Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, nella Decisione del 29/05/2008 n. 490, osserva che il provvedimento di acquisizione c.d. “sanante” di una situazione di violazione del dovere di astensione rispetto al diritto assoluto di proprietà (ex art. 43, T.U. n. 327/2001) deve dare atto in motivazione della valutazione comparativa tra l’interesse pubblico e l’interesse privato, vale a dire, tra la tutela del diritto costituzionale alla proprietà ed il particolare beneficio che l’acquisizione reca all’intresse pubblico.
Il C.G.A. precisa, altresì, che la motivazione del provvedimento di acquisizione debba necessariamente indicare: 1) i motivi di interesse alla realizzazione dell’opera e la non percorribilità di soluzioni alternative; 2) l’urgenza che ha imposto di obliterare le procedure corrette, ovvero le contingenze che hanno interrotto, sospeso, annullato o comunque impedito il giusto procedimento espropriativo; 3) l’assoluta necessità, e non mera utilità,che l’immobile sia acquisito nello stato in cui si trova; 4) la natura della trasformazione subita idonea a giustificare l’acquisizione, onde evitare lo spreco di risorse pubbliche.
Emiliana Matrone
C.G.A., Decisione del 29/05/2008 n. 490
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 282/07 proposto da CONSORZIO PER LE AUTOSTRADE SICILIANE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Michele Messina, ex lege domiciliato in Palermo, presso la Segreteria giurisdizionale del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana;
contro
M. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fabio Saitta, ed elettivamente domiciliata in Palermo, via G. Ventura, n. 4, presso lo studio dell’avv. Andrea Piazza;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Sicilia – sede di Catania (sez. I) – n. 18/07 del 23 novembre 2006 – 5 gennaio 2007.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’avv. F. Saitta per la Soc. M.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il Consigliere Claudio Zucchelli;
Uditi alla pubblica udienza del 28 novembre 2007 l’avvocato A. Mirone, su delega dell’avvocato M. Messina per il Consorzio appellante e l’avvocato F. Saitta per la società appellata;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con deliberazione n. 1 del 25 luglio 2005 il Consorzio disponeva l’acquisizione urgente al patrimonio di un terreno di proprietà della società appellata.
Avverso l’acquisizione al patrimonio, per l’accertamento del diritto alla restituzione, ed il risarcimento del danno, la società ricorreva al TAR di Catania lamentando:
1. Violazione dell’articolo 8 legge regionale 30 aprile 1991, n. 10 per la mancanza dell’avviso di avvio del procedimento.
2. Violazione articolo 3 della stessa legge per carenza di motivazione.
3. Violazione dell’articolo 43 del dpr n. 327 del 2001.
Si costituiva in giudizio il Consorzio resistendo.
Il TAR accoglieva il ricorso con la sentenza di cui in epigrafe, disponendo la restituzione del terreno in pristinum, condannando alle spese di giudizio e trasmettendo gli atti alla procura della Corte dei Conti. Affermava il TAR:
1. Premesso di ritenere la giurisdizione ai sensi della sentenza della corte costituzionale n. 191 del maggio 2006 alla presenza del provvedimento ex articolo 43 del dpr 327 del 2001, affermava la mancanza di motivazione.
2. Riteneva che non si fosse avuta irreversibile trasformazione e quindi il provvedimento di acquisizione sarebbe dovuto, essere motivato ancor più approfonditamente.
3. Affermava la sussistenza dell’obbligo restitutorio anche alla presenza della trasformazione come già ritenuto da CGA n. 440 del 2006.
4. Illegittimità della acquisizione alla presenza di un ordine di restituzione del giudice civile.
5. Affermava l’obbligo di rimuovere le opere realizzate e di restituire in pristinum il terreno, assegnando all’uopo un termine perentorio di novanta giorni.
Avverso la detta sentenza propone appello il Consorzio lamentando:
1. L’avviso di avvio del procedimento non era necessario essendo stata dichiarata urgente l’acquisizione. In ogni caso la partecipazione del privato sarebbe stata ininfluente.
2. La valutazione degli interessi è riportata nella motivazione dell’atto che appare sufficiente.
3. L’articolo 43 del dpr n. 327 del 2001 non richiede, ai fini della legittima acquisizione, la trasformazione irreversibile del fondo, ma è sufficiente la sola utilizzazione per scopi pubblici.
4. Non si è verificato giudicato sulla sentenza civile e quindi si poteva disporre l’acquisizione.
Si costituisce in giudizio la società proprietaria eccependo.
1. I provvedimenti ex articolo 43 del dpr n. 327 del 2001 non rientrano tra quelli urgenti ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 241 del 1990 e dell’articolo 8 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10. La supposta inutilità della partecipazione dell’interessato è stata opposta solo in grado di appello. Essa è comunque infondata perché la prova della inutilità della partecipazione del privato deve essere data dalla P.A.
2. Il provvedimento appare non motivato atteso che ai sensi dell’articolo 43 citato occorre effettuare, e dare conto di, un’approfondita valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati.
3. Alla data dell’11 febbraio 2004 il terreno non aveva subito un’irreversibile trasformazione, ma anzi era ancora nel possesso del proprietario. L’articolo 43, quindi non è applicabile alla specie.
4. L’ordine di restituzione dell’immobile pronunciato dal giudice civile era divenuto inoppugnabile ai sensi dell’articolo 669 terdecies c.p.c. in assenza di tempestivo reclamo.
DIRITTO
L’articolo 43 del dpr n. 327 del 2001 persegue, secondo quanto ormai ritiene la consolidata giurisprudenza, una finalità di sanatoria di situazioni nelle quali l’autorità dello Stato si sia espressa mediante una compressione del fondamentale diritto di proprietà in assenza delle procedure legittime di esproprio.
Non rileva la causa della illegittimità del comportamento, se cioè eseguito in assenza di una dichiarazione di pubblica utilità o a seguito dell’annullamento di essa o per altre cause; ciò che è sostanziale è che l’interesse pubblico non può essere soddisfatto altro che con il mantenimento della situazione ablativa.
La rottura dell’equilibrio autorità libertà recata da detta norma è sottoposta, per volontà dello stesso legislatore, a limiti formali, ma soprattutto sostanziali, che, secondo l’insegnamento della Adunanza Plenaria n. 2 del 29 aprile 2005 si possono così riassumere.
In primo luogo occorre un’approfondita e meditata motivazione sull’esercizio di un tale potere extra ordinem e particolarmente incisivo. Il Legislatore si esprime con la frase “Valutati gli interessi in conflitto” dal tenore della quale si possono trarre alcune considerazioni. In primo luogo la necessità di una valutazione comparativa tra l’interesse pubblico e quello privato. Orbene, sul punto, occorrerà chiarire che l’interesse privato non è esattamente quello alla utilizzazione del bene per scopi personali, ma esclusivamente quello alla difesa dell’irrinunciabile diritto di proprietà. In altri termini la valutazione non può essere compiuta tra l’utilità effettiva che il privato ricava o intende ricavare dal bene e quella a favore della collettività, ma tra la tutela del diritto costituzionale alla proprietà privata e il particolare beneficio che l’acquisizione reca all’interesse pubblico.
Sotto questo profilo, quindi, la motivazione deve porre in luce esattamente i motivi di interesse alla realizzazione dell’opera, indicando anche la non percorribilità di soluzioni alternative; deve dare preciso conto della urgenza che ha imposto di obliterare le procedure corrette, ovvero delle contingenze che hanno interrotto, sospeso, annullato o comunque non hanno condotto a buon fine il giusto procedimento espropriativo; della assoluta necessità, e non mera utilità, che l’immobile sia acquisito nello stato in cui si trova; infine della natura della trasformazione subita e dunque del fatto che la mancata acquisizione costituirebbe uno spreco di risorse pubbliche.
Questo ultimo criterio motivazionale permette di affrontare anche un ulteriore problema, ovverosia la non necessità, affermata dall’appellante, che ai fini della applicazione dell’articolo 43 si sia verificata un’irreversibile trasformazione del suolo. In altri termini opina l’appellante che l’articolo 43 può essere applicato anche ove vi sia solo un collegamento funzionale con l’interesse pubblico.
Orbene, ritiene questo Giudice che la questione non sia particolarmente rilevante. Anche l’irreversibile trasformazione del suolo non determina impedimento alla restituzione del fondo, vale a dire non costituisce da sola elemento determinante e legittimante per l’acquisizione, così come per altro ritenuto da autorevole precedente (Adunanza Plenaria n. 2 del 29 aprile 2005). In effetti, la trasformazione del suolo non è mai irreversibile in rerum natura. La restitiito in pristinum è sempre possibile, si tratta di valutare i costi della operazione. A fortiori, quindi, una trasformazione irrisoria o un’irreversibile trasformazione non incidono, per queste sole caratteristiche, sulla struttura del diritto di proprietà e del dovere assoluto di rispetto di essa anche da parte del potere pubblico. Si tratta, come si esprime l’Adunanza Plenaria citata, di mere situazioni di fatto che non hanno alcuna rilevanza sul diritto assoluto del proprietario alla restituzione del bene e non possono impedire il naturale effetto ripristinatorio della posizione giuridica lesa, tale da consentire l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto. Esse, se del caso, incidono sulla valutazione degli opposti interessi, e dunque rientrano in pieno nell’obbligo motivazionale e nella decisione finale. Ciò vuol dire che, nella comparazione, potranno trovare ingresso considerazioni sugli effetti concreti della irreversibile trasformazione, sui costi da affrontare, sul vantaggio pubblico e sul concreto risarcimento da riconoscere al privato, valutando i quali il Giudice potrà dedurre l’esistenza di una motivazione convincente per l’acquisizione.
In conclusione, lo stato della opera pubblica, e quindi il grado di trasformazione che il fondo abbia subito, sono questioni di fatto che rilevano solo sul grado e la profondità della motivazione. Nella specie, il provvedimento ex articolo 43 è carente di una motivazione adeguata ai parametri che si sono appena accennati, e dunque è affetto da violazione dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990 e da eccesso di potere.
Manca, in effetti, una puntuale considerazione degli interessi contrapposti ed una descrizione dettagliata dei motivi stringenti che hanno determinato l’assoluta necessità di occupare abusivamente il terreno in questione.
Nella specie, in assenza di una qualsiasi motivazione sufficiente, come già notato, non è dato di conoscere i termini di un’eventuale comparazione: manca una valutazione di quali siano gli interessi pubblici indefettibili che possono essere soddisfatti solo da quella determinata opera posta in quel determinato terreno; dei costi da affrontare, per l’erario pubblico, nella restitutio in pristinum e della remunerazione che si offre al privato per il risarcimento integrale del danno, sotto forma del pezzo di acquisizione. Manca, in sostanza, una base ragionevole per convincere della opportunità di sanare il comportamento abusivo della P.A. che costituisce, comunque si voglia vedere, una rottura grave del rapporto costituzionale tra autorità e libertà, tra diritto del singolo e bene collettivo. Dunque, non vi è luogo neppure ad un giudizio approssimativo sulla comparazione degli interessi contrapposti.
Il motivo principale di appello, quindi, è infondato.
Ma altresì infondato è il motivo riguardante la mancanza dell’avviso di procedimento. L’urgenza che conduce alla occupazione immediata dell’area non deve essere confusa con l’urgenza di cui all’articolo 7 della legge n. 241 del 1990. Sono diversi i tempi e la natura stessa dell’urgenza, per cui la sussistenza di un’urgenza che induca l’occupazione non significa necessariamente l’urgenza che autorizza l’omissione dell’avviso. Questa deve essere di natura ancora più stringente, nel senso che sia da considerarsi nocivo persino un lasso di tempo minimo tra l’insorgenza del bisogno pubblico e l’adozione degli atti.
Infine, il quarto motivo di appello deve considerasi assorbito. L’illegittimità del provvedimento si appalesa anche a prescindere dalla questione del rapporto tra l’ordine di restituzione del Giudice civile ed il successivo provvedimento di acquisizione. A fini puramente didascalici si può osservare, tuttavia, che la natura stessa dell’acquisizione ex articolo 43 (come si è detto sanante di una situazione di violazione del dovere di astensione rispetto al diritto assoluto) convince del fatto che l’ordine di restituzione, quand’anche derivante da provvedimento inoppugnabile o da sentenza passata in giudicato, non incide sulla struttura particolare dell’istituto della acquisizione, che anzi presuppone proprio la violazione del diritto di proprietà. Il provvedimento del Giudice civile, infatti, è principalmente dichiarativo, accerta cioè la proprietà del bene e l’avvenuta occupazione di esso, e solo conseguentemente pronuncia l’ordine di ripristinare la situazione giuridica. L’acquisizione ex articolo 43 ha la finalità, appunto, di traslare coattivamente la proprietà che costituisce un presupposto indefettibile della procedura e non è contestata dalla P.A. In altre parole, il provvedimento del Giudice civile, non essendo costitutivo, non muta la situazione giuridica precedente l’occupazione abusiva, ma semplicemente la accerta, e quindi non è idoneo per sé a paralizzare un atto di autorità che, consapevolmente, viola il diritto di proprietà senza contestarlo. Proprio questa caratteristica di rottura del diritto fondamentale della proprietà, tuttavia resa possibile dal comma terzo dell’articolo 42 della Costituzione, induce la necessità della presenza di quei presupposti sopra evidenziati chiaramente e diffusamente espressi nella motivazione, e postula il ristoro integrale del proprietario, come per altro ormai affermato anche in maniera consolidata dalla giurisprudenza della Corte Internazionale dei diritti dell’Uomo di Strasburgo.
L’appello deve quindi essere respinto, confermando l’obbligo per il Consorzio della restituzione del fondo, completamente riportato alla situazione quo ante.
In relazione alla domanda risarcitoria, ritiene il Consiglio che sia necessario disporre CTU sul seguente punto: quale sia il valore della utilità perduta dal proprietario a seguito della occupazione abusiva perpetrata dal momento dell’immissione della P.A. nel possesso del bene, sino alla restitutio in pristinum.
Le spese saranno liquidate con la sentenza definitiva.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, non definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo rigetta e per l’effetto accoglie il ricorso di primo grado. Dispone la restituzione del bene.
Nomina CTU nella persona del prof. A. A., docente di economia e di estimo della facoltà di agraria dell’Università degli studi di Palermo, per quanto in motivazione.
Rinvia all’udienza del 5 giugno 2008 per il giuramento del CTU e la proposizione del quesito.
Spese al definitivo.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, nelle camere di consiglio del 28 novembre 2007 e del 2 aprile 2008, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Claudio Zucchelli, estensore, Pietro Falcone, Antonino Corsaro, Filippo Salvia, componenti.
IL PRESIDENTE
Riccardo Virgilio
L’ESTENSORE
Claudio Zucchelli
IL SEGRETARIO
Loredana Lopez
Depositata in segreteria il 29 maggio 2008