Recentemente la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2001, n. 1507) ha precisato che nel procedimento di rilascio del titolo abilitativo l’amministrazione ha il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica.
Infatti, si tratta di una attività istruttoria che non è diretta a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati, bensì ad accertare il requisito della legittimazione in capo al richiedente.
Ne consegue che l’Amministrazione in sede di rilascio del titolo abilitativo all’esecuzione dell’intervento edilizio può legittimamente richiedere il consenso del comproprietario dell’immobile interessato dall’intervento.
Qualora sorga un dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato, l’Amministrazione potrà avviare un procedimento di secondo grado al fine di verificare la legittimità del proprio operato al momento del rilascio del titolo abilitativo.
Inoltre, secondo l’orientamento del Cons. Stato, Sez. V, 1° marzo 2003, n. 1150, l’annullamento d’ufficio del titolo abilitativo all’attività edilizia ha natura discrezionale perché postula l’accertamento della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto e la comparazione tra questo interesse e l’entità del sacrificio imposto al privato. Tuttavia, la giurisprudenza riconosce che l’onere della motivazione in relazione all’interesse pubblico all’annullamento risulta affievolito allorché il rilascio del titolo abilitativo consegua ad una inesatta rappresentazione della realtà da parte del richiedente (Cons. Stato, Sez. V, 29 settembre 1999, n. 1213; T.A.R. Campania, Sez. IV, 19 novembre 2004, n. 16900).
Pertanto, qualora il titolo abilitativo sia stato rilasciato in base ad una falsa rappresentazione della realtà materiale, l’Amministrazione può esercitare il proprio potere di autotutela, senza esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che in tale ipotesi deve ritenersi sussistente in re ipsa (T.A.R. Puglia Lecce, Sez. I, 4 aprile 2006, n. 1831).
TAR Napoli, Sez. VII, 18 aprile 2007 / 21 maggio 2007, n. 5482
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sede Napoli, Sezione settima, con l’intervento dei signori Magistrati:
Francesco Guerriero Presidente
Arcangelo Monaciliuni Consigliere
Carlo Polidori Referendario – estensore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 3794/2003, proposto da R A, rappresentato e difeso, per mandato a margine del ricorso, dall’avvocato L P, con il quale è elettivamente domiciliato in Napoli, piazza Xxx n. 18, presso lo studio dell’avvocato E M,
contro
il Comune di SORRENTO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato M R, con il quale è elettivamente domiciliato in Napoli, via Zzzz n. 23,
per l’annullamento
previa sospensione, del provvedimento n. 1319 del 13 gennaio 2003 del Comune di Sorrento, con il quale è stato disposto l’annullamento dell’autorizzazione edilizia n. 75 del 4 luglio 2005, nonché di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale, e
per la condanna
dell’Amministrazione al risarcimento dei danni cagionati dall’adozione del provvedimento impugnato;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente e tutti gli atti di causa;
Relatore il Referendario Carlo Polidori;
Udite alla pubblica udienza del 18 aprile 2007 le parti presenti come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
1. Con atto notificato in data 17 marzo 2003 e depositato il successivo 4 aprile 2003, il ricorrente ha impugnato il provvedimento n. 1319 del 13 gennaio 2003 del Comune di Sorrento, con il quale è stato disposto l’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione edilizia n. 75 del 4 luglio 2005, avente ad oggetto l’apposizione di una ringhiera sul terrazzo sovrastante l’appartamento di proprietà del ricorrente.
Il ricorrente premette che il procedimento di riesame della suddetta autorizzazione è stato avviato a seguito di un esposto presentato da uno dei condomini dell’immobile di via San Francesco n. 17, in cui è sito l’appartamento di sua proprietà, e che egli, ricevuta la comunicazione di avvio del procedimento, in data 26 novembre 2001 provvedeva a trasmettere al Comune una memoria difensiva, evidenziando di aver richiesto la predetta autorizzazione in qualità di condomino, che l’art. 1102 cod. civ. consente a ciascun condomino di servirsi della cosa comune, che la realizzazione della ringhiera non altera la destinazione del terrazzo e non impedisce agli altri condomini di farne uso, e che l’assemblea di condominio non ha mai negato l’assenso all’apposizione della ringhiera de qua.
