterazione di una pluralità di atteggiamenti, anche se non singolarmente connotati da rilevanza penale, convergenti sia nell’esprimere ostilità del soggetto attivo verso la vittima sia nell’efficace capacità di mortificare ed isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro”.
“Pertanto – soggiunge la Corte – la prova della relativa responsabilità deve essere verificata, procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi… che può essere dimostrata per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, delle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa…”.
Inoltre, in questa occasione, la Cassazione conviene che “la figura di reato maggiormente prossima ai connotati caratterizzanti il cd mobbing è quella descritta dall’art. 572 c.p., commessa da persona dotata di autorità per l’esercizio di una professione”.