Cassazione Civile, Sez. I, 24-01-2008, n. 1595
Svolgimento del processo
1. – Con sentenza in data 9 gennaio 2002 il Tribunale di Viterbo pronunciò la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso contratto da M.M. e C.S. il (OMISSIS); affidò alla C. i figli A. e R., nati, rispettivamente, nel (OMISSIS) e nel (OMISSIS), disponendo che il M. corrispondesse alla C., quale contributo al mantenimento dei figli, un assegno mensile di L. 1.000.000, oltre al 50% delle spese scolastiche e sanitarie; assegnò alla C. la casa coniugale, prevedendo l’obbligo per l’assegnataria di stipulare il contratto di locazione a richiesta del proprietario dell’immobile, padre del M.; riconobbe infine alla C., percettrice di redditi saltuari, il diritto all’assegno divorzile, determinato in L. 400.000 mensili.
2. – Con ricorso in data 24 giugno 2002, proposto L. 1 dicembre 1970, n. 898, ex art. 9, e succ. modif., il M., premesso che nella situazione personale ed economica delle parti erano intervenute circostanze idonee a giustificare la modifica delle condizioni di divorzio, chiese che il Tribunale di Viterbo revocasse l’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile alla C. e riducesse il contributo mensile a favore dei figli ad Euro 310,00, e ciò in quanto l’ex moglie dal 10 giugno 2002 era stata assunta dal Comune di Viterbo con contratto a tempo determinato – un anno – con una retribuzione mensile di Euro 930,00 per quattordici mensilità; chiese che gli venissero attribuiti gli assegni familiari relativi ai figli e che il periodo di quindici giorni da trascorrere con i figli in occasione delle vacanze estive venisse ripartito in periodi più brevi, non avendo egli la possibilità, per motivi di lavoro, di usufruire di 15 giorni continuativi di ferie.
3. – Il Tribunale di Viterbo, con ordinanza – da qualificarsi decreto – del 25 luglio 2002, respinse tutte le istanze del M..
4. – La Corte d’appello di Roma, con decreto in data 6 ottobre 2003, ha rigettato il reclamo del M..
4.1. – Ha osservato la Corte capitolina che il M. non ha fornito la prova, su di esso incombente, della presenza di circostanze sopravvenute idonee ad alterare gli equilibri raggiunti dalle parti al momento della pronuncia di divorzio.
Sotto il profilo delle condizioni patrimoniali, la Corte d’appello ha rilevato che il Tribunale di Viterbo, nella sentenza di divorzio, aveva riconosciuto alla C. il diritto all’assegno divorzile, poiché la stessa lavorava solo saltuariamente e, di conseguenza, non poteva far conto su un reddito certo ed adeguato alle sue necessità.
Ha inoltre considerato che la C. aveva percepito, nel 2001 (anno immediatamente precedente la pronuncia di divorzio), un reddito, comprensivo dell’assegno di mantenimento, pari a L. 16.500.000, e, nel 2002 (anno in cui è stato introdotto il giudizio di revisione delle condizioni del divorzio), allorché la donna era stata avviata al lavoro nell’ambito del cantiere scuola e lavoro attivato dal Comune di Viterbo, quello, inferiore, di Euro 6.800,00 (pari a L. 13.200.000), sempre tenendo conto dell’assegno corrispostole dal M..
La Corte d’appello ha valutato che anche nel 2003 la C. avrebbe percepito un reddito inferiore a quello del 2001, tenuto conto del fatto che la donna era stata assegnata al Corpo di polizia municipale per 280 giorni lavorativi a decorrere dal 29 aprile 2003 per un corrispettivo giornaliero di Euro 32,32 lordi.
In definitiva, secondo la Corte d’appello, la situazione economica dell’ex moglie risulta, dal divorzio alla data della pronuncia nel giudizio di revisione, sostanzialmente invariata. La Corte capitolina ha inoltre ritenuto infondata la pretesa del M. di percepire direttamente, o di dedurre dall’assegno corrisposto per il mantenimento dei figli, l’importo degli assegni familiari.