Ciononostante l’Amministrazione dapprima con la nota n. 41152 del 28 novembre 2002, peraltro relativa al diverso procedimento di sanatoria avente ad oggetto la realizzazione di una scala in ferro di collegamento con il terrazzo, provvedeva a richiedergli “prova documentale certa ed inconfutabile del diritto di proprietà vantato sul terrazzo”. Poi, senza tener conto dell’ulteriore memoria difensiva presentata in data 19 dicembre 2002 e del deposito del contratto di acquisto dell’appartamento di sua proprietà, con il provvedimento impugnato l’Amministrazione disponeva l’annullamento dell’autorizzazione edilizia n. 75 del 4 luglio 2005, evidenziando in motivazione che dalla documentazione presentata dal ricorrente in data 19 dicembre 2002 “non risultano i germani R esclusivi proprietari del terrazzo di copertura oggetto dell’autorizzazione edilizia”, che “fondamentale presupposto per la richiesta di autorizzazione avanzata dal sig. R Augusto è il titolo di proprietà, o comunque della legittimità a disporne, e che lo stesso non è stato ad oggi in grado di fornire” e che la richiesta di installazione della ringhiera risulta quindi “presentata in assenza del titolo perfetto”.
Di tale provvedimento di autotutela il ricorrente chiede quindi l’annullamento per i seguenti motivi.
I) Violazione degli articoli 3 e 8 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per travisamento dei fatti e totale carenza di istruttoria. La presente censura è incentrata sulla mancata partecipazione al procedimento conclusosi con l’adozione dell’avversato provvedimento di autotutela. In particolare il ricorrente, pur ammettendo di aver ricevuto la comunicazione dell’avvio di tale procedimento, lamenta che la stessa sia stata effettuata circa un anno e mezzo prima dell’adozione del provvedimento impugnato, che dopo tale adempimento l’Amministrazione non abbia svolto alcuna attività istruttoria e che, ciononostante, nel provvedimento impugnato siano stati richiamati atti istruttori relativi al diverso procedimento di sanatoria relativo alla scala di collegamento con il terrazzo.
II) Violazione degli articoli 3 e 10 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per travisamento dei fatti e totale carenza di istruttoria. Il ricorrente deduce nella sostanza che, laddove l’attività istruttoria compiuta nell’ambito del procedimento di sanatoria relativo alla scala in ferro fosse ritenuta utile anche ai fini dell’adozione dell’avversato provvedimento di autotutela, la condotta dell’Amministrazione risulterebbe comunque illegittima, perché non sono state compiutamente valutare le due memorie difensive dallo stesso presentate.
III) Violazione dell’articolo 3 della legge n. 241/1990, in relazione alla mancata allegazione dei vizi del provvedimento annullato e dell’interesse pubblico all’annullamento dello stesso; eccesso di potere per travisamento dei fatti e totale carenza di istruttoria. Innanzi tutto il ricorrente sostiene che, se è vero che la richiesta autorizzazione avrebbe potuto essergli rilasciata solo previa esibizione di un titolo attestante la proprietà esclusiva del terrazzo, ne consegue che il provvedimento impugnato è illegittimo perché adottato a distanza di un considerevole lasso di tempo (oltre un anno e mezzo), senza che l’Amministrazione abbia indicato l’interesse pubblico concreto ed attuale al ritiro del provvedimento autorizzatorio. Se invece, come la stessa Amministrazione ammette in motivazione, l’annullamento dell’autorizzazione è dipeso dal fatto che il ricorrente non abbia neppure in seguito dimostrato di poter legittimamente disporre del terrazzo, il provvedimento impugnato risulta comunque illegittimo perché adottato senza tener conto di quanto rappresentato con la memoria depositata in data 19 dicembre 2002, ossia senza attendere la decisione dell’assemblea condominiale che avrebbe probabilmente fornito al ricorrente il titolo per disporre legittimamente del terrazzo.
