Il Consiglio di Stato, nella Decisione 20 ottobre 2008 n. 5109, segue il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale è da ritenere conforme alla lettera dell’art. 38 D.P.R. n. 445/2000 (e la rispondenza alla finalità dallo stesso perseguita), l’inserimento di una sola copia fotostatica del documento di identità nella busta contenente la documentazione amministrativa, giacché questo elemento (come anche una dichiarazione con firma autenticata) è sufficiente alla identificazione del rappresentante che ha reso le dichiarazioni sostitutive, e ad “instaurare un nesso biunivocamente rilevante tra dichiarazione e responsabilità personale del sottoscrittore”.
Infatti, il Collegio ribadisce che alla produzione della copia del documento di identità va attribuito il valore di elemento costitutivo della fattispecie descritta dall’art. 38 del D.P.R. n. 445/2000. Nella previsione di cui al combinato disposto degli art. 21, comma 1, e 38, commi 2 e 3, D.P.R. n. 445/2000, infatti, l’allegazione della copia fotostatica, sia pure non autenticata, del documento di identità dell’interessato vale a conferire legale autenticità alla sua sottoscrizione apposta in calce a una istanza o a una dichiarazione, e non rappresenta un vuoto formalismo ma semmai si configura come l’elemento della fattispecie normativa diretto a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l’imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione a una determinata persona fisica. Peraltro, il rispetto delle prescrizioni previste dal citato art. 38 D.P.R. n. 445/2000 assume rilevanza anche ai fini delle responsabilità cui va incontro il dichiarante in caso di dichiarazioni false. Al riguardo, si osserva come la condotta tipica, penalmente sanzionata, sia esclusivamente quella tassativamente delineata dal combinato disposto della previsione codicistica e dell’art. 76 D.P.R. n. 445/2000, tal che nessuna responsabilità penale potrà mai sorgere qualora il dichiarante, pur avendo sottoscritto una falsa attestazione, non abbia tuttavia rispettato le forme stabilite dagli artt. 47 e 38 del D.P.R. n. 445/2000, tra le quali rientra essenzialmente l’adempimento consistente nell’onere di unire alla dichiarazione la copia fotostatica del documento di identità. Da ciò deriva che l’effetto di “certificazione” di quanto affermato dal privato può scaturire da una dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio nei soli casi in cui essa, laddove mendace, sia astrattamente suscettibile di condurre alla punizione del dichiarante a norma dell’art. 483 c.p., ovverosia sia idonea a garantire, attraverso quel minimo ineludibile di formalità rappresentato dalla produzione della copia del documento di identità, la provenienza soggettiva. Nelle dichiarazioni sostitutive dunque il collegamento esistente tra il profilo dell’efficacia amministrativa dell’attestazione proveniente dal cittadino e quello della responsabilità penale del dichiarante si presenta come assolutamente inscindibile, giacché l’impegno consapevolmente assunto dal privato a “dire il vero” costituisce l’architrave che regge l’intera costruzione giuridica degli specifici istituti di semplificazione: è evidente infatti che, in questa parte, il sistema amministrativo collasserebbe laddove l’ordinamento non presidiasse il rispetto di tale “patto” di reciproca e leale collaborazione tra cittadini e Pubblica Amministrazione con adeguate sanzioni, anche di natura penale.
Emiliana Matrone
Consiglio di Stato – Decisione 20 ottobre 2008 , n. 5109
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso n. 3616/2007 R.G. proposto da E. s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti ed elettivamente domiciliata in Roma ;
contro
C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti ed elettivamente domiciliato in Roma;
e nei confronti
della Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituitasi in giudizio;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Roma, sez. I ter, 23 dicembre 2006, n. 15701;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio della C.;
Viste le memorie prodotte;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l’art. 23 bis comma sesto della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;
Alla pubblica udienza dell’1 aprile 2008, relatore il Consigliere Michele Corradino ed udito, altresì, l’avvocato Torselli;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Roma, sez. I ter, 23 dicembre 2006, n. 15701 veniva accolto il ricorso (iscritto al n. 11122/2006 R.G.) proposto dal C. per ottenere l’annullamento della nota 9 agosto 2006, ricevuta il 13 settembre 2006, della E. s.p.a. con la quale la stessa ha disposto l’esclusione della medesima dalla procedura relativa all’avviso pubblico Mis. D3 e D4 – POR Lazio Obiettivo 3 – FSE 2000-2006 – Azione B “sostegno alla nascita d’impresa” Lotto n. 3, per euro 769.537,83 per il progetto “Cantiere impresa, sistema integrato per la promozione di nuova imprenditorialità nella provincia di Roma” nonché di tutti gli atti antecedenti, preordinati, conseguenziali e comunque connessi al procedimento.
La sentenza è stata gravata dalla E. s.p.a. che contrasta le argomentazioni del giudice di prime cure.
Il C. si è costituita in giudizio per resistere all’interposto appello.
La Regione Lazio non si è costituita in giudizio.
Alla pubblica udienza dell’1 aprile 2008, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e merita di essere respinto.
Il C. ha partecipato alla procedura selettiva bandita dalla E. s.p.a. il 9 maggio 2006 al fine di erogare finanziamenti, suddivisi in lotti, per progetti di formazione; lo stesso è stata esclusa dalla procedura per il solo fatto che, a fronte di una serie di dichiarazioni sostitutive rese tutte dalla medesima persona (il presidente del Centro), era stata inoltrata una sola fotocopia del documento di riconoscimento del sottoscrittore. Il primo decidente, nell’accogliere il gravame, ha osservato che l’art. 38, comma 3, del d.p.r. n. 445 del 2000, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, recita: <
Tali conclusioni sono criticate dall’odierna appellante
Orbene, è noto che il consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato (per una recente applicazione cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2008, n. 3651), al quale il Collegio aderisce, attribuisce alla produzione della copia del documento di identità il valore di elemento costitutivo della fattispecie descritta dall’art. 38 del d.P.R. n. 445/2000. E’ stato, infatti, evidenziato che nella previsione di cui al combinato disposto degli art. 21, comma 1, e 38, commi 2 e 3, d.P.R. n. 445/2000, l’allegazione della copia fotostatica, sia pure non autenticata, del documento di identità dell’interessato vale a conferire legale autenticità alla sua sottoscrizione apposta in calce a una istanza o a una dichiarazione, e non rappresenta un vuoto formalismo ma semmai si configura come l’elemento della fattispecie normativa diretto a comprovare, oltre alle generalità del dichiarante, l’imprescindibile nesso di imputabilità soggettiva della dichiarazione a una determinata persona fisica. Peraltro, il rispetto delle prescrizioni previste dal citato art. 38 d.P.R. n. 445/2000 assume rilevanza anche ai fini delle responsabilità cui va incontro il dichiarante in caso di dichiarazioni false. Al riguardo, si osserva come la condotta tipica, penalmente sanzionata, sia esclusivamente quella tassativamente delineata dal combinato disposto della previsione codicistica e dell’art. 76 d.p.r. n. 445/2000, tal che nessuna responsabilità penale potrà mai sorgere qualora il dichiarante, pur avendo sottoscritto una falsa attestazione, non abbia tuttavia rispettato le forme stabilite dagli artt. 47 e 38 del d.P.R. n. 445/2000, tra le quali rientra essenzialmente l’adempimento consistente nell’onere di unire alla dichiarazione la copia fotostatica del documento di identità. Da ciò deriva che l’effetto di “certificazione” di quanto affermato dal privato può scaturire da una dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio nei soli casi in cui essa, laddove mendace, sia astrattamente suscettibile di condurre alla punizione del dichiarante a norma dell’art. 483 c.p., ovverosia sia idonea a garantire, attraverso quel minimo ineludibile di formalità rappresentato dalla produzione della copia del documento di identità, la provenienza soggettiva. Nelle dichiarazioni sostitutive dunque il collegamento esistente tra il profilo dell’efficacia amministrativa dell’attestazione proveniente dal cittadino e quello della responsabilità penale del dichiarante si presenta come assolutamente inscindibile, giacché l’impegno consapevolmente assunto dal privato a “dire il vero” costituisce l’architrave che regge l’intera costruzione giuridica degli specifici istituti di semplificazione: è evidente infatti che, in questa parte, il sistema amministrativo collasserebbe laddove l’ordinamento non presidiasse il rispetto di tale “patto” di reciproca e leale collaborazione tra cittadini e Pubblica Amministrazione con adeguate sanzioni, anche di natura penale.
Chiarito il principio di diritto, il Collegio ritiene di aderire all’indirizzo giurisprudenziale che rifugge da “un formalismo senza scopo” e sostiene la conformità alla lettera dell’art. 38 d.p.r. n. 445/2000 (e la rispondenza alla finalità dallo stesso perseguita), nel caso in cui venga inserito una sola copia fotostatica del documento di identità nella busta contenente la documentazione amministrativa, giacché questo elemento (come anche una dichiarazione con firma autenticata) è sufficiente alla identificazione del rappresentante che ha reso le dichiarazioni sostitutive, e ad “instaurare un nesso biunivocamente rilevante tra dichiarazione e responsabilità personale del sottoscrittore”, nella specie – come detto – perfettamente identificabile (cfr. la recentissima Cons. Stato, sez. IV, 5 marzo 2008, n. 949).
Né a sovvertire tale quadro interpretativo può essere invocata – come fa l’appellante – la disciplina di gara (con riguardo alle dichiarazioni di cui all’art. 12, punto III e IV): in primo luogo perché si tratta di prescrizioni di gara ambigue o plurivoche (con la conseguenza che risulta inconfigurabile rispetto ad esse qualsiasi onere di impugnazione del bando a carico dell’originaria ricorrente) in quanto non affermano con necessaria chiarezza che ogni dichiarazione doveva essere accompagnata da una fotocopia del documento d’identità; in secondo luogo perchè, per la regola della massima partecipazione in tema di gare, in virtù del principio del favor partecipationis le clausole del bando richieste a pena di esclusione devono essere chiare e puntuali e appunto, in caso di oscurità o non chiarezza, devono essere interpretate nel modo meno restrittivo (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2008, n. 1665; Cons. Stato, sez. VI, 7 giugno 2006, n. 3417; Cons. Stato, sez. V, 28 giugno 2006, n. 4222; Cons. Stato, sez. V, 28 settembre 2005, n. 5194).
L’appello, pertanto, non può essere accolto.
Il Collegio ravvisa la sussistenza di motivi equitativi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta l’appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio dell’1 aprile 2008