Corte costituzionale
Sentenza 20 maggio 2008, n. 160
Udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2008 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 24 aprile 2007, il Tribunale ordinario di Ferrara ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 6 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme in materia di enfiteusi), nella parte in cui, per i rapporti di enfiteusi urbana ed edificatoria costituiti anteriormente al 28 ottobre 1941, non prevedono che il valore di riferimento per la determinazione del capitale ai fini dell’affrancazione delle stesse sia periodicamente aggiornato mediante l’applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica.
Riferisce il rimettente che, con ricorso depositato il 13 giugno 2000, Bernasciutti Nadia, Verri Roberta e Verri Anna Rita, acquirenti con atto notarile del 30 luglio 1997 di un fabbricato urbano di vecchia costruzione sito in Ferrara, gravato da enfiteusi urbana costituita anteriormente al 28 ottobre 1941, e precisamente con atto notarile del 10 ottobre 1921, per un canone annuo perpetuo pari a lire 2.250 (lire duemiladuecentocinquanta), hanno chiesto, ai sensi degli artt. 2 e seguenti della legge 22 luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue), l’affrancazione del fondo, previo deposito della somma che il Tribunale avesse determinato come capitale d’affranco.
Con comparsa depositata in data 31 gennaio 2001 si sono costituiti nella procedura i controinteressati Mignone Francesco, Mignone Michelangelo e Mignone Giuseppe, quali eredi dei concedenti l’immobile gravato dalla enfiteusi in questione, che, nel merito, hanno lamentato l’inadempimento delle ricorrenti per morosità nel versamento dei canoni enfiteutici, chiedendo, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto enfiteutico (con devoluzione del fondo in proprio favore) e, in subordine, per l’ipotesi di accoglimento della domanda di affrancazione, la determinazione del più equo capitale di affranco.
Con provvedimento del 29 settembre 2001 il giudice della fase sommaria, verificata la regolarità del contraddittorio e tenuto conto che il canone annuo convenzionalmente fissato all’inizio del rapporto enfiteutico in questione era pari a lire 2.250, ha determinato il capitale di affranco, in applicazione del combinato disposto degli artt. 5, 6 e 9 della legge n. 1138 del 1970, nella somma complessiva di lire 664.740, pari a 15 volte l’ammontare del canone annuo originario moltiplicato per 16 volte ai sensi dell’art. 1 della legge 1° luglio 1952, n. 701 (Norme in materia di revisione di canoni enfiteutici e di affrancazione), e rivalutato in base ai parametri dell’ISTAT per il periodo 1° gennaio 1963 – 31 dicembre 1968 (ai sensi dell’art. 6 della legge n. 1138 del 1970). Successivamente, con ordinanza emessa in data 4 aprile 2002, il giudice, verificato il deposito della somma da parte delle ricorrenti presso l’ufficio postale di Ferrara, ha disposto l’affrancazione del fondo in oggetto.
Con atto depositato in data 7 agosto 2002 Mignone Francesco, Mignone Michelangelo e Mignone Giuseppe hanno proposto formale opposizione, ai sensi dell’art. 5, comma quinto, della legge 22 luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue), avverso l’ordinanza di affrancazione.
Nel corso del giudizio, è stata disposta consulenza tecnica d’ufficio per la determinazione del capitale di affranco del fondo enfiteutico in questione. Il consulente tecnico ha stimato in euro 685.000 il valore del fondo.
Dopo la precisazione delle conclusioni il rimettente, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, ha sollevato d’ufficio la suddetta questione di legittimità costituzionale.
Quanto alla rilevanza della questione, viene evidenziato che nel giudizio a quo è stata proposta rituale domanda, ai sensi dell’art. 5, comma quinto, della legge n. 607 del 1966, di determinazione del capitale di affranco di un fondo gravato da enfiteusi urbana ed edificatoria costituita il 10 settembre 1921.
Quanto al profilo della contestata legittimazione attiva dei Mignone, si osserva che appare indubitabile l’interesse ad agire, ai sensi dell’art. 5, comma quinto, della legge n. 607 del 1966, dei suddetti Mignone, quali eredi degli originari titolari del dominio diretto sul fondo in questione, e che proprio in tale veste sono stati legittimamente convenuti dagli enfiteuti nella fase sommaria del giudizio, introdotta con il ricorso di cui all’art. 2 della legge n. 607 del 1966.