IV) Violazione dell’articolo 4 della legge n. 10/1977, degli articoli 1102, 1117 e 1140 del codice civile e dell’articolo 3 della legge n. 241/1990, in relazione alla mancanza di interesse pubblico all’annullamento dello stesso; eccesso di potere per travisamento dei fatti e totale carenza di istruttoria. Il ricorrente sostiene che in qualità di condomino dell’immobile di via San Francesco n. 17, e quindi di comproprietario del terrazzo in questione, era comunque legittimato a richiedere l’autorizzazione all’apposizione della ringhiera, anche perché con tale intervento egli non ha leso diritti di altri condomini, ma anzi ha apportato a sue spese un miglioramento della cosa comune.
V) Violazione dell’articolo 2043 del codice civile e dei principi di imparzialità, correttezza e buon andamento dell’Amministrazione. Con la presente censura il ricorrente chiede il risarcimento dei danni che deriverebbero dall’esecuzione del provvedimento impugnato.
2. Il Comune di Sorrento si è costituito in giudizio in data 15 maggio 2003 per resistere al ricorso depositando una memoria difensiva con la quale è stato ribadito, nella sostanza, che il provvedimento impugnato è stato adottato perché l’autorizzazione edilizia n. 75 del 4 luglio 2005 è stata rilasciata sulla base di una falsa rappresentazione della realtà imputabile al ricorrente. Infatti nelle planimetrie allegate alla richiesta di autorizzazione il lastrico solare oggetto dell’intervento di installazione della ringhiera viene indicato come “proprietà R”, mentre tale circostanza risulta smentita sia dal titolo di proprietà esibito dal ricorrente, sia da quanto affermato nel ricorso circa la richiesta rivolta al condominio per ottenere l’assenso per l’ installazione della ringhiera. Pertanto l’interesse pubblico all’annullamento della predetta autorizzazione deve ritenersi sussistente in re ipsa e non necessita di alcuna motivazione.
3. Con ordinanza n. 2448 del 21 maggio 2003 è stata respinta la domanda di sospensione del provvedimento impugnato
Alla pubblica udienza del 18 aprile 2007 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. Prima di procedere all’esame del presente ricorso – avente ad oggetto il provvedimento n. 1319 del 13 gennaio 2003, del Comune di Sorrento, con il quale è stato disposto l’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione edilizia n. 75 del 4 luglio 2005, relativa all’apposizione di una ringhiera sul terrazzo sovrastante l’appartamento di proprietà del ricorrente – in punto di fatto il Collegio ritiene necessario evidenziare innanzi tutto che il procedimento di riesame conclusosi con l’annullamento della predetta autorizzazione è stato avviato a seguito della presentazione di un esposto da parte di uno dei condomini dell’immobile di via San Francesco n. 17, con il quale veniva rappresentato al Comune di Sorrento che il suddetto terrazzo non rientra nella proprietà esclusiva del ricorrente, ma costituisce parte comune dell’edificio, mentre il ricorrente nella richiesta di autorizzazione si era dichiarato comproprietario col fratello Francesco di “un appartamento comprensivo di terrazzo di copertura”.
Inoltre nell’ambito del procedimento di riesame il ricorrente, a fronte delle reiterate richieste dell’Amministrazione, non è riuscito a dimostrare né la comproprietà col fratello Francesco del terrazzo di copertura, né di poter legittimamente disporre liberamente di tale terrazzo in forza di un atto di assenso proveniente dall’assemblea del condomino dell’immobile di via San Francesco n. 17, e di ciò si trae conferma – come puntualmente evidenziato dall’Amministrazione resistente nella sua memoria – sia dal titolo di proprietà allegato al ricorso (contratto di compravendita in data 26 ottobre 1988), dal quale si evince che l’appartamento acquistato dai signori R Augusto e Francesco è “confinante con terrazza condominiale”, sia da quanto affermato dallo stesso ricorrente in merito alla richiesta rivolta al condominio per ottenere l’assenso per l’installazione della ringhiera. Infatti il verbale dell’assemblea di condominio in data 7 settembre 2001, pur riportando al punto 3 dell’ordine del giorno l’argomento “lavori abusivi eseguiti nella proprietà condominiale dal condomino R Augusto”, non contiene alcuna indicazione circa le decisioni assunte in merito dall’assemblea, né si rinviene in atti l’esito della richiesta di convocazione dell’assemblea di condominio avanzata dal ricorrente in data 19 dicembre 2002 proprio al fine di ottenere l’assenso per l’apposizione della ringhiera e della scala di accesso al terrazzo.
2. Ciò posto, al fine di valutare la legittimità del provvedimento impugnato, è necessario preliminarmente rammentare che in passato la giurisprudenza era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell’attività amministrativa in materia edilizia fosse costituito dall’accertamento della conformità dell’opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi e senza che la mancata considerazione di tali diritti potesse in qualche modo incidere sulla legittimità dell’atto.
Tuttavia più recentemente la giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2001, n. 1507) ha precisato che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili, sicché non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio del titolo abilitativo l’amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati, bensì ad accertare il requisito della legittimazione capo al richiedente. Ne consegue che, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato, la scelta dell’Amministrazione di assentire comunque le opere, in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici, evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta del titolo abilitativo e la titolarità del prescritto diritto di godimento (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 21 ottobre 2003, n. 6529)
Precisato, quindi, che l’Amministrazione in sede di rilascio del titolo abilitativo all’esecuzione dell’intervento edilizio può legittimamente richiedere il consenso del comproprietario dell’immobile interessato dall’intervento, non v’è dubbio che, laddove il dissidio fra i comproprietari emerga in un momento successivo, l’Amministrazione possa avviare un procedimento di secondo grado al fine di verificare la legittimità del proprio operato al momento del rilascio del titolo abilitativo.
Inoltre si deve rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis Cons. Stato, Sez. V, 1° marzo 2003, n. 1150), l’annullamento d’ufficio del titolo abilitativo all’attività edilizia ha natura discrezionale perché postula l’accertamento della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto e la comparazione tra questo interesse e l’entità del sacrificio imposto al privato. Tuttavia, la giurisprudenza riconosce che l’onere della motivazione in relazione all’interesse pubblico all’annullamento risulta affievolito allorché il rilascio del titolo abilitativo consegua ad una inesatta rappresentazione della realtà da parte del richiedente (Cons. Stato, Sez. V, 29 settembre 1999, n. 1213; T.A.R. Campania, Sez. IV, 19 novembre 2004, n. 16900).
Pertanto qualora il titolo abilitativo sia stato rilasciato in base ad una falsa rappresentazione della realtà materiale, l’Amministrazione può esercitare il proprio potere di autotutela, senza esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che in tale ipotesi deve ritenersi sussistente in re ipsa (T.A.R. Puglia Lecce, Sez. I, 4 aprile 2006, n. 1831).
3. Poste tali premesse, risulta evidente l’infondatezza delle censure dedotte con il presente ricorso.
In particolare, riguardo alle censure dedotte con il primo motivo ed incentrate sulla mancata partecipazione del ricorrente al procedimento conclusosi con l’adozione del provvedimento impugnato, rilevanza decisiva assume la circostanza che l’Amministrazione abbia ritualmente provveduto – come ammesso dallo stesso ricorrente – a dare comunicazione dell’avvio del procedimento con la nota n. 38698 del 31 ottobre 1001, a seguito della quale il ricorrente ha potuto esporre le proprie ragioni con la memoria depositata in data 26 novembre 2001.
Né rileva il fatto che l’annullamento d’ufficio sia intervenuto a distanza di circa un anno e mezzo dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, perché tale circostanza non ha nulla a che fare con il rispetto del contraddittorio in sede procedimentale.
Quanto poi al fatto che nella motivazione del provvedimento impugnato sia richiamata anche la nota n. 41152 del 28 novembre 2002 – con la quale l’Amministrazione, nell’ambito del diverso procedimento di sanatoria relativo alla realizzazione della scala di collegamento con il terrazzo, ha chiesto al ricorrente di fornire la prova documentale del diritto di proprietà vantato sul terrazzo – non si vede come possa essere considerato un indice della lesione della garanzia del contraddittorio. Infatti, premesso che a seguito di tale nota il ricorrente con la memoria depositata in data 19 dicembre 2002 ha potuto nuovamente esporre le proprie ragioni, il richiamo contenuto nella motivazione del provvedimento impugnato sta piuttosto ad indicare che neppure nell’ambito del suddetto procedimento di sanatoria il ricorrente ha fornito la prova della piena disponibilità del terrazzo.
