Corte costituzionale – Sentenza 25 febbraio – 4 marzo 2008, n. 44
Ritenuto in fatto
1. – A seguito del ricorso proposto da Umberto N. nei confronti della s.r.l. Olearia G. – alle cui dipendenze aveva prestato lavoro dal 1965 al 31 marzo 2002 con distinti contratti di lavoro a tempo determinato – al fine di ottenere la riassunzione in base all’art. 23, comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro) – il Tribunale di Rossano sollevava, con ordinanza del 17 maggio 2004, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 9 e 10, e dell’art. 11, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’Unice, dal Ceep e dal Ces), per violazione dell’art. 76 della Costituzione, nella parte in cui tali norme, abrogando la normativa previgente, non riconoscevano più il diritto di precedenza nell’assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica, a favore dei lavoratori che avessero prestato attività lavorativa a carattere stagionale con contratto a tempo determinato.
Precisava il rimettente che l’art. 23 della legge n. 56 del 1987 era stato abrogato dall’art. 11, comma 1, del d. lgs. n. 368 del 2001, il cui art. 10, commi 9 e 10, riservava ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi l’individuazione del predetto diritto di precedenza; con la conseguenza che, in difetto di tale previsione contrattuale, il diritto vantato non era altrimenti operante.
Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, rilevava il Tribunale di Rossano che il d.lgs. n.368 del 2001, avendo soppresso il diritto di precedenza nell’attuare la delega conferita dalla legge 29 dicembre 2000, n. 422 (Disposizione per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 2000), aveva violato la clausola di “non regresso” (clausola 8) – contenuta nell’accordo quadro trasfuso nella direttiva comunitaria e, quindi, inserita tra i principi direttivi della delega (art. 2, comma 1, lettera f, della legge n. 422 del 2000) – secondo cui «L’applicazione del presente accordo non costituisce motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso».
2. – Costituendosi in giudizio, il ricorrente nel giudizio a quo, dopo aver rilevato che le prescrizioni contenute nella citata direttiva comunitaria, in quanto riprese nella legge delega, vincolavano il legislatore delegato, rilevava che il tenore perentorio della predetta clausola di “non regresso” comportava l’inderogabilità in pejus della previgente normativa italiana da parte del legislatore successivo, in sede di attuazione della direttiva, nella parte riguardante il trattamento afferente alla generalità dei lavoratori interessati. Il che si era verificato nel caso concreto poiché l’art. 10 del d.lgs. n. 368 del 2001, applicabile alla generalità dei lavori stagionali, era norma peggiorativa rispetto all’art. 23, comma 2, della legge n. 56 del 1987, non più applicabile ai medesimi lavoratori perché abrogato dall’art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 368 del 2001. 3. – Nell’intervenire in giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sosteneva l’infondatezza della questione.
4. – Con ordinanza n. 252 del 2006 questa Corte restituiva gli atti al rimettente al fine di consentirgli la soluzione del problema interpretativo alla luce della sopravvenuta sentenza 22 novembre 2005, nella causa C-144/04, Mangold, con la quale la Corte di giustizia aveva precisato l’ambito e la portata della clausola di non regresso.
5.- Con ordinanza del 16 gennaio 2007, il Tribunale di Rossano ha sollevato nuovamente la medesima questione di legittimità costituzionale, sotto due profili: da una parte osservando che, non essendovi nella direttiva comunitaria alcuna traccia della necessità di vietare il diritto di precedenza nelle assunzioni, la soppressione di tale diritto è frutto di una scelta del legislatore delegato, compiuta al di fuori della delega, con violazione dell’art. 77, primo comma, Cost.; dall’altra ravvisando un ulteriore profilo di violazione dell’art. 76 Cost., con riferimento alla violazione della clausola di “non regresso” contenuta nell’accordo quadro allegato alla citata direttiva comunitaria, in ordine alla quale l’indicata sentenza della Corte di giustizia rafforza i dubbi di illegittimità costituzionale manifestati nella precedente ordinanza di rimessione.
6. – Si è costituito il ricorrente nel giudizio a quo osservando che il diritto alla riassunzione involge il nucleo essenziale della direttiva, sicché la rimozione di tale diritto realizza proprio quella reformatio in pejus che la direttiva vuole evitare. Né ricorrono valide ragioni giustificative della regressione.
7. – Nell’intervenire in giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito l’inammissibilità della questione, non avendo il rimettente motivato in alcun modo in ordine alla rilevanza della questione alla luce della sopravvenuta giurisprudenza della Corte di giustizia. Nel merito – osserva l’Avvocatura generale – la questione è infondata: premesso che il diritto di precedenza nell’assunzione presso la stessa azienda non è stato soppresso, ma continua a sussistere, sia pure con modalità rimesse all’autonomia collettiva, non si può sostenere che, in virtù di una scelta arbitraria del legislatore delegato, sia stata operata in forza della norma censurata una riduzione complessiva del livello di tutela accordato ai lavoratori. Secondo la difesa erariale, tra i principi della delega fissati dall’art. 2 della legge n. 422 del 2000, si colloca (lettera b) quello secondo cui, «Per evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, saranno introdotte le occorrenti modifiche o integrazioni alle discipline stesse». Su questo presupposto il legislatore delegato, nel dare attuazione alla direttiva 1999/70/CE ha ritenuto di dover regolamentare ex novo l’intera disciplina del lavoro a termine.
Sostiene, infine, l’Avvocatura generale che le due norme censurate non comportano alcun peggioramento della tutela complessiva offerta ai soggetti ivi individuati: da una parte, la devoluzione alla contrattazione collettiva dell’individuazione dei casi in cui è esercitabile un diritto di precedenza nell’assunzione si iscrive in un trend normativo costante nell’evoluzione del diritto del lavoro; dall’altra, l’introduzione del termine di un anno dalla data di cessazione del rapporto entro cui il diritto di precedenza si estingue, non aggiunge nulla di nuovo alla disciplina previgente, poiché tale termine annuale doveva ritenersi seppur implicitamente già operante. La prestazione del lavoro nel settore oleario ha infatti in sé stesso natura stagionale, di tal che, se il lavoratore non viene riassunto o non esercita il diritto alla riassunzione entro un anno dall’ultimo rapporto, ciò significa che il lavoratore non ha interesse a proseguire quel lavoro, oppure che l’attività aziendale si è oggettivamente ridotta o del tutto esaurita. In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato memoria, ribadendo le proprie difese.
Considerato in diritto
Il Tribunale di Rossano dubita – in riferimento agli articoli 76 e 77, primo comma, della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 9 e 10, e dell’art. 11, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’Unice, dal Ceep e dal Ces), nella parte in cui subordinano il diritto di precedenza nella assunzione presso la stessa azienda con la medesima qualifica dei lavoratori assunti a termine per lo svolgimento di attività stagionali, a due condizioni prima inesistenti: la previsione di tale diritto da parte della contrattazione collettiva nazionale applicabile, e il mancato decorso di un anno dalla cessazione del precedente rapporto. In particolare, l’art. 10 così dispone ai commi 9 e 10: «9. E’ affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, la individuazione di un diritto di precedenza nella assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica, esclusivamente a favore dei lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa, con contratto a tempo determinato per le ipotesi già previste dall’articolo 23, comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56. I lavoratori assunti in base al suddetto diritto di precedenza non concorrono a determinare la base di computo per il calcolo della percentuale di riserva di cui all’articolo 25, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223. 10. In ogni caso il diritto di precedenza si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro ed il lavoratore può esercitarlo a condizione che manifesti in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro tre mesi dalla data di cessazione del rapporto stesso».
L’art. 11, a sua volta, dispone ai commi 1 e 2: «1. Dalla data in entrata in vigore del presente decreto legislativo sono abrogate la legge 18 aprile 1962, n. 230, e successive modificazioni, l’articolo 8-bis della legge 25 marzo 1983, n. 79, l’articolo 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 nonché tutte le disposizioni di legge che sono comunque incompatibili e non sono espressamente richiamate nel presente decreto legislativo. 2. In relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle disposizioni di cui al comma 1, le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell’articolo 23 della citata legge n. 56 del 1987 e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, manterranno, in via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro». Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità della questione sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato per non avere il rimettente motivato sulla rilevanza della questione, in quanto l’invocata giurisprudenza della Corte di giustizia, pronunziatasi in ordine alla portata della cosiddetta “clausola di non regresso”, se fosse applicabile alla fattispecie in esame, potrebbe realmente incidere sulla legittimità delle norme censurate sotto il profilo delle loro contrarietà ai principi enunciati dalla direttiva sopra indicata Nel merito, la questione è fondata.
Il rimettente attribuisce alle norme censurate l’effetto di un peggioramento del trattamento riservato al ricorrente del giudizio principale dalla disciplina precedente e ritiene che ciò comporti una violazione della clausola di non regresso contenuta nella direttiva, richiamata dalla delega (art. 76 Cost.). Inoltre, a suo giudizio, non essendovi nella direttiva traccia della necessità di vietare il diritto alle riassunzioni, la diversa disciplina del diritto di precedenza è frutto di una scelta del legislatore delegato in assenza totale di delega, con corrispondente violazione dell’art. 77, primo comma, della Costituzione.
La Corte ritiene che l’abrogazione – ad opera delle norme censurate – dell’art. 23, comma 2, della legge n. 56 del 1987 non rientri né nell’area di operatività della direttiva comunitaria, definita dalla Corte di giustizia con la sentenza 22 novembre 2005, nella causa C-144/04 Mangold, né nel perimetro tracciato dal legislatore delegante. Con riferimento al primo ambito, detta sentenza ha sottolineato (punti da 40 a 43) che la clausola 5 della direttiva 1999/70/CE è circoscritta alla «prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato». Tale clausola pertanto non opera laddove, come nella specie, vi sia una successione di contratti a termine alla quale non si riferisce alcuna delle misure previste dalla direttiva medesima al fine di prevenire quegli abusi (giustificazione del rinnovo; durata massima totale dei contratti; numero massimo di contratti). In altri termini, la disciplina dettata dalle norme censurate, concernente i lavori stagionali, non mira tanto a prevenire l’abusiva reiterazione di più contratti di lavoro a tempo determinato, per favorire la stabilizzazione del rapporto, ma è volta unicamente a tutelare i lavoratori stagionali, regolando l’esercizio del diritto di precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda e con la medesima qualifica. La disciplina censurata si colloca, quindi, al di fuori della direttiva comunitaria. Essa resta anche al di fuori della delega conferita dalla legge 29 dicembre 2000, n. 422 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 2000), complessivamente considerata.
L’art. 1, comma 1, di tale legge ha delegato, infatti, il Governo ad emanare «i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B.» e, per quanto concerne la direttiva 1999/70/CE relativa al caso in esame non ha dettato – a differenza di altre ipotesi – specifici criteri o principi capaci di ampliare lo spazio di intervento del legislatore delegato. Sulla base di quanto precede va dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 77, primo comma, Cost., dell’art. 10, commi 9 e 10, nonché dell’art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 368 del 2001, nella parte in cui abroga l’art. 23, comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56, in quanto emanati in assenza di delega. Conseguentemente, il comma 2 dell’art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001, il quale contiene una disposizione meramente transitoria, come tale funzionalmente collegata al precedente comma, è anch’esso costituzionalmente illegittimo.
P.Q.M.
La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, commi 9 e 10, nonché dell’art. 11, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES) nella parte in cui abroga l’articolo 23, comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro);
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, nella parte in cui detta la disciplina transitoria in riferimento all’art. 23, comma 2, della legge 28 febbraio 1987, n. 56.