La Cassazione, nella sentenza del 27 aprile 2010 n. 16393, chiarisce come, in presenza di un vincolo paesaggistico-ambientale, il reato di cui all’art. 181, comma 1, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42 (già art. 1 sexies della legge n. 431/1985 ed art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999) è un reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell’illecito non è necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici. (Cass., Sez. III, 9.4.2009, n. 15227; 11.1.2006, n. 564; 21.12.2005, n. 467671). Pertanto, il principio di offensività deve essere inteso, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto.
La Suprema Corte nella medesima pronunzia ribadisce i seguenti fondamentali principi:
1) La successiva DIA non può ritenersi che integri mera variante del progetto già approvato con il precedente permesso di costruire. In quanto, si configura “variante” solo allorquando il progetto già approvato non risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato. Inoltre, le varianti, normalmente devono essere autorizzate con il medesimo procedimento prescritto per il rilascio del permesso di costruire e possono essere sottoposte a DIA soltanto qualora: a) non incidano sui parametri urbanistici e sulla volumetrie; b) non modifichino la destinazione d’uso e la categoria edilizia; c) non alterino la sagoma dell’edificio; d) non violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire (art. 22, 2° comma, del T.U. n. 380/2001). Infine, in presenza di un vincolo paesaggistico-ambientale, la realizzazione di varianti cd. lievi, sono comunque subordinate al preventivo rilascio dell’autorizzazione richiesta dal D.Lgs. n. 42/2004 (art. 22, 6° comma, del T.U. n. 380/2001).
2) L’art. 3, 1° comma, lett. d), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, ha esteso, la nozione di “ristrutturazione edilizia” ricomprendendovi pure gli interventi ricostruttivi “consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”. Volumetria e sagoma, dunque, debbono rimanere identiche nei casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione, mentre non si pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione.
3) La permanenza del reato edilizio cessa soltanto con la ultimazione effettiva dei lavori, che deve farsi coincidere con I’ultimazione di tutte te opere del fabbricato, rifiniture, infissi ed impianti compresi (vedi, tra le pronunzie più recenti, Cass., Sez. III, 3.11.2009, n. 42179). Anche il reato attualmente previsto dall’art. 181, comma 1, del D.Lgs. n. 42/2004, allorquando sia realizzato mediante una condotta che si protrae nel tempo (come si verifica per una costruzione edilizia), é permanente e si consuma con l’esaurimento totale dell’attività o con la cessazione della condotta per altro motivo (vedi Cass., Sez. III, 20.9.1994, n. 9983, Sale e 1.6.1994, n. 6371, P.M. in proc. Bedogn).
4) L’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono – in una prospettiva di ragionevole probabilità – di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica.
Emiliana Matrone
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Cassazione Penale, Sentenza 27 aprile 2010 n. 16393
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) C. G. N. IL xx/00/xxxx
– avverso l’ordinanza n. 216/2009 TRIB. LIBERTA’ di SALERNO, del 22/06/2009
– sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
– sentite le conclusioni del PG Dott. Giocchino Izzo il quale ha richiesto il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Il G.I.P. del Tribunale di Vallo della Lucania – con provvedimento del 24.7.2008 – disponeva il sequestro preventivo (tra l’altro) di un fabbricato in corso di realizzazione nel territorio del Comune di Pisciotta.
Detto sequestro era stato disposto in relazione ai reati di cui agli arti: 44, lett. e), T.U. n. 380/2001; 181 D. Lgs. n. 42/2004; 734 cod. pen..; 64, 65, 71, 72, 93 e 95 T.U. n. 380/2001; 13 e 30 legge n. 394/1991, ipotizzati nei confronti di C. G., per avere eseguito, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico – in totale difformità del permesso di costruire – opere edili consistite nella demolizione di un piccolo fabbricato rurale già esistente e ricostruzione di un nuovo fabbricato in cemento armato a due piani.
Il C. presentava istanza di dissequestro, rigettata dal G.I.P. con provvedimento del 17.4.2009, e, sull’appello proposto avverso tale diniego, il Tribunale di Salerno – con ordinanza del 22.6.2009 – respingeva il gravame, limitatamente all’immobile in oggetto, argomentando che:
– I’intervento di demolizione del preesistente fabbricato rurale e di contestuale ricostruzione era stato autorizzato a condizione che non venissero modificati la sagoma ed il volume; tali prescrizioni, però, non erano state rispettate ed erano state realizzate modifiche per le quali non risultava rilasciata, inoltre, la necessaria autorizzazione paesaggistica;
– sussisteva il periculum in mora, trattandosi di opere in corso di esecuzione.
Avverso l’anzidetta ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’appellante, il quale – sotto i profili della violazione di legge e del vizio totale di motivazione – ha eccepito che:
– le difformità esecutive dei lavori di ricostruzione sarebbero state ritenute effettivamente esistenti senza attuare il necessario raffronto tra le conclusioni rispettivamente raggiunte dal consulente tecnico di ufficio e dal consulente di parte, apparendo del tutto ignorate le prospettazioni di quest’ultimo;
– l’art. 10, 1° comma, lett. c), del T.U. n. 380/2001 consentirebbe “la realizzazione di quegli interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, previa demolizione dello stesso, e che comportino aumento di unità immobiliari, nonché modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti e delle superfici”, sicché, nella specie, l’amministrazione comunale non avrebbe potuto, nel rilascio del permesso di costruire, imporre prescrizioni derogatorie a siffatto disposto legislativo. Nella sostanza, comunque, le riscontrate difformità dal progetto consistono nell’aggiunta, al piano seminterrato, di un locale tecnologico e di un porticato, nonché nella ricostruzione del tetto con forma diversa da quella preesistente: interventi tutti che non integrano aumento di volumetria;
– le anzidette opere difformi non altererebbero lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio rispetto alla progettazione originaria già assentita dalla Soprintendenza, per cui non sarebbe stato necessario un nuovo ed ulteriore intervento autorizzatorio di tale ufficio;
– non sussisterebbe il periculum in mora, perché i lavori dovrebbero considerarsi “ultimati”, con riferimento al rustico ed al completamento della copertura, e le difformità riscontrate non sarebbero suscettibili di incidere sul carico urbanistico.
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Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
Va rilevato, in punto di fatto, secondo la ricostruzione operata dal ricorrente, che, in relazione al manufatto in oggetto, era stata dapprima rilasciato un permesso di costruire (n. 10/2007) per “ristrutturazione edilizia senza modifiche di sagoma e di volume”, a fronte di una istanza che aveva invece qualificato l’intervento come “risanamento e adeguamento igienico-sanitario”.
Successivamente é stata presentata una DIA, che prevedeva la demolizione del manufatto preesistente e la sua integrale ricostruzione.
E’ stata riscontrata la esecuzione di lavori di ristrutturazione edilizia in seguito a demolizione integrale del fabbricato preesistente, nonché la non-coincidenza nella volumetria e nella sagoma del manufatto di nuova costruzione rispetto a quello demolito.
2. In tale situazione di fatto deve ricordarsi che l’art. 10, 1° comma – lett. c), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, assoggetta a permesso di costruire quegli interventi di ristrutturazione edilizia “che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici”, ovvero si connettano a mutamenti di destinazione d’uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A).
L’art. 22, 30 comma – lett. a), dello stesso T.U., come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, prevede, però, che – a scelta dell’interessato – tali interventi possono essere realizzati anche in base a semplice denunzia di inizio attività.
Sono realizzabili, pertanto, in seguito a permesso di costruire ovvero (a scelta dell’interessato) previa denunzia di inizio attività interventi di ristrutturazione edilizia che comportino integrazioni funzionali e strutturali dell’edificio esistente, pure con incrementi limitati di superficie e di volume.
Le “modifiche del volume” previste dall’art. 10 possono consistere, però, in diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ed in incrementi volumetrici modesti (tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria) poiché, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell’edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra “ristrutturazione edilizia” e “nuova costruzione”.
L’art. 3, 1° comma, lett. d), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal D.Lgs. n. 301/2002, ha esteso, inoltre, la nozione di “ristrutturazione edilizia” ricomprendendovi pure gli interventi ricostruttivi “consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
Volumetria e sagoma, dunque, debbono rimanere identiche nei casi di ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione, mentre non si pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non comportino la previa demolizione [vedi Cass., Sez. III: 26 ottobre 2007, Soldano; 18 marzo 2004, Calzoni. Vedi pure, in tal senso, C. Stato: Sez. IV, 18 marzo 2008, n. 1177; Sez. IV, 8 ottobre 2007, n. 5214; Sez. IV, 16 marzo 2007, n. 1276; Sez. IV, 22 maggio 2006, n. 3006].
Nella vicenda in esame, al contrario, la demolizione e ricostruzione é stata denunziata con DIA ma il risultato finale dell’attività demolitorio-ricostruttiva non coincide, nella volumetria e nella sagoma con il manufatto prevedente, sicché l’intervento eseguito è stato esattamente qualificato come “nuova costruzione”, assoggettata esclusivamente al permesso di costruire.
Né può ritenersi che la DIA successiva integri mera variante del progetto già approvato con il precedente permesso di costruire.
Si configura “variante”, infatti, solo allorquando il progetto già approvato non risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato.
Le varianti, inoltre, normalmente devono essere autorizzate con il medesimo procedimento prescritto per il rilascio del permesso di costruire e possono essere sottoposte a DIA soltanto qualora: a) non incidano sui parametri urbanistici e sulla volumetrie; b) non modifichino la destinazione d’uso e la categoria edilizia; c) non alterino la sagoma dell’edificio; d) non violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire (art. 22, 2° comma, del T.U. n. 380/2001).
Nella specie, invece, viene introdotto quale elemento nuovo la demolizione e, nella riedificazione, sagoma e volumi risultano modificati.
3. Perfino la realizzazione di varianti siffatte (che possono definirsi “lievi”), comunque, in presenza di un vincolo paesaggistico-ambientale, è subordinata al preventivo rilascio dell’autorizzazione richiesta dal D.Lgs. n. 42/2004 (art. 22, 6° comma, del T.U. n. 380/2001).
Va ribadito, in proposito, l’orientamento costante di questa Corte Suprema [vedi, tra le pronunzie più recenti, Cass., Sez. III: 9.4.2009, n. 15227; 11.1.2006, n. 564; 21.12.2005, n. 467671 secondo il quale il reato di cui all’art. 181, comma 1, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42 (già art. 1 sexies della legge n. 431/1985 ed art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999) è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell’illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici.
Il principio di offensività deve essere inteso, al riguardo, in termini non di concreto apprezzamento di un danno ambientale, bensì dell’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto.
Nella fattispecie in esame le opere denunziate con la DIA appaiono ad evidenza oggettivamente non irrilevanti ed astrattamente idonee a compromettere l’ambiente: sussiste, pertanto, un’effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonché una violazione dell’interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed all’esercizio di un efficace e sollecito controllo.
4. Le contrarie argomentazioni del consulente di parte, secondo i contenuti ai quali viene fatto riferimento in ricorso, non smentiscono con evidenza immediata l’impianto accusatorio e, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto provvedimenti di sequestro, non é ipotizzabile una “plena cognitio” del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell’esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l’assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell’accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale.
L’accertamento della sussistenza del fumus commissi delitti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono – in una prospettiva di ragionevole probabilità – di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica.
5. Quanto al periculum in mora, nella specie – risultando che i lavori non sono ultimati – razionalmente è stata ritenuta prevedibile la prosecuzione delle opere abusive, sicché la misura di cautela reale appare legittimamente adottata, ai sensi dell’art. 321, 1° comma, c.p.p., al fine di impedire ed evitare l’aggravamento o la protrazione di un reato tuttora in itinere.
Va ricordato, in proposito, che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la permanenza del reato edilizio cessa soltanto con la ultimazione effettiva dei lavori, che deve farsi coincidere con I’ultimazione di tutte te opere del fabbricato, rifiniture, infissi ed impianti compresi (vedi, tra le pronunzie più recenti, Cass., Sez. III, 3.11.2009, n. 42179).
Anche il reato attualmente previsto dall’art. 181, comma 1, del D.Lgs. n. 42/2004, allorquando sia realizzato mediante una condotta che si protrae nel tempo (come si verifica per una costruzione edilizia), é permanente e si consuma con l’esaurimento totale dell’attività o con la cessazione della condotta per altro motivo (vedi Cass., Sez. III: 20.9.1994, n. 9983, Sale e 1.6.1994, n. 6371, P.M. in proc. Bedogn).
6. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 127, 325, 607 e 616 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio dei 17.2.2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 27 APR. 2010