Ai fini della decisione sulla domanda di determinazione del capitale di affranco, proposta ai sensi dell’art. 5 della legge n. 607 del 1966, tenuto conto che in base all’art. 9 della legge n. 1138 del 1970 «l’affrancazione del fondo si opera in ogni caso […] mediante il pagamento di una somma pari a 15 volte l’ammontare del canone», è necessario ed imprescindibile, osserva il Collegio rimettente, fare applicazione dell’art. 5 della legge n. 1138 del 1970, il quale stabilisce che «il canone annuo delle enfiteusi urbane ed edificatorie non può essere superiore a quello fissato all’inizio del rapporto enfiteutico, salva, per i rapporti costituiti anteriormente al 28 ottobre 1941, la rivalutazione di cui alla legge 10 luglio 1952, n. 701», e dell’art. 6 della legge n. 1138 del 1970, per effetto del quale è prevista in ogni caso la rivalutazione dei canoni, a richiesta della parte interessata, «in misura proporzionale al mutato potere di acquisto della lira, quale risulta dalle statistiche dell’ISTAT, dal 1° gennaio 1963 (o dalla data di costituzione del rapporto se successiva) al 31 dicembre 1968».
Secondo il giudice a quo, applicando il suddetto criterio di calcolo al caso in decisione, nel quale il canone enfiteutico annuale all’origine del rapporto è stato dalle parti «stabilito invariabilmente in lire 2.250 annue, il capitale di affrancazione risulterebbe ad oggi pari ad euro 337,62, somma da ritenersi sostanzialmente del tutto irrisoria o comunque inferiore al livello di una equa valutazione, tenuto conto del fatto che la porzione immobiliare urbana di cui è causa ha, nel complesso, un valore di mercato pari ad euro 685.000, secondo le stime effettuate dal consulente tecnico d’ufficio nella relazione peritale agli atti del giudizio».
Il Collegio a quo si fa carico della sentenza n. 53 del 1974, con la quale la Corte costituzionale, nel dichiarare la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge n. 1138 del 1970 – con cui era stato introdotto anche per le enfiteusi urbane o edificatorie il criterio di calcolo del capitale in misura pari a quindici volte l’ammontare del canone, già stabilito per le enfiteusi rustiche con l’art. 1, quarto comma, della legge n. 607 del 1966 -, aveva, tuttavia, affermato che gli artt. 5 e 6 della legge n. 1138 del 1970 erano disposizioni che potevano ritenersi «ineccepibili sotto il profilo della legittimità costituzionale, se riferite alle enfiteusi costituite anteriormente all’entrata in vigore del libro della “proprietà” del codice civile». Nella citata sentenza n. 53 del 1974, la Corte, facendo proprie le considerazioni che nella pronuncia n. 37 del 1969 erano state già ritenute determinanti in materia di enfiteusi su fondi rustici ai fini della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 1 della legge n. 607 del 1966, nella parte in cui tale norma si riferiva anche ai rapporti costituiti successivamente alla data del 28 ottobre 1941, ha sostenuto che «il diritto a chiedere la revisione periodica del canone riconosciuto ad entrambe le parti dall’art. 962 del codice civile, ha conferito al contratto un nuovo elemento di rilievo, rispetto al tipo tradizionale, talché la data del 28 ottobre 1941 segna una importante demarcazione tra i rapporti di antica o meno recente costituzione e quelli costituiti e svoltisi successivamente, sotto la garanzia della possibile operatività di quel diritto, e di un sistema normativo in cui la posizione giuridica del concedente era stata oggetto di più equilibrata considerazione, nel fine di promuovere la costituzione di nuovi rapporti».
Sulla base di tali motivazioni, pertanto, la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 53 del 1974, aveva adottato una decisione analoga a quella già presa nel 1969 per le enfiteusi rustiche in relazione all’art. 1 della legge n. 607 del 1966, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 5 e 6 della legge n. 1138 del 1970 di disciplina delle enfiteusi urbane ed edificatorie, nella parte in cui comprendevano nella normativa anche i rapporti costituiti successivamente alla data del 28 ottobre 1941, «per i quali la possibilità di rivalutazione dei canoni prevista dall’art. 6 con esclusivo riferimento al periodo 1° gennaio 1963 – 31 dicembre 1968 risulta manifestamente inadeguata a sostituire il criterio di revisione stabilito dall’art. 962 del codice civile».