Quanto, infine, alle condizioni personali del divorzio, i giudici del reclamo hanno ritenuto contrario all’interesse dei minori ridurre i tempi di frequentazione con il padre: rilevando che questi non aveva provato di non poter usufruire di 15 giorni consecutivi di ferie; e ricordando, in ogni caso, che il periodo di affidamento prolungato non deve obbligatoriamente coincidere con le ferie paterne, potendosi anche attuare durante un periodo lavorativo, giacché lo scopo della frequentazione non è – o non è soltanto – quello di far trascorrere ai figli un periodo di vacanza, ma piuttosto quello di mantenere in vita tra i minori ed il genitore non affidatario un clima di familiarità che soltanto un periodo significativo di convivenza può assicurare.
5. – Per la cassazione del decreto della Corte d’appello il M., con atto notificato l’8 maggio 2003, ha proposto ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 111 Cost., sulla base di un unico, complesso motivo.
Ha resistito, con controricorso, la C..
Motivi della decisione
1. – Con l’unico motivo, il ricorrente denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 1, e all’art. 132 c.p.c., comma 4, e vizio di motivazione in presenza di argomentazioni tra loro inconciliabili ed in contrasto con le risultanze documentali in atti, nonchè omessa totale pronuncia in merito ad un punto essenziale della controversia, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.
La Corte d’appello avrebbe indicato gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento (dichiarazioni dei redditi della resistente), ma da questi avrebbe tratto conclusioni che presentano un insanabile contrasto con i documenti processuali, in essi incluse le dichiarazioni incontestate della stessa C., a mezzo del proprio legale. La circostanza che, nel periodo temporale antecedente alla sentenza di divorzio, la C. lavorasse saltuariamente, è smentita dalle risultanze di quel processo, dove la C., nella comparsa di costituzione e risposta e nei successivi atti, dichiarava di essere, all’epoca, disoccupata. I dati, riportati nella sentenza, relativi alle somme percepite negli anni 2001, 2002 e 2003 dalla C., sarebbero in contrasto con le risultanze oggettive. Difatti, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, nell’anno 2001 la C. percepiva un reddito di 18.968.000, pari al solo contributo di mantenimento, suo e dei figli, e agli assegni familiari. A partire dal giugno 2002 l’ex moglie avrebbe percepito dal Comune di Viterbo circa Euro 775,68 mensili per 14 mensilità annue e quindi, per il solo 2002, considerando 7 mensilità, complessivi Euro 6.205,44 in più rispetto a quello che l’ex marito le ha versato.
Sarebbe pertanto errata, ed in contrasto con le risultanze documentali, l’affermazione circa la sostanziale invarianza della situazione economica della donna, dal divorzio alla data della pronuncia del decreto della Corte territoriale. E sebbene nel modello fiscale “unico 2003”, relativo all’anno 2002, tutte le somme che la resistente ha percepito (cioè Euro 10.907,56 dal marito ed Euro 6.205,44 dal Comune di Viterbo) non risultino dichiarate, tuttavia esse sono state incassate. La dichiarazione dei redditi, essendo una dichiarazione di parte, si presume corretta fino a prova contraria. Nella specie vi sarebbe prova contraria che le somme percepite dalla C. nell’anno 2002 sono di gran lunga superiori a quelle da lei indicate.
Questi fatti incontrovertibili sarebbero stati considerati dalla Corte d’appello in modo distorto ed erroneo. La decisione impugnata sarebbe stata assunta in contrasto con quanto risultante dai documenti in atti e con una motivazione difforme da quella contenuta nel provvedimento di primo grado (nel quale era stata riconosciuta l’esistenza di un cambiamento delle condizioni economiche della C., ma tale cambiamento non era stato giudicato idoneo a comportare una riduzione dell’assegno mensile a carico del M. per la temporaneità e l’esiguità del mutamento). Inoltre, la Corte d’appello avrebbe omesso totalmente di considerare un aspetto di per sè decisivo della controversia. Il M. è divenuto infatti padre di un altro figlio, come espressamente indicato a pag. 4 del reclamo, nato nel mese di agosto 2002. La circostanza non sarebbe stata contrastata da alcuno. Il nuovo nato avrebbe inciso in maniera importante sul reddito del ricorrente, che si è trovato a sostenere dei costi che prima non aveva e che hanno ridotto la sua capacità patrimoniale. Il decreto della Corte territoriale sarebbe parimenti viziato con riguardo alla problematica delle ferie estive che il padre vuole trascorrere con i figli. Ma il ricorrente osserva che i provvedimenti riguardanti la prole non hanno il requisito della definitività e quindi non sono suscettibili di acquistare l’autorità della ras iudicata, sicchè nei loro confronti non è esperibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost..
2. – Il motivo è solo in parte fondato.
2.1. – Occorre premettere che la disposizione della L. n. 898 del 1970, art. 9, consente la revisione delle condizioni del divorzio relative (tra l’altro) ai rapporti economici per sopravvenienza di “giustificati motivi”, sicché il relativo provvedimento postula non soltanto l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche la idoneità di tale modifica ad immutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti. L’apprezzamento della rilevanza dei fatti sopravvenuti (onde inferirne l’esistenza dei “giustificati motivi” richiesti dalla norma) va infatti compiuto con riguardo alla natura ed alla funzione dell’assegno divorzile, rivolto ad assicurare, in ogni tempo, la disponibilità di quanto necessario al godimento di un tenore di vita adeguato alla pregressa posizione economico-sociale dell’ex coniuge (v., da ultimo, Cass., Sez. 1^, 2 maggio 2007, n. 10133).
Nella specie, la Corte di merito – allorché ha considerato la situazione economica della ex moglie – ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi, in particolare giudicando, con logico apprezzamento, che la prestazione di attività di lavoro da parte della C. nell’ambito delle iniziative promosse dal Cantiere Scuola e Lavoro attivato dal Comune di Viterbo, non fosse idonea ad alterare la precedente situazione della donna risultante dalla pronuncia attributiva dell’assegno, tenuto conto del reddito percepito dalla beneficiarla dell’assegno de quo e del fatto che, come accertato dalla sentenza di divorzio, anche all’epoca la C. lavorava, sia pure saltuariamente. Il decreto impugnato considera il reddito complessivo della C. nel 2002 e nel 2003 ed afferma, dandone adeguata motivazione, che esso non è superiore a quello percepito nell’anno 2001 e tenuto in conto dal giudice del divorzio. Deve, al riguardo, ulteriormente premettersi che – nella disciplina, applicabile ratione temporis, anteriore a quella recata dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, – il decreto con il quale la corte d’appello provvede, su reclamo delle parti, alla revisione dell’assegno di divorzio, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., solo per violazione di legge, cui è riconducibile anche l’inosservanza dell’obbligo di motivazione, la quale si configura allorchè quest’ultima sia materialmente omessa (cioè quando si verifichi una radicale carenza della stessa), ovvero si estrinsechi in argomentazioni del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi del provvedimento impugnato (motivazione apparente), o fra loro logicamente inconciliabili o, comunque, obiettivamente incomprensibili (motivazione perplessa) (Cass., Sez. 1^, 13 febbraio 2006, n. 3018; Cass., Sez. 1^, 4 settembre 2004, n. 17895).
Nella specie, al di là della indicazione contenuta nella rubrica, con il motivo di ricorso in esame – là dove si censura che la Corte territoriale non abbia valutato il miglioramento della condizione reddituale della C. – non si contesta in realtà alcuna violazione di legge, nè una radicale carenza di motivazione ad essa riconducibile, inammissibilmente impingendosi, invece, nel merito delle valutazioni effettuate dalla Corte d’appello. Ed infatti, il ricorrente si limita a svolgere critiche sugli apprezzamenti di fatto espressi dalla predetta autorità giurisdizionale circa la consistenza della situazione reddituale della ex moglie, sollecitandone sostanzialmente il riesame, non consentito in sede di legittimità. 2.3. – Viceversa, il motivo è fondato nella parte in cui si censura che il decreto impugnato, in violazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, non abbia tenuto assolutamente conto dell’asserito mutamento in peius dal lato dell’obbligato.
Risulta per tabulas che nell’atto di reclamo il M. fece presente – a sostegno della richiesta di revisione delle condizioni patrimoniali del divorzio – che egli nell’agosto 2002 era divenuto padre di un altro figlio, nato dalla nuova relazione, e che, di conseguenza, dovendo procedere al mantenimento anche del nuovo nato, la sua capacità economica si era ridotta.
Questo aspetto della richiesta del M. non è stato preso in considerazione dalla Corte territoriale.
Ma erroneamente, sotto un duplice ordine di profili, sostanziale e processuale.
Sostanziale, perchè i sopravvenuti, giustificati motivi a sostegno della richiesta di revisione delle condizioni patrimoniali del divorzio possono riguardare anche i nuovi oneri familiari dell’obbligato, derivanti dalla nascita di un figlio, generato dalla successiva unione, sempre che detta insorgenza, considerate tutte le circostanze del caso concreto, abbia determinato un reale ed effettivo depauperamento delle sostanze o della capacità patrimoniale dell’obbligato stesso, apprezzato all’esito di una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti. In ogni caso, a tal fine occorre tenere conto del fatto che, per un verso, il nuovo dovere di mantenimento dell’obbligato va valutato anche alla stregua delle potenzialità economiche della nuova famiglia in cui il bambino è stato generato, e quindi avendo riguardo pure alla condizione dell’altro genitore. Là dove, poi, venga in gioco la misura dell’assegno di mantenimento per i figli, il nuovo impegno familiare non può costituire ragione per un allentamento delle responsabilità genitoriali verso costoro, in quanto la soddisfazione dei diritti economici dei figli non può essere deteriore nella crisi della famiglia, rispetto a quanto avviene nella famiglia unita: sicchè, ove il contributo di mantenimento originariamente fissato dal giudice del divorzio sia stato determinato in un importo adeguato alle necessità dei figli, ma inferiore all’esborso che la capacità economica dell’obbligato avrebbe consentito, la richiesta riduzione non può essere disposta, a meno che il contributo, così come in precedenza fissato, non trovi più capienza (e ciò a causa dei doveri derivanti dal motivo sopravvenuto) nella capacità economica dell’obbligato stesso, apprezzata anche alla luce dell’apporto del nuovo partner (cfr. Cass., Sez. 1^, 23 agosto 2006, n. 18367; Cass., Sez. 1^, 19 gennaio 1991, n. 512).
Processuale, perchè non rileva che il mutamento addotto a giustificazione della richiesta sia intervenuto successivamente all’introduzione del giudizio di revisione e nel corso dello stesso e sia stato addotto per la prima volta in sede di reclamo. Difatti, la possibilità, espressamente prevista dalla L. n. 898 del 1970, art. 9, di revisione delle disposizioni in materia di divorzio relative alla misura dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6, della citata legge (a favore dell’ex coniuge o dei figli, rispettivamente), è basata sulla sopravvenienza di giustificati motivi, di talché deriva dallo stesso sistema la necessità di verificare, sino al momento della decisione del Giudice di merito, anche in sede di reclamo, se tali motivi siano o meno sopravvenuti. Non si tratta dell’introduzione di una nuova domanda, ma solo di valutare elementi di fatto attinenti ad una domanda che già forma oggetto del giudizio (Cass., Sez. 1^, 2 febbraio 2006, n. 2338).
3. – Il ricorso è accolto per quanto di ragione.
Il decreto deve pertanto essere cassato e la causa rinviata, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, la deciderà facendo applicazione del principio di diritto sub 2.2.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2008