Ai fini della configurabilità del delitto di esercizio abusivo di una professione, non è necessario il compimento di una serie di atti, ma è sufficiente il compimento di un’unica ed isolata prestazione riservata ad una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione, mentre non rileva la mancanza di scopo di lucro nell’autore o l’eventuale consenso del destinatario della prestazione, in quanto l’interesse leso, essendo di carattere pubblicistico, è indisponibile.
È quanto ha stabilito la Cassazione, nella sentenza del 10 ottobre 2007 n. 1200, depositata in data 20 novembre 2007.
La condotta esecutiva del delitto di cui all’art. 348 c.p. consiste nel compimento di atti di esercizio di una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato, senza aver conseguito tale abilitazione.
La norma è volta a tutelare l’interesse generale che determinate professioni vengano esercitate soltanto da soggetti che abbiano conseguito una speciale abilitazione.
L’art. 348 c.p. ha natura di norma penale in bianco: essa presuppone l’esistenza di altre disposizioni di legge che stabiliscano le condizioni oggettive e soggettive in difetto delle quali non è consentito- ed è quindi abusivo – l’esercizio di determinate professioni.
Tali disposizioni sono integrative della norma penale ed entrano a far parte del suo contenuto, cosicché la violazione di esse si risolve in violazione della norma incriminatrice.
La giurisprudenza ha affermato che ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 348 c.p. È sufficiente anche il compimento di un solo atto (cfr Cass. 4349/1985; 3732/1972).
Quanto all’elemento psicologico, la Cassazione, con la sentenza n. 10816/200, ha ritenuto che la consapevole mancanza del titolo abilitativo all’esercizio di tale professione integra il dolo generico richiesto per la sussistenza del reato, ancorché l’abusiva prestazione professionale sia stata del tutto gratuita e con il concorrente consenso del destinatario di tale prestazione.
Infatti, poiché il titolare dell’interesse protetto è soltanto lo Stato, l’eventuale consenso del privato è del tutto irrilevante ex art. 50 c.p. (cfr Cass. 49/2002).
Emiliana Matrone