Cassazione – Sezione lavoro – sentenza – 7 maggio 2008, n. 11144
Svolgimento del processo
Con ricorso in data 28.7.1993 le signore Maria O., Donatella D’A. e Simona D’A. , in proprio ed in qualità di eredi, adivano il Pretore, esponendo che il signor Renzo D’A. in data 29.9.90 era deceduto per le conseguenze di un seminoma contratto dopo aver partecipato, nel periodo dal 3 al 14 maggio 1987, quale tecnico di produzione alla realizzazione di un servizio televisivo sul disastro di Chernobyl, chiedendo il risarcimento di tutti i danni conseguenti.
Si costituivano la RAI, che chiedeva la reiezione del ricorso, e l’Inail, che chiedeva di potersi surrogare nei confronti della RAI per il recupero di quanto erogato a titolo di rendita. Disposta indagine peritale, la domanda veniva respinta con sentenza del Pretore di Roma 22 gennaio 1996 n. 1420, sulla scorta della carenza di prova circa il nesso di causalità, allo stato ritenuto non dimostrabile.
Con ricorso notificato in data 12.12.1998 le appellanti contestavano la pronuncia, chiedendo la rinnovazione della CTU ed insistevano nella propria domanda risarcitoria. Lamentavano le appellanti che l’infermità prima ed il decesso poi erano riconducibili all’attività svolta dal congiunto a Chernobyl, e reiteravano le istanze risarcitone già avanzate nei confronti sia della RAI che dell’Inail, che avevano convenuto in giudizio per sentir affermare la sussistenza del nesso di causalità tra l’esposizione a radiazioni in occasione dello svolgimento di attività lavorativa per conto della RAI e la patologia che aveva determinato il decesso del D’A. , e dichiarare la responsabilità del datore di lavoro, nonché dell’Istituto assicurativo, con conseguente condanna degli stessi al risarcimento dei danni.
In una prima fase le appellanti chiedevano l’importo di £ 150.000.000 a titolo di danno biologico subito dal congiunto, la somma di £ 368.700.000 oltre rivalutazione ed interessi a titolo di danno patrimoniale, al netto, per quanto riguardava O. Maria, della rendita costituita in suo favore dall’Inail, a seguito del riconoscimento di indennizzo ex art. 10, comma 7, T.U. 1124/65, nonché la somma di £ 280.000.000 a titolo di risarcimento danni morali. Infine, le medesime appellanti chiedevano la somma di £ 50.000.000 a titolo di indennizzo che la RAI avrebbe dovuto corrispondere al dipendente ai sensi dell’art. 42 Ccnl vigente. Per contro l’Inail, che aveva già riconosciuto, con provvedimento emesso in data 24.4.93, la natura professionale dell’evento erogando la rendita di cui all’art. 85 DPR 1124/65 per l’importo di £ 233.005.876 (valore capitale all’1.5.93 da integrarsi con i successivi miglioramenti ex lege della rendita stessa) veniva parimenti convenuta in giudizio, ma non si costituiva. In data 5.6.02 veniva acquisita la decisione pronunciata nell’ambito del procedimento n. 29777/96 promosso dall’Inail avverso la RAI, avente ad oggetto la medesima pronuncia, per sentire dichiarare la responsabilità della società ex artt. 10 e 11 TU 1124/65.
Detto procedimento si era concluso con la sentenza del 10.12.02 che in quanto meramente dichiarativa della improcedibilità del gravame in quella sede proposto non esplica alcuna efficacia nell’ambito della vicenda in oggetto.
La RAI costituitasi chiedeva il rigetto del gravame, riportandosi alle argomentazioni già svolte in primo grado.
Venivano espletate indagini peritali a seguito delle quali, con note autorizzate, le appellanti precisavano la domanda sulla quale insistevano “iure ereditatis” dovendosi ritenere, stando alle emergenze peritali, la malattia ed il decesso conseguenza della attività professionale espletata, per un totale di euro 441.214,78.
Con sentenza in data 19 febbraio – 2 marzo 2004 il Tribunale di Roma rigettava l’appello. Il Tribunale ha ritenuto di escludere il nesso eziologico tra lavorazione e tumore, respingendo l’appello e, di conseguenza, la domanda.
Avverso detta sentenza O. Maria, D’A. Donatella e D’A. Simona hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, ed illustrato da memoria.
La RAI ha resistito con controricorso, illustrato da memoria. L’Inail non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1.1. Con l’unico motivo le ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., degli artt. 2727 e 2729 c.c.; vizio di omessa e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia prospettato dalle parti; il tutto in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
1.2. Le ricorrenti deducono che il CTU dr. B. aveva qualificato come concettualmente errato ipotizzare che le radiazioni ionizzanti non possano indurre tumori alle gonadi, mentre il CTU prof. G. aveva affermato che i tessuti germinali sono altamente radiosensibili; che anche nel parere del CT di parte convenuta si ammetteva che il D’A. e la troupe avevano operato in zona controllata, nella quale era ammesso l’assorbimento di una dose globale totale di 50 msv/anno certamente superiore all’equivalente di dose efficace (1.1 msv/anno, 110 mrem/anno) e che il CTU dr. B. aveva ritenuto estremamente probabile che il D’A. era stato esposto ad effetti da inquinamento radiologico; che lo stesso prof. G. aveva ritenuto che nel caso di specie l’aumento di volume del testicolo dx era compatibile sia con l’intervallo di latenza considerato minimo per la insorgenza di un effetto neoplastico, sia come volume compatibile con il turnover delle cellule neoplastiche; che il CTU dr. B. si era limitato a segnalare al giudice che nel caso di specie sussisteva la presunzione di legge della eziologia professionale del seminoma ascrivibile tra le malattie tabellate alla voce n. 40.
1.3. Il ricorso è infondato.
Spetta, infatti, al lavoratore l’onere di provare il nesso di causalità tra attività professionale e malattia contratta, e trattandosi di azione esperita nei confronti del datore di lavoro non è operante alcuna presunzione di nesso eziologico. Ciò detto, si osserva che le ricorrenti non hanno fornito detta prova. Invero i giudici di appello hanno fornito motivazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici in ordine alla mancata prova di nesso logico-giuridico e, pertanto, la sentenza va esente da censure in sede di legittimità. Le consulenze tecniche di ufficio non hanno fornito, infatti, alcuna certezza giuridica tra attività espletata dal lavoratore e malattia contratta dal medesimo, non essendo sufficiente un mero collegamento possibile tra attività e malattia, ma essendo necessario, al fine del raggiungimento di tale certezza una probabilità qualificata tra attività e malattia. Come il Tribunale ha osservato, è dato pacifico che la neoplasia di cui si tratta non è affatto, a differenza di altre patologie di analoga natura, di origine radioinducibile, ed in tal senso depongono entrambe le consulenze tecniche di ufficio.
Di tal che sussiste, come in analoghe forme di neoplasia, l’origine multifattoriale dell’insorgenza della malattia, che non fornisce alcuna prova di probabilità qualificata tra attività e malattia. D’altra parte, come pure posto in luce dal Tribunale, vale la considerazione, non contestata in causa, che, secondo la International Atomic Energy Agency, fatta salva la premessa che le radiazioni non risultano in grado di indurre tumori al testicolo, le radiazioni di Chernobyl non hanno indotto tumori testicolari tra le persone esposte a livelli elevati nelle fasi acute dell’incidente né nelle persone viventi nella regione contaminata.
È stato, altresì, evidenziato dal Tribunale che, come è pacifico nelle analisi dei due CTU, non esistono dati certi circa il livello dì esposizione alle radiazioni, cui è stato sottoposto il D’A. . Va, infine, rilevato che il tempo di insorgenza della malattia, come accertato dai giudici di appello, è avvenuto molto tempo prima della insorgenza normale di neoplasie indotte da radiazioni, che compaiono tra i cinque e i dieci anni dopo la dose ricevuta.
2.1. Consegue il rigetto del ricorso.
2.2. Sussistono giusti motivi, stante la complessità della controversia, per compensare le spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.