4. Riguardo al secondo motivo, con il quale il ricorrente si duole del fatto che l’Amministrazione non abbia compiutamente valutato le due memorie difensive dallo stesso presentate, si deve preliminarmente rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 5 maggio 2006, n. 3976), l’obbligo di prendere in considerazione gli scritti defensionali del privato, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 241/1990, non comporta la necessità di una puntuale confutazione delle argomentazioni svolte dalla parte privata, dovendosi piuttosto valutare la sufficienza della motivazione in relazione all’ampiezza dei poteri affidati all’Amministrazione e delle risultanze istruttorie complessivamente acquisite.
Ciò posto, non v’è ragione per ritenere che gli scritti difensivi del ricorrente non siano stati adeguatamente valutati, perché nella motivazione del provvedimento impugnato è stato chiaramente evidenziato che “dalla documentazione pervenuta non risultano i germani R esclusivi proprietari del terrazzo di copertura oggetto dell’autorizzazione edilizia”.
5. In merito alle censure dedotte con il terzo motivo, stante quanto si è detto in precedenza, si deve innanzi tutto convenire con l’Amministrazione resistente quando afferma che nel caso in esame, trattandosi dell’annullamento d’ufficio di un’autorizzazione edilizia rilasciata sulla base di una falsa rappresentazione della realtà in relazione alla piena disponibilità del terrazzo da parte del ricorrente, l’interesse pubblico all’annullamento deve ritrarsi sussistente in re ipsa e, quindi, il ricorrente non ha motivo di dolersi del fatto che non sia stato indicato in motivazione un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione del provvedimento autorizzatorio.
Né il ricorrente può ragionevolmente dolersi del fatto che il provvedimento impugnato sia stato adottato senza tener conto di quanto rappresentato con la memoria depositata in data 19 dicembre 2002, ossia senza attendere la decisione dell’assemblea condominiale che gli avrebbe probabilmente fornito il titolo per disporre legittimamente del terrazzo. Infatti – premesso che, come già evidenziato in precedenza, neppure successivamente alla proposizione del ricorso è stata fornita la prova del fatto che dell’assemblea condominiale abbia fornito l’assenso per l’apposizione della ringhiera e della scala di accesso al terrazzo – si deve rilevare che, seppure tale assenso fosse intervenuto in pendenza del procedimento di riesame dell’autorizzazione de qua, tale circostanza non avrebbe certo fatto venir meno la falsa rappresentazione della realtà posta a fondamento della richiesta di autorizzazione, ma avrebbe semmai legittimato il ricorrente a richiedere l’adozione di un nuovo provvedimento autorizzatorio.
6. Riguardo al quarto motivo di ricorso, oltre a quanto già evidenziato in precedenza, è sufficiente rilevare che l’apposizione della ringhiera de qua sul terrazzo condominiale non può essere certo considerata, ai fini dell’art. 1102 del codice civile, come una modalità di uso della cosa comune, perché determina una evidente alterazione della destinazione della parte comune dell’edificio condominiale (si veda in tal senso Cass. Civ, Sez. II, 19 gennaio 2006, n. 972, secondo la quale è illegittima la trasformazione del tetto di un edificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, essendo in tal modo alterata la originaria destinazione della cosa comune che viene sottratta all’utilizzazione da parte degli altri condomini).
Pertanto non v’è dubbio che l’apposizione della predetta ringhiera fosse subordinata all’acquisizione dell’assenso da parte degli altri condomini, come del resto dimostra la richiesta di convocazione dell’assemblea di condominio avanzata dal ricorrente in data 19 dicembre 2002.
7. Stante quanto precede il presente ricorso (ivi compresa la richiesta di risarcimento danni) deve essere respinto perché infondato.
Le spese di giudizio, quantificate nella misura indicata nel dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 3794/2003, lo respinge perché infondato.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano in euro 1.000,00 (mille/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli, nella camera di consiglio del 18 aprile 2007.
Il Presidente
L’Estensore