Secondo il rimettente, alla declaratoria di parziale incostituzionalità delle norme di cui agli artt. 5 e 6 della legge n. 1138 del 1970 è conseguito, quindi, che per le enfiteusi urbane costituite in epoca anteriore al 28 ottobre 1941, come quella oggetto del presente giudizio, costituita il 10 settembre 1921, l’affrancazione si opera ancora mediante pagamento di una somma corrispondente a 15 volte il canone enfiteutico, il quale «non può essere superiore a quello fissato all’inizio del rapporto enfiteutico, salva […] la rivalutazione di cui alla legge 1° luglio 1952, n. 701» (art. 5 della legge n. 1138 del 1970), oltre alla rivalutazione ISTAT, a richiesta della parte interessata, per il periodo 1° gennaio 1963 – 31 dicembre 1968 (art. 6 della legge n. 1138 della 1970).
Alla luce, tuttavia, dell’esiguità della somma che si otterrebbe nella fattispecie applicando le norme attualmente vigenti per l’affranco delle enfiteusi urbane ed edificatorie anteriori al 1941 (pari, come detto, ad euro 337,62, secondo la stima effettuata dal consulente tecnico), il rimettente ritiene sussistenti profili di non manifesta infondatezza della sollevata questione, potendosi supporre violato il principio costituzionale di tutela della proprietà privata (art. 42, secondo e terzo comma, Cost.), oltre che il principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.).
Pur tenendo conto, infatti, che l’affrancazione determina la sola acquisizione del dominio diretto e che i concedenti hanno goduto dei canoni, ritiene il giudice a quo che vi sia un limite al di sotto del quale le regole che determinano il capitale per l’affrancazione contrastino con l’art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, poiché vi sarebbe una distanza incolmabile tra il momento al quale va riferito il calcolo del valore del diritto di affranco, ancorato ad un canone pattuito in un tempo remoto, ed il momento in cui il diritto da indennizzare viene effettivamente colpito, caratterizzato da una realtà economica incomparabilmente diversa.
Proprio sulla scia di tali considerazioni, del resto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 143 del 23 maggio 1997, dichiarando in parte qua l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 607 del 1966, ha ritenuto di estendere alle enfiteusi rustiche costituite in epoca anteriore al 28 ottobre 1941 il principio già enunciato nella precedente pronuncia n. 406 del 1988 per i rapporti enfiteutici della stessa natura successivi alla suddetta data, principio secondo cui il valore di riferimento prescelto per tutte le enfiteusi di natura rustica ai fini della determinazione del canone in base al quale è calcolato il capitale per l’affrancazione deve essere «periodicamente aggiornato mediante l’applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenere adeguata, con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica».
Considerata la linea evolutiva che la Corte costituzionale ha tracciato nel tempo per la disciplina delle enfiteusi rustiche, oggettivamente distinta ma in un certo senso simmetrica rispetto a quella delle enfiteusi urbane, gli artt. 5 e 6 della legge n. 1138 del 1970 sembrano al Collegio rimettente violare anche il parametro costituito dall’art. 3 della Costituzione, e ciò sotto un duplice profilo.
Da un lato, infatti, non si rinviene una ragionevole giustificazione alla base della disparità di trattamento attualmente esistente per la determinazione del capitale di affranco delle enfiteusi urbane ed edificatorie anteriori al 28 ottobre 1941, per le quali il valore di riferimento è un canone pattizio inalterabile, rispetto alle enfiteusi urbane posteriori alla stessa data, in relazione alle quali il congegno legislativo in esame è stato espressamente dichiarato incostituzionale (sentenza n. 53 del 1974), e ciò tenuto conto del fatto che la regola della revisione periodica del canone introdotta dall’art. 962 del codice civile, che aveva così innovato la tradizione preesistente recepita dal codice civile del 1865, è stata soppressa anche per le nuove enfiteusi in ragione dell’art. 4 della legge n. 1138 del 1970, e che «comune a tutti i rapporti enfiteutici, anzi più accentuato per quelli costituiti in epoca remota, è il divario tra il capitale di affrancazione e la realtà economica» (così testualmente la citata sentenza n. 143 del 1997, nella quale la Corte ha espressamente escluso una ragionevole giustificazione nella «diversità di trattamento che risulta nelle regole di determinazione del capitale di affranco per le enfiteusi rustiche anteriori al 28 ottobre 1941, per le quali non è previsto alcun meccanismo di adeguamento del calcolo in base ai valori catastali del 1939, rivalutati nel 1947, rispetto alle enfiteusi rustiche costituite successivamente alla data che segna il discrimine, e per le quali opera a seguito della sentenza n. 406 del 1988 il principio dell’applicazione di un coefficiente di maggiorazione»).
Dall’altro lato, proprio a séguito della sentenza n. 143 del 1997, appare plausibile, secondo il giudice a quo, dubitare della legittimità costituzionale di un sistema che, mentre per i rapporti enfiteutici fondiari anteriori alla data del 28 ottobre 1941, prevede un meccanismo che consente di mantenere adeguata, con ragionevole approssimazione, la corrispondenza tra capitale di affranco ed effettiva realtà economica (sentenza n. 143 del 1997), ciò non consente, allo stato della legislazione attuale, per i rapporti enfiteutici urbani ed edificatori anteriori alla stessa data del 28 ottobre 1941, rimasti tuttora ancorati ai rigidi parametri di cui agli artt. 5 e 6 della legge n. 1138 del 1970, in relazione ai quali non sussistono margini interpretativi proprio in ragione del chiaro principio fissato nella sentenza della Corte costituzionale n. 53 del 1974, che ha espressamente limitato la declaratoria di incostituzionalità delle norme in esame alle sole enfiteusi urbane successive alla data individuata come discrimine.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Il Tribunale ordinario di Ferrara dubita della legittimità costituzionale degli artt. 5 e 6 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme in materia di enfiteusi), nella parte in cui, per i rapporti di enfiteusi urbana ed edificatoria costituiti anteriormente al 28 ottobre 1941, non prevedono che il valore di riferimento per la determinazione del capitale ai fini dell’affrancazione delle stesse sia periodicamente aggiornato mediante l’applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica. Le norme censurate si porrebbero in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, per la ingiustificata disparità di trattamento, quanto alla determinazione del capitale di affranco, tra le enfiteusi urbane ed edificatorie anteriori al 28 ottobre 1941, per le quali il valore di riferimento è un canone pattizio inalterabile, e quelle urbane posteriori alla stessa data, in relazione alle quali il congegno legislativo in esame è stato espressamente dichiarato incostituzionale (sentenza n. 53 del 1974). Inoltre, le norme denunciate violerebbero l’art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, in quanto, pur tenendosi conto del fatto che l’affrancazione determina la sola acquisizione del dominio diretto e che i concedenti hanno goduto dei canoni, vi sarebbe un limite al di sotto del quale le regole che determinano il capitale per l’affrancazione contrastano con l’art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, dal momento che vi sarebbe una distanza incolmabile tra il momento cui va riferito il calcolo del valore del diritto di affranco, ancorato ad un canone pattuito in un tempo remoto, ed il momento in cui il diritto viene effettivamente colpito, caratterizzato da una realtà economica incomparabilmente diversa.
2. – La questione è fondata.
In materia di enfiteusi si distinguono: a) le enfiteusi rustiche costituite anteriormente al 28 ottobre 1941; b) quelle rustiche costituite successivamente al 28 ottobre 1941; c) le enfiteusi urbane costituite prima del 28 ottobre 1941; d) quelle urbane costituite dopo il 28 ottobre 1941.
Nel codice civile del 1865, non era prevista la rivalutazione del canone.
Dal 28 ottobre 1941 sono entrate in vigore le norme in tema di enfiteusi dell’attuale codice civile, che consentivano una sia pur limitata rivalutazione.
Nel 1952 è poi entrata in vigore la legge 1° luglio 1952, n. 701 (Norme in materia di revisione di canoni enfiteutici e di affrancazione), che all’art. 1, primo comma, stabilisce che «I canoni in danaro di enfiteusi costituite anteriormente al 28 ottobre 1941 sono aumentati a sedici volte l’ammontare dovuto a quella data».
Successivamente, sono entrate in vigore, nel 1966, la legge 22 luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue), che ha abolito la possibilità di aumentare il canone, e, nel 1970, la legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme in materia di enfiteusi), il cui art. 5 (oggi censurato) dispone che il canone delle enfiteusi urbane non può essere rivalutato («Il canone annuo delle enfiteusi urbane ed edificatorie non può essere superiore a quello fissato all’inizio del rapporto enfiteutico salva, per i rapporti istituiti anteriormente al 28 ottobre 1941, la rivalutazione di cui alla legge 1° luglio 1952, n. 701»).
Il successivo art. 6 della stessa legge n. 1138 del 1970, parimenti censurato, stabilisce, poi, che «il canone di cui all’articolo precedente può essere in ogni caso rivalutato, a richiesta della parte interessata, in misura proporzionale al mutato potere di acquisto della lira quale risulta dalle statistiche dell’ISTAT, dal 1° gennaio 1963».
Gli artt. 5 e 6 sono stati dichiarati incostituzionali con la sentenza n. 53 del 1974 limitatamente alla parte in cui comprendono anche i rapporti di enfiteusi urbana ed edificatoria costituiti successivamente alla data del 28 ottobre 1941.
Pertanto, questi due articoli rimangono in vigore solo per le enfiteusi urbane che sono state costituite prima del 28 ottobre 1941.
Nel corso degli anni sono state sollevate diverse questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto la modestia del capitale di affrancazione.
Per le enfiteusi, sia rustiche che urbane, successive al 28 ottobre 1941, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 14 giugno 1974, n. 270 (Norme in materia di enfiteusi) nella parte in cui non prevedeva che il valore di riferimento da esso prescelto per la determinazione del canone enfiteutico fosse periodicamente aggiornato mediante l’applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica (sentenza n. 406 del 1988).
Analogamente, con riferimento alle enfiteusi rustiche costituite anteriormente al 28 ottobre 1941 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, primo e quarto comma, della legge n. 607 del 1966, nella parte in cui non prevedeva che il valore di riferimento per la determinazione del capitale per l’affrancazione delle stesse fosse periodicamente aggiornato mediante l’applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica (sentenza n. 143 del 1997).
Partendo dal precedente del 1988, la Corte, con la sentenza n. 143 del 1997, ha affermato che «la diversità di trattamento che risulta nelle regole di determinazione del capitale di affranco per le enfiteusi anteriori al 28 ottobre 1941, per le quali non è previsto alcun meccanismo di adeguamento del calcolo in base ai valori catastali del 1939, rivalutati nel 1947, rispetto alle enfiteusi costituite successivamente alla data che segna il discrimine, e per le quali opera a seguito della sentenza n. 406 del 1988, il principio dell’applicazione di un coefficiente di maggiorazione, non trova ragionevole giustificazione. Difatti la regola della revisione periodica del canone, originariamente prevista dall’art. 962 cod. civ. solo per le nuove enfiteusi, è stata soppressa anche per queste ultime (art. 18, secondo comma, della legge n. 607 del 1966), mentre comune a tutti i rapporti enfiteutici, anzi più accentuati per quelli costituiti in epoca remota, è il divario tra il capitale di affrancazione e la realtà economica».
A seguito delle richiamate pronunce, per tre delle quattro ipotesi di enfiteusi (enfiteusi rustiche costituite prima e dopo il 28 ottobre 1941; enfiteusi urbane costituite dopo il 28 ottobre 1941), è stata affermata l’incostituzionalità delle norme che non prevedono l’aggiornamento del valore di riferimento per la determinazione del capitale per l’affrancazione, rimanendo in vigore, peraltro, il divieto di aggiornamento solamente per le enfiteusi urbane costituite prima del 28 ottobre 1941.
La diversità di trattamento che risulta nelle regole di determinazione del capitale di affrancazione per le enfiteusi urbane anteriori al 28 ottobre 1941 non trova dunque ragionevole giustificazione, ed è, perciò, in contrasto con gli artt. 3 e 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.
Non vi è, infatti, a parte il diverso oggetto, una differenza tra enfiteusi urbane e rustiche che possa giustificare un distinto criterio per la determinazione del capitale di affrancazione; infatti per entrambe è previsto in capo all’enfiteuta un obbligo di migliorare il fondo, e anzi i concessionari in enfiteusi di immobili urbani o di suoli edificatori non appartengono, di massima, a categorie sociali più deboli e meritevoli di protezione rispetto a quelle dei concedenti enfiteusi rustiche (in questo senso cfr. sentenza n. 53 del 1974).
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 5 e 6 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138 (Nuove norme in materia di enfiteusi), nella parte in cui, per le enfiteusi urbane costituite anteriormente al 28 ottobre 1941, non prevedono che il valore di riferimento per la determinazione del capitale per l’affrancazione delle stesse sia periodicamente aggiornato mediante l’applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica.