Il mutuo veniva largamente praticato sin dall’alta antichità, in tutto il Mediterraneo, specialmente presso la civiltà assira, egizia, greca e certamente anche a Roma.
Nella metà dell’VIII secolo a.C. Roma era un piccolo villaggio di capanne di rami e foglie, abitato da pastori che cominciavano con molta fatica a lavorare la terra, trasformandosi a poco a poco in agricoltori .
In un contesto sociale ed economico, in cui si consumava quanto si produceva e nel quale i traffici e gli scambi si esaurivano quasi del tutto nel baratto di cose contro altre cose, doveva essere veramente raro il bisogno di creditum: sia che si trattasse di concede all’amico o al vicino l’uso di un attrezzo da lavoro, di un animale o di un utensile; sia, e a maggior ragione, che si trattasse di prestargli cose che questi avrebbe consumato per poi restituirne altre della medesima qualità e quantità .
Possiamo supporre che dal VI secolo a.C., sviluppatasi una sorta di economia di scambio, cominciava a svilupparsi, specie tra ‘genti amiche’ , il ‘prestito di consumo’: si ci scambiava bestiame povero e minuto e sementi, la cui restituzione avveniva probabilmente con una parte dei frutti (per esempio con una parte del raccolto ottenuto con la semina) .
Siffatte operazioni dovettero divenire più intense quando nella cosiddetta “grande Roma” dei Tarquini si visse una situazione di particolare benessere e di espansione anche politica: alle complesse ed importanti riforme costituzionali seguì la crescita economico-sociale di Roma, si accrebbero sensibilmente la produzione agricola e sia il livello che l’intensità dei traffici commerciali, cominciò a circolare moneta (greca, etrusca e di altri mercati italici nonché l’aes rude) e soprattutto i dislivelli economici tra le persone aumentarono.
Vi era però una complicazione di non poco conto.
Quando due patres si accordavano per il prestito di una zappa o di una pecora, il tutto non aveva rilevanza giuridica . Se uno dei due restava scontento non poteva ricorrere ad alcuna autorità, essendo il rapporto affidato alla mera fides, cioè alla fiducia reciproca tra le parti e chi veniva meno alla parola data andava incontro al discredito personale e all’esclusione dalla vita sociale.
Alla luce di quanto detto, è stato inevitabile per molti studiosi ammettere che il mutuo informale, all’origine, sia stato considerato come mero patto e di conseguenza privo di efficacia obbligatoria e sfornito di azione ex contractu.
Il mutuante se voleva procurarsi un’azione contrattuale doveva farsi promettere dal mutuatario, mediante il solenne negozio verbale della sponsio, la restituzione di quanto gli dava in prestito.
Tuttavia alcuni studiosi hanno sostenuto che il mutuante che non avesse fatto uso dell’accennato rimedio non fosse rimasto sprovvisto di ogni tutela. Infatti fin da tempo antichissimo il diritto romano aveva creato e prontamente sanzionato il principio per cui ‘nessuno deve arricchirsi a danno d’altri’; sicché contro il mutuatario, che altrimenti si sarebbe ingiustamente arricchito, era esperibilebile l’azione di ripetizione ammessa nei casi di ingiusto arricchimento (ad esempio per recuperare quanto si fosse indebitamente pagato) e, più precisamente, una condictio sine causa.
Quando non c’era la fiducia, cosa che divenne sempre più frequente, e la natura extracontrattuale della protezione del mutuante divenne inadeguata, per garantirsi la giuridicità dell’operazione creditizia si ricorse alla nexi datio o alla stipulatio, a seconda del rapporto esistente tra le parti o della solvibilità dell’indebitato.
L’asservimento del debitore al mancipium del creditore era indispensabile per poter pretendere da lui soddisfazione.
Infatti nel momento in cui le piccole comunità di villaggio presenti nell’isola Tiberina e dintorni si riunirono , per dar luogo alla Civitas dei Quirites, dovettero convenire che ogni pater familias, in ordine a questo gruppo (da ricordare che le personae valevano quanto le res), alla domus, ai pochi animali aggiogati, doveva avere un potere esclusivo: ciascun pater era ‘padrone in casa sua’ e guai a chi s’intrometteva!
Dunque, senza il ricorso al nexum, nessun pater avrebbe potuto esigere da un altro pater l’adempimento di una prestazione.
Possiamo credere, viste le strutture economiche a loro modo ‘capitalistiche’ e le vaste attività di scambio e di produzione, che anche nell’età del Principato e dell’Impero era molto diffuso il mutuo, specie di beni di largo consumo e di denaro, per i bisogni personali – familiari di larghi strati di sudditi e per le operazioni economiche che si volevano intrapendere.