L’inquadramento sistematico degli usi risulta poco agevole in quanto il codice civile li disciplina, peraltro in modo non uniforme, sia nell’ambito dell’integrazione del contratto e dei suoi effetti, che nell’ambito dell’interpretazione di esso. Si può, quindi, a ragione ritenere che esistano usi integrativi ed usi interpretativi, a seconda del ruolo che rivestono nell’ambito del contratto.
Dalla disciplina codicistica emerge, inoltre, la presenza di usi negoziali e di usi normativi in ragione del differente regime giuridico che vi è ricollegato.
L’uso normativo, quale fonte non scritta dell’ordinamento, si identifica con la consuetudine e si colloca, perciò, nella gerarchia delle fonti del diritto in via subordinata alla
legge ed ai regolamenti (artt.1, 8, 14 e 15 preleggi). Essa, ai sensi dell’art.8 delle disp. prel. può operare secundum legem, quando sia esplicitamente richiamata dalla legge, ovvero praeter legem, quando è chiamata a disciplinare in via autonoma materie non regolamentate da leggi o regolamenti (art.1 disp prel.).
Gli usi negoziali, invece, costituiscono pratiche commerciali correnti in un certo settore, osservate da una collettività più o meno ampia di consociati.
L’ammissibilità degli stessi è oggetto di vive dispute dottrinali, considerato che la disciplina ad essi inerente costituirebbe uno “strappo” all’autonomia negoziale, proprio in quanto la loro automatica operatività si fonda su regole di prassi commerciali stratificatesi nel tempo, non sorrette neanche dall’opinio iuris ac necessitatis, che caratterizza la consuetudine sotto il profilo soggettivo, nè diffuse a tutto il territorio nazionale (potendo investire perfino specifiche e determinate categorie di contraenti).
Gli usi normativi come fonti del diritto, in quanto norme giuridiche, si applicano autonomamente ed oggettivamente, ma solo nei casi in cui la legge li richiami per regolare qualche aspetto da essa non regolato (secundum legem) o se la materia non sia coperta da riserva di legge e non sia da essa disciplinata o lo sia in modo suppletivo(praeter legem), giammai nei casi da essa disciplinati ed in deroga a quanto da essa disposto, tranne che non ne siano appositamente autorizzati (contra legem).
Per essi vale la regola “ignorantia legis non excusat” e quella “iura novit curia” (anche se sul punto la giurisprudenza richiede l’allegazione della parte ed il loro inserimento nelle raccolte ufficiali tenute presso il Ministero delle attività produttive e la Camera di Commercio). Tuttavia, a tale inserimento viene attribuito valore solo presuntivo per la natura meramente ricognitiva che assolvono gli elenchi e perchè in essi vengono inseriti indistintamente sia usi normativi che quelli negoziali, sicchè spetterà alla controparte provarne l’inesistenza o il valore meramente negoziale.
La loro violazione o falsa applicazione può consentire il ricorso per Cassazione per violazione o falsa applicazione di legge (in quanto fonti normative).
Gli usi negoziali non rientrano tra le fonti del diritto, attesa la loro natura meramente negoziale, ma si applicano automaticamente ed oggettivamente, anche se non conosciuti, tranne che le parti non abbiano inteso escluderli con
apposita pattuizione o non abbiano dettato una regolamentazione completa che implicitamente li escluda.
Essi possono degradare, per la loro natura negoziale, a norme dispositive di legge, ma la loro violazione o falsa applicazione non può dare vita a ricorso per Cassazione.
La prova della loro esistenza e portata deve essere offerta
dalla parte che vi abbia interesse con qualsiasi mezzo ed il loro inserimento nelle raccolta ufficiale ha solo valore presuntivo.
Quanto al loro ambito applicativo, trovano un limite nella
presenza degli usi normativi (al contrario, la loro natura sarebbe normativa e non negoziale), non lo trovano nella legge dispositiva, cui, invece, possono derogare.
Il problema si pone nei soli casi in cui la materia non sia coperta da riserva di legge, nè sia da essa regolata. I criteri distintivi vengono di solito individuati nella opinio iuris o nella estensione soggettiva o oggettiva, anche se è più
verosimile ritenere che ove si tratti di usi in formazione, la loro natura sia negoziale.
La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria, ritengono che, in ambito contrattuale, il riferimento agli usi negoziali
sia contenuto nell’art. 1340 c.c. (integrazione del contenuto del contratto), mentre a quelli normativi farebbe riferimento l’art.1374 c.c. (integrazione degli effetti contrattuali ).
L’art. 1368 c.c. Allude, invece, agli usi interpretativi che, pur se di natura negoziale, non avrebbero funzione integrativa del contratto, ma solo di chiarificazione della portata di clausole ambigue (criterio di interpretazione oggettivo).
Secondo altra tesi, invece, gli usi cui fanno riferimento gli artt. 1340-1374 c.c., sarebbero solo quelli normativi, mentre quelli negoziali sarebbero solo di tipo interpretativo (vi farebbe riferimento l’art.1368 c.c.). In tal modo, però, si prospetterebbe una inutile ripetizione codicistica nell’art. 1374 c.c. di quanto disposto dall’art.1340 c.c.
A questo punto, appare interessante verificare se gli usi possono, in quanto clausole generali uniformi che disciplinano determinate materie o settori di materie, assumere il carattere della vessatorietà e, quindi, essere assoggettati al regime disciplinatorio previsto dal codice civile.
Le condizioni generali di contratto (complesso di clausole predisposte unilateralmente da uno dei contraenti o da esso utilizzate), in quanto tali non hanno punti di contatto con gli usi negoziali e tanto meno con quelli normativi in quanto soggetti ad un regime differente (quello dell’art.1341 c.c. o 1469 bis c.c.), anche perchè unilateralmente predisposte o utilizzate.
Il problema si pone, perciò, nei soli casi in cui le condizioni generali di contratto recepiscano, traducendoli in clausole contrattuali, gli usi normativi e quelli negoziali preesistenti, ovvero quando per il loro utilizzo ripetuto costantemente
nel tempo, si siano tradotte in veri e propri usi negoziali.
Relativamente al primo problema, è dubbio se la ricezione nelle clausole predisposte di usi negoziali determini l’assoggettamento di essi alla disciplina degli artt.1341-1469 bis c.c. (sottoscrizione o pattuizione individuale se vessatorie o abusive di relative clausole) o se ne prescinde posto che in tali ipotesi gli usi negoziali possono derogare a norme dispositive di legge (se si trattasse di usi normativi essi non potrebbero mai derogarvi). La tesi prevalente è, comunque, nel senso che non potrebbe ipotizzarsi in tal caso la configurabilità di usi negoziali che richiedono bilateralità e paritarietà e, comunque, in caso positivo, la loro ricezione nelle clausole predisposte ne comporterebbe l’assoggettamento al regime di esse (sottoscrizione, pattuizione individuale). Posto, inoltre, che il problema non può riguardare neanche gli usi normativi in quanto la vessatorietà di una clausola unilateralmente predisposta comporta una deroga a norme
dispositive di legge (con conseguente squilibrio giuridico del
contratto) che, per tali usi, è inipotizzabile (lo sarebbe, al più, per i soli usi negoziali), la giurisprudenza della Cassazione ha ragionato in questi termini. Considerato che il connotato vessatorio di tali clausole negoziali usuali consentirebbe di aggirare la portata dell’art.1341 c.c., non richiedendosi, ai fini della loro applicazione, nè la conoscenza da parte del contraente più debole nè, a maggior ragione, la loro specifica approvazione per iscritto, le clausole usuali vessatorie
possono considerarsi ammissibili e lecite in considerazione del fatto che l’esigenza di tutela del contraente debole, in tali casi, non rileverebbe operando il disposto dell’art.1341 c.c. solo in relazione a clausole vessatorie unilateralmente predisposte (mentre nell’uso negoziale vessatorio, la unilateralità della predisposizione mancherebbe). Non potrebbe, peraltro, neanche trovare applicazione la disciplina di cui agli artt.1469 bis e segg. c.c., in materia di
clausole abusive, in quanto limitata alle sole ipotesi di contratti stipulati tra consumatori e professionisti e, perciò, non estensibile a quelle tra professionisti, in cui più spesso il fenomeno è riscontrabile.
Nelle ipotesi in cui, invece, gli artt.1469 bis e segg.
c.c. trovino applicazione, agli usi negoziali vessatori sarebbe
precluso ogni spazio operativo.
In ogni caso, la soluzione adottata dalla Cassazione è quanto meno discutibile in relazione alle ipotesi in cui una clausola unilateralmente predisposta riproduca il contenuto di un uso negoziale vessatorio, dal momento che l’opzione del predisponente per la formalizzazione dell’uso in una
clausola negoziale, dovrebbe rendere applicabile l’art.1341 c.c se non altro per tutelare l’affidamento incolpevole dell’aderente ignaro dell’